Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12855 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. II, 10/06/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 10/06/2011), n.12855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.C.M.L. ((OMISSIS)) rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to

Cappellaro Paolo del foro di Vicenza e dall’Avv.to Maria Cristina D

Alessandro del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo

studio del secondo in Roma, via Flaminia, n. 366;

– ricorrente –

contro

F.G. ((OMISSIS)) rappresentato e difeso

dall’Avv.to Rizzato Andrea del foro di Vicenza, in virtù di procura

speciale apposta a margine del controricorso con ricorso incidentale

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Pierfranca

Albanese in Roma, via delle Milizie n. 34;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale (iscritto al R.G. n. 26865/05)

proposto dal controricorrente nei confronti della ricorrente;

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2112/2004

depositata il 6 dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23

febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Alvise Cappellaro (con delega dell’Avv.to Paolo

Cappellaro), per parte ricorrente, e Pierfranca Albanese (con delega

dell’Avv.to Andrea Rizzato), per parte controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso principale e l’inammissibilità del

ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 27.6.1995 F.G. evocava, dinanzi al Tribunale di Vicenza, D.C.M.L. esponendo di essere proprietario dell’appartamento sito al primo piano del Condominio di via (OMISSIS) e di parte del piano terra e di due porzioni di terreno delle quali una, più ampia, posta a sud ovest del fabbricato e distinta con il mappale 884, l’altra, di dimensioni più ridotte, sita a nord est e distinta con il mappale 885, mentre la convenuta era proprietaria esclusiva dell’appartamento posto al secondo piano, di parte del piano terra e di una porzione di terreno posta a nord ovest del fabbricato e distinta al mappale 886; proseguiva asserendo che la convenuta aveva, inoltre, acquistato ulteriori porzioni di terreno esterne al lotto di pertinenza del condominio ed aveva mutato la destinazione d’uso del garage al piano terra adibendolo ad appartamento e realizzando una autorimessa esterna all’edificio condominiale, addossata al lato nord est dello stesso. Aggiungeva che la convenuta aveva ottenuto concessione per la realizzazione di una seconda autorimessa nel mappale 992 sul confine con il mappale 885 di proprietà dell’attore, collegata alla preesistente autorimessa con un tunnel realizzato sul confine nord del mappale 885. Affermava l’attore che la concessione era stata autorizzata in applicazione dell’art. 50 delle norme tecniche di attuazione del PRG, ma che detta norma non era applicabile nella specie posto che: a) il manufatto realizzato sul mappale 992 non era pertinenza dell’edificio condominiale, non essendo stato realizzato sullo stesso lotto; b) la convenuta non aveva dimostrato la impossibilità di realizzare l’autorimessa all’interno dell’edificio ed anzi aveva trasformato la preesistente autorimessa in appartamento; c) erano stati superati i limiti massimi di superficie collegando con un tunnel le due autorimesse.

Concludeva, quindi, chiedendo che venisse dichiarato che il manufatto realizzato dalla convenuta ed utilizzato come autorimessa era stato eretto in violazione della normativa urbanistica vigente nel Comune di Vicenza ed in violazione delle distanze dal confine per quanto concernente il mappale 885 di proprietà dell’attore, condannando la convenuta alla rimozione del manufatto ed al risarcimento del danno.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale contestava la sussistenza della dedotta violazione della disciplina urbanistica, il Tribunale adito rigettava al domanda attorea e condannava il F. alla rifusione delle spese processuali In virtù di rituale appello interposto dal F., con il quale lamentava che erroneamente il giudice di prime cure aveva ritenuto applicabile l’art. 50 delle norme tecniche di attuazione del PRG al fine di escludere la necessità, nella realizzazione dell’autorimessa, di rispettare la distanza di 5 metri dal confine, sul presupposto che trattavasi di lotto unico rispetto a quello ove era ubicato l’edificio principale confinante, giacchè distinti erano i mappali, appartenenti a proprietari diversi, e che il mappale su cui aveva edificato l’autorimessa era stato acquistato dalla convenuta dopo l’entrata in vigore del PRG, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza dell’appellata, accoglieva il gravame e in riforma della sentenza impugnata condannava la appellata all’arretramento del manufatto adibito a garage realizzato sul mappale 1157 portandolo ad una distanza di mt. 5 dal confine con il mappale 885 di proprietà del F., respinta la domanda di risarcimento dei danni.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale evidenziava la inapplicabilità dell’art. 50 delle norme tecniche di attuazione del PRG del Comune di Vicenza al caso di specie giacchè i lotti su cui insistevano la costruzione principale e quella accessoria, pur essendo caratterizzati dalla contiguità dei mappali, erano di proprietà di soggetti diversi, l’uno, dove insisteva il fabbricato principale, di proprietà condominiale, l’altro, quello pertinenziale, di proprietà della appellata. Con la conseguenza che considerato come lotto separato il mappale 1157, l’appellata nel realizzare il garage avrebbe dovuto rispettare la distanza di mt. 5 dai confini, residuando per la conformazione del lotto una striscia edificabile larga appena mt. 1,50.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione la D.C., che risulta articolato su un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso il F. che ha anche proposto ricorso incidentale, con due motivi di doglianza (in particolare la seconda censura da ritenere condizionata all’accoglimento del ricorso principale), cui ha replicato parte ricorrente. Ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c. parte ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., in quanto attengono al medesimo provvedimento.

Ciò precisato, si osserva che con un unico motivo la ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione dell’art. 50 delle norme tecniche di attuazione al PRG del Comune di Vicenza. In particolare, la D.C. sostiene che la corte di merito avrebbe erroneamente interpretato l’art. 50 affermando che la costruzione realizzata dalla ricorrente aveva comportato l’asservimento (in termini di distanze nelle costruzioni, inferiori a quelle legali) di un fondo (quello su cui insiste il fabbricato principale) di proprietà di un soggetto diverso da quello su cui era stato costruito il locale accessorio, in quanto la norma invocata non prevederebbe l’unicità del lotto con riferimento al terreno su cui insistono le costruzioni, principale ed accessoria, bensì il solo requisito che il realizzando locale sia accessorio al fabbricato preesistente. Il motivo non merita accoglimento.

Poichè la censura si incentra sull’erronea interpretazione della norma – integrativa di quelle del c.c. sulle distanze delle costruzioni – contenuta nell’art. 50 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Vicenza, in vigore all’epoca del rilascio alla D.C. della concessione edilizia relativa al fabbricato oggetto di causa, è opportuno richiamarne il testo nella parte che rileva ai fini della decisione. La norma in questione, con riferimento alla zona che interessa la presente causa, così dispone:

“Costruzioni accessorie….2) Per i fabbricati esistenti, alla data dell’entrata in vigore del P.R.G., sono consentiti, nell’ambito della superficie utile massima ammissibile, locali accessori quali autorimesse, magazzini, lavanderie, legnaie, ecc. nella misura massima di mq. 30 per ogni alloggio, staccati dal fabbricato principale, qualora ne sia dimostrata l’impossibilità di realizzarli all’interno o a ridosso del fabbricato stesso. L’altezza massima delle costruzioni accessorie non può superare i mt 2,50. Tali volumi accessori non saranno presi in considerazione ai fini dei distacchi tra corpi di fabbrica; essi potranno essere costruiti a confine con pareti non finestrate ed a condizione che la parte di parete eventualmente prospiciente sia pure non finestrata (cieca)”.

Com’è evidente, sia dal tenore letterale delle cennate disposizioni sia dal loro significato logico, quale desumibile dalla correlazione tra le stesse, la disciplina delle distanze in detti casi viene stabilita con riferimento al concetto di vincolo di pertinenzialità fra costruzioni. Con la conseguenza che la mancata osservanza di una soltanto delle condizioni previste dal predetto art. 50 comporta la violazione del distacco minimo tra gli edifici originari ed i confini di proprietà, per cui la tutela dei confinanti interessati, anche in presenza di atto autorizzatorio del Comune, può comportare la demolizione ovvero l’arretramento della costruzione accessoria, eretta senza l’osservanza di quelle condizioni.

Altrettanto evidente, soprattutto alia luce della rubrica “Costruzioni accessorie”, è la finalità urbanistica perseguita con tali disposizioni e cioè quella di assicurare che le nuove costruzioni da erigere nei lotti ove già esistano fabbricati, i piccoli annessi (con superficie non superiori a 30 mq), i quali, in considerazione della esiguità del terreno, non sarebbero altrimenti realizzabili, siano posti a servizio dell’edificio principale, e ciò in quanto il parametro di riferimento per l’individuazione di detti lotti viene rinvenuto anche in situazione di inedificazione dei luoghi. Ma è solo in presenza di tali requisiti che è possibile realizzare la costruzione accessoria. La fattispecie deve, dunque, essere esaminata alla luce della disciplina dettata dalla normativa in tema di rapporto pertinenziale, che parte ricorrente assume intercorrere tra l’appartamento sito al secondo piano dello stabile condominiale e l’autorimessa in contestazione, beni entrambi di proprietà della D.C.. Pur non disconoscendo questo collegio la diversità intercorrente fra pertinenza e cosa accessoria, dimostrata dal fatto che il legislatore le considera separatamente, l’una a fianco all’altra, ad esempio in materia di obbligazioni del venditore (cfr art. 1477 c.c., comma 2), in verità solo nella pertinenza è ravvisabile il vincolo durevole di destinazione ad ornamento o servizio, laddove la cosa accessoria non è legata stabilmente alla principale, nè, per altro verso, confluisce in modo indispensabile a formare la cosa composta; con la conseguenza che non si applica alle cose accessorie l’art. 818 c.c. Ciò precisato, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio è necessaria la presenza del requisito soggettivo dell’appartenenza del bene accessorio e del bene principale in proprietà al medesimo soggetto, nonchè del requisito oggettivo della contiguità, anche solo di servizio, tra i detti beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare una “utilità al bene principale, e non già al proprietario di esso” (cfr Cass. 2 marzo 2006 n. 4599; Cass. 6 settembre 2002 n. 12983; Cass. 3 novembre 2000 n. 14350).

Orbene se per la configurazione di un rapporto pertinenziale sono necessari un elemento soggettivo, consistente in un atto dispositivo, nella volontà effettiva del titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni collegati, di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio o all’ornamento di quella principale, e di un elemento oggettivo, inteso nel senso che la cosa accessoria deve essere posta in una relazione di complementarietà con quella principale, nel caso di specie deve essere esclusa la natura pertinenziale del lotto 1157 (sul quale è stata realizzata l’autorimessa in contesa), retrostante l’edificio condominiale, rispetto all’appartamento di proprietà della ricorrente, non riscontrandosi l’elemento soggettivo del rapporto funzionale fra gli immobili, in quanto si tratta di beni insistenti su lotti di proprietà di soggetti diversi, l’uno, l’edificio principale, di proprietà condominiale e quindi in comunione, l’altro, l’autorimessa, di proprietà esclusiva della D.C.. Del resto la premessa per l’applicabilità dell’art. 50 invocato dalle parti è costituita dalla disciplina generale sul vincolo pertinenziale in relazione a situazione di fatto di un’unica area, e ciò a prescindere dal dato catastale, non essendo la norma regolamentare idonea ad imprimere una distinta vocazione edificatoria a ciascuno dei due lotti in mancanza delle condizioni ivi contemplate. Soltanto a tale situazione occorreva fare riferimento ai fini dell’individuazione della distanza da applicare nel caso concreto, non rilevando nè la contiguità dei lotti, considerata quale unico elemento, nè la licenza edilizia rilasciata per edificare sul lotto 1157, occorrendo, invece, accertare, la ricorrenza di entrambi i requisiti della pertinenzialità, rivelatori della destinazione funzionale dell’un bene rispetto all’altro. Correttamente la sentenza impugnata non ha attribuito valore alla circostanza che la ricorrente abbia goduto del box auto realizzato su fondo di sua esclusiva proprietà per soddisfare esigenze della sua famiglia alloggiata nell’abitazione sita nello stabile condominiale Tale principio non è contraddetto dalla presenza di numerose pronunce giurisprudenziali, le quali ravvisano in numerosi fattispecie una vera e propria “presunzione di pertinenzialità” dell’autorimessa o del posto auto a servizio dell’appartamento. Secondo tale orientamento “sussiste la presunzione di un rapporto pertinenziale a norma dell’art. 817 c.c. tra l’appartamento destinato ad abitazione ed posto auto sito nell’autorimessa condominiale, qualora gli immobili appartengano al medesimo proprietario, siano ubicati nel medesimo edificio ed il posto auto risulti destinato a soddisfare esigenze abitative della famiglia alloggiata nell’appartamento” (v. Cass. 8 marzo 1990 n. 1857). Ciò che però differenzia la fattispecie richiamata da quella presa in esame e che non consente di applicare la medesima disciplina, è che nella prima il proprietario delle due unità immobiliari è lo stesso.

Un rapporto di pertinenzialità “necessario” tra appartamento e autorimessa è stato, poi, individuato anche esaminando la disciplina urbanistica in materia. Infatti, la L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies così come modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18 prescrive che nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di loro pertinenza debbano essere riservati appositi spazi per parcheggi, e perciò “pone un vincolo pubblicistico di destinazione, ed un rapporto di pertinenza necessario tra gli appartamenti dell’edificio e gli spazi per parcheggio posti al loro servizio, che non può essere spezzato da atti di autonomia privata” (v. Cass. 28 ottobre 1992 n. 11731). Ma anche in detta fattispecie valgono le considerazioni di cui sopra. Infatti, è noto che la funzione pertinenziale di fatto, vale a dire il servizio reso da una cosa a vantaggio di un’altra in virtù del mero materiale collegamento, non è sufficiente a consentire il vincolo pertinenziale, perchè a questo fine è necessario l’atto di destinazione, compiuto dal soggetto legittimato nelle forme prescritte per i beni cui afferisce.

In particolare, essendo il bene principale inserito in una res comune, della quale costituisce parte integrante, per costituire il vincolo pertinenziale occorreva una deliberazione condominiale che si esprimesse in tal senso. Del resto un edificio, essendo costituito dalla costruzione che va dalle fondamenta al tetto, include, oltre ai vani esistenti nel soprassuolo, anche le fondamenta ed il suolo su cui sorge a livello del piano di campagna; nel caso di un edificio la cui proprietà sia divisa per piani, l’intera struttura, dal combinato disposto dell’art. 1117 c.c. con l’art. 840 c.c., va considerata di proprietà comune. Pertanto, un condomino non può procedere senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione ad un atto di imposizione del vincolo pertinenziale, giacchè con l’attrarre la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva viene a ledere il diritto di proprietà degli altri condomini, costituendo un uso abnorme del bene comune (in violazione anche del c.d. uso più intenso de bene comune ex art. 1102 c.c., ampiamente riconosciuto da questa corte), perchè il collegamento tra tali unità, quella abitativa e quella ad uso autorimessa, viene a determinare, inevitabilmente, la creazione di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato e può, in ipotesi, creare una eventuale servitù di passaggio a carico di un eventuale ingresso condominiale su via pubblica (v. Cass. 6 febbraio 2009 n. 3035; Cass. 19 aprile 2006 n. 9036).

Non è soggetta a cassazione, dunque, la sentenza impugnata, quand’anche la censurata condanna all’arretramento del manufatto adibito ad autorimessa sia stata erroneamente motivata dalla Corte di merito sulla impossibilità di valutare nella specie l’esistenza di un unico lotto ai fini della applicabilità della norma di attuazione del P.R.G. del Comune di Vicenza, e non già sulla mancanza di validi requisiti per accertare il nesso di pertinenzialità necessario per l’applicazione della norma sopra invocata, concetti estranei alla pronuncia e neppure ipotizzati. Conclusivamente, quindi, emendata nella motivazione la sentenza impugnata, il ricorso principale non può essere accolto.

Passando ad esaminare il ricorso incidentale avanzato dal F., si osserva che in ordine alla erroneità della decisione della corte distrettuale per avere dichiarato l’infondatezza degli altri motivi di doglianza dell’appellante, in particolare per avere ritenuto ininfluente al fine del decidere la questione che le pareti prospicienti il manufatto fossero finestrate e nel ritenere modesta la differenza di soli 4 cm. rispetto all’altezza prevista dalla normativa invocata del manufatto realizzato, premesso che trattasi di censura condizionata all’accoglimento del ricorso principale, va precisato che nell’articolazione della doglianza il resistente – ricorrente in via incidentale omette di chiedere alcunchè, anche della parte dispositiva del controricorso (v. punto 1) a pag. 13 dell’atto). La censura, poi, si risolve in una inammissibile richiesta di revisione del ragionamento decisorio del merito, non sussumibile nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (v., fra le altre, Cass. 7.6.2005 n. 11789; Cass. 6.3.2006 n. 4766), diretta contro la valutazione delle altre censure dedotte dall’appellante, prima ancora che infondata, risulta inammissibile (v. Cass. 23.11.2005 n. 24591;

Cass. 28.3.2006 n. 7074), anche perchè è rivolta contro una argomentazione chiaramente svolta ad abundantiam dalla Corte di merito.

Infine, quanto al secondo motivo introdotto dal F., sempre con ricorso incidentale, circa la compensazione delle spese di lite del giudizio di gravame, una considerazione appare dirimente: solo nella parte dispositiva del controricorso viene chiesto “2) che la Ecc.ma Corte voglia cassare la sopra citata sentenza della Corte di Appello di Venezia nella parte in cui dispone la compensazione per intero delle spese giudiziali tra le parti”, senza alcuna altra articolazione della propria denuncia. Questa formulazione non può ritenersi idonea per l’assorbente ragione che in realtà manca l’indicazione di specifici elementi di fatto su cui verterebbe il vizio di motivazione, non essendo a tal fine adeguato il generico riferimento alla compensazione delle spese di lite, che in effetti non può ritenersi un vero e proprio fatto, ma una qualificazione formulata a conclusione di un giudizio composto di elementi di fatto ed elementi di diritto, onde la necessità che la deduzione evidenzi l’insufficiente o viziato esame di elementi di fatto concretamente rilevanti ai fini del giudizio formulato, che nella specie non risulta adeguatamente esposto.

Ne consegue che entrambi i motivi proposti con ricorso incidentale, più che infondati, sono inammissibili.

In conclusione, va rigettato il ricorso principale e dichiarato inammissibile quello incidentale.

In considerazione dell’esito del giudizio, che registra la reciproca soccombenza delle parti, le spese del giudizio di cassazione vanno interamente compensate fra le parti.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA