Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12855 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12855 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 13240-2009 proposto da:
IACONELLI VALERIO C.F. CNLVLR76H15H501I, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA 1312, presso lo
studiodegli avvocati CINZIA TAMAGNINI e CATIA
TAMAGNINI, che lo rappresentano e difendono unitamente
all’

2015

avvocato EDMONDO TOMASELLI, giusta delega in

atti ;
– ricorrente –

183

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del

f

legale rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 22/06/2015

~IP

t

domiciliata in ROMA,
studio dell’avvocato

VIALE MAZZINI 134, presso lo
FIORILLO LUIGI, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricarxente

avverso la sentenza n. 7817/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/01/2015 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
AMOROSO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di ROMA, depositata il 09/06/2008 r.g.n. 6,592/2006;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. laconelli Valerio conveniva in giudizio Poste Italiane S.p.A asserendo di
aver lavorato alle dipendenze di quest’ultima in virtù di un unico contratto a termine
stipulato ai sensi dell’art. 8 ccnI 1994 cosi come integrato dall’accordo del 25.9.1997,
per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione
degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione

relativamentérperiodo 5.5.1999- 30.5.1999.
Costituitasi ritualmente in giudizio, Poste Italiane S.p.A. si è opposta
all’accoglimento delle avversarie domande rilevando in primo luogo la risoluzione
del rapporto per mutuo consenso, stante la sussistenza di numerosi elementi in fatto,
rilevanti ai fini della individuazione di una volontà risolutoria.
Il Tribunale, pronunciava sentenza di rigetto, la quale veniva
tempestivamente impugnata dal lavoratore.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 21 novembre 2007 – 9 giugno
2008, respingeva il ricorso in appello accogliendo l’eccezione pregiudiziale formulata
sin dal primo grado.
2. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il lavoratore con due
motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso del lavoratore è articolato in due motivi con cui il ricorrente
deduce la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, denunciando anche
la violazione dell’art. 13‘2, primo comma, c.c.; si duole il ricorrente della
valutazione fatta dalla corte d’appello che ha desunto il mutuo consenso daka mero
trascorrere del tempo tra la cessazione del rapporto di lavoro e la lettera di messa in
mora.
2. Il ricorso — i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente — è
infondato.
2.1. Si tratta nella specie di un contratto a termine stipulato in data 5 maggio
1999 con data di cessazione al 31 maggio 1999; quindi della durata di meno di un
mese.
La corte d’appello di Roma con l’impugnata sentenza ha rigettato l’appello
proposto dal lavoratore avverso la sentenza del tribunale di Roma che aveva rigettato
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ud. 15 gennaio 2015

del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”

la sua domanda diretta ad ottenere l’accertamento della nullità del termine apposto al
suddetto contratto stipulato con la società Poste Italiane.
La corte d’appello ha ritenuto il rapporto risolto per mutuo consenso in
ragione dell’ampio lasso di tempo intercorso tra la fine del contratto (31 maggio
1999) e l’atto che recava l’offerta delle prestazioni lavorative. La notevolissima
durata di non attuazione del rapporto, pari a circa sei anni, e la mancanza di qualsiasi
manifestazione di interesse da parte del lavoratore hanno indotto la corte d’appello a
ritenere sussistente l’ipotesi dell’estinzione del mutuo consenso espresso per fatti
concludenti.
2.2. L’eccezione preliminare di violazione del principio dispositivo è
chiaramente infondata non essendo la società appellata, interamente vittoriosa in
primo grado, tenuta a proporre appello incidentale; era sufficiente che riproponesse
la questione della risoluzione del rapporto per mutuo dissenso anche se disattesa dal
giudice di primo grado, che per altro verso aveva comunque rigettato il ricorso; ciò
ha fatto nella memoria di costituzione in appello.
2.3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché attiene alla legittimità
o meglio alla dedotta illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. La corte
d’appello ritenendo il rapporto risolto per mutuo consenso non è entrata nel merito
della questione della legittimità o meno del termine apposto al contratto di lavoro.
La censura è quindi inconferente rispetto al decisum.
2.4. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell’art.
1312, primo comma, c.c., si duole della valutazione fatta dalla corte d’appello che ha
desunto il mutuo consenso daila mero trascorrere del tempo tra la cessazione del
rapporto di lavoro e la lettera di messa in mora.
Si tratta di una censura di merito che esprime un mero dissenso rispetto alla
valutazione della corte d’appello fatto delle risultanze di causa.
Secondo l’orientamento di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare,
Cass. 24 giugno 2008 n. 17150, e da ultimo Cass., sez.. lav., 13 febbraio 2015, n,
2906), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima
apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a
termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
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ud. 15 gennaio 2015

.,

definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. Fstato altresì precisato (cfr. Cass. 5
giugno 2013 n. 14209; Cass. 6 luglio 2007 n. 15264; Cass. 7 maggio 2009 n.
10526), che è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art.
1372, primo comma, cod. civ. il comportamento delle parti che determini la
cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a
modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta
operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si

contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei
contraenti, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a
comportamenti sociali valutati in modo tipico. E ciò con particolare riferimento alla
materia lavoristica ove operano, nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non
consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (cfr.
Cass. 7 maggio 2009 n. 10526; Cass. 6 luglio 2007 n. 15264). Finoltre pacifico
nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. le sentenze prima citate) che
la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
-A

Ciò premesso, ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia, nel caso in
esame, fatto corretta applicazione di tali principi, motivando la propria statuizione
sulla configurabilità, nel caso di specie, di una ipotesi di risoluzione per mutuo
consenso in modo logico, esaustivo ed esente da errori di diritto.
3. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in
dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
questo giudizio di cassazione liquidate in euro 100,00 (cento) per esborsi, oltre euro
2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi d’avvocato ed oltre spese generali e
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2015
Il Consigliere

Il Presidente

registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del

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