Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12854 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2021, (ud. 27/11/2020, dep. 13/05/2021), n.12854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7472/2012 R.G. proposto da:

Assimoco Spa, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Pace, presso il

quale è domiciliata in Milano Corso di Porta Romana n. 89/b, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 102/5/2011, depositata in data 10 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2020

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Umberto De Augustinis, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto.

Udito l’Avv. Ernesto De Sanctis su delega dell’Avv. Fabio Pace per la

contribuente che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Alfonso Peluso che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Assimoco Spa, compagnia assicuratrice autorizzata al rilascio di polizze fideiussorie D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 38 bis, in esito ad una indagine della Guardia di finanza relativa a numerosi rimborsi richiesti tra il 1996 e il 1999, dalla quale era emersa la falsità della documentazione posta a fondamento delle istanze dei contribuenti, procedeva, previa consulenza commissionata allo scopo di contenere le rilevanti conseguenze dell’indagine, ad una attività di “bonifica fiscale” delle posizioni coinvolte mediante ricorso alla procedura di condono ex L. n. 289 del 2002 per conto dei propri clienti, con versamento della complessiva somma di Euro 574.248,00, che, in uno con le somme pagate per la consulenza (pari a Euro 1.228,569,85), veniva detratta quale costo per l’anno 2003.

L’Agenzia delle entrate, ritenuto il costo non inerente, con avviso di accertamento recuperava le maggiori somme dovute per Irpeg e Irap, oltre interessi e sanzioni. Contestava, inoltre, in relazione agli esiti dell’attività di controllo sulla Società Reale Mutua Assicurazioni, l’irregolare fatturazione di operazioni imponibili rispetto a contratti di coassicurazione tra le società, indebitamente non assoggettati ad Iva, recuperando le relative somme.

L’impugnazione della contribuente era rigettata dalla CTP di Milano. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

Assimoco Spa propone ricorso per cassazione con tredici motivi, poi illustrato con memoria.

L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa od insufficiente motivazione in ordine all’inerenza dei costi costituiti dall’esborso per il pagamento del condono per conto dei propri clienti -, la cui valutazione prescinde dall’esistenza di una specifica originaria previsione contrattuale della prestazione stessa, essendo sufficiente che gli stessi siano riferibili all’attività d’impresa.

1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sulla medesima questione, violazione e falsa dell’art. 75 tuir, ratione temporis vigente, ora art. 109 tuir.

1.2. Il terzo motivo denuncia, in subordine al secondo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla sussistenza di una correlazione tra i costi dedotti e i ricavi.

1.3. Il quarto motivo denuncia, in via di ulteriore subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa od insufficiente motivazione in relazione alla natura del salvataggio ex art. 1914 c.c. quale obbligo dell’assicuratore.

1.4. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 167,115 e 112 c.p.c. per aver la CTR ritenuto non contestata dal contribuente la circostanza, dedotta dall’Ufficio, secondo cui in sede di accertamento aveva tenuto conto delle perdite pregresse.

1.5. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per ultrapetizione in violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. per aver la CTR deciso in base ad un fatto – l’aver l’Ufficio tenuto conto delle perdite in sede di accertamento – introdotto solo in appello.

1.6. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 102 tuir, ratione temporis vigente, ora 84 tuir, per non aver la CTR, nell’accogliere la pretesa dell’Ufficio ai fini Irpeg, tenuto conto delle perdite pregresse dedotte in primo grado, non contestate dall’Ufficio e, dunque, rilevanti come fatto estìntivo della pretesa fiscale.

1.7. L’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione sull’insussistenza delle sanzioni “in quanto l’imposta evasa è pari a zero”.

1.8. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, per non esser dovute maggiori imposte.

2. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati unitariamente per connessione logica, sono fondati.

2.1. Occorre preliminarmente sottolineare, in punto di fatto, che l’intera attività realizzata dalla Assimoco Spa, come è incontroverso in giudizio, mirava – a fronte degli esiti delle indagini della Guardia di finanza – ad evitare l’erogazione diretta di una complessiva somma superiore ai sei milioni di Euro per la necessità di versare, quale garante, gli importi Iva indebitamente rimborsati in base alla documentazione falsa predisposta dai singoli contribuenti-clienti.

Per evitare tale oneroso adempimento, la società aveva disposto una consulenza per individuare le modalità più congrue per rinvenire una soluzione per essa meno onerosa, modalità che – come indicato nella parte in fatto – si traduceva nella presentazione della domanda di condono, della cui definizione, inoltre, la stessa società si era fatta carico “per conto” dei clienti.

A fronte di tutto ciò l’Ufficio riconosceva la deducibilità dei costi relativa all’espletata consulenza e non, invece, l’esborso effettuato in proprio per il pagamento del condono.

2.2. Ciò detto, va rilevato che la questione centrale – su cui sono incentrate le doglianze della ricorrente – va individuata nella nozione di inerenza dei costi.

La CTR, infatti, dopo aver affermato che le “polizze (fideiussorie) non possono considerarsi contratti di assicurazione personale” e, dunque, “non rientrano nella previsione di cui all’art. 1914 c.c. che prevede che l’assicurato deve fare quanto è possibile per evitare o diminuire il danno”, ha precisato che “la scelta della compagnia che ha pagato il condono per conto dei propri clienti è scelta di mera convenienza. Non può essere correlata a ricavi d’impresa” ed ha concluso affermando che “i costi sostenuti devono essere considerati indeducibili in quanto non costituiscono alcun adempimento del contratto”.

2.3. Secondo la più recente giurisprudenza della Corte “in tema di imposte sui redditi, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 del medesimo D.P.R., ora art. 109, comma 5, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo”, fermo restando che l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente (v. Cass. n. 450 del 11/01/2018; Cass. n. 3170 del 09/02/2018; Cass. n. 18904 del 17/07/2018; Cass. n. 30366 del 21/11/2019; Cass. n. 902 del 17/01/2020).

Giova sottolineare, invero, che il giudizio di correlazione verte tra i costi e “l’attività d’impresa” e, dunque, a prescindere da una “utilità”, la quale postula un rapporto di causalità diretta tra il costo e il vantaggio per l’impresa, che non è detto debba esservi, nè trova un riscontro in dati normativi positivi e, comunque, non si attaglia a svariate sopravvenienze negative, quali, ad esempio, le perdite.

L’utilità, in ipotesi – come anche l’incongruenza quantitativa può assumere solo un eventuale rilievo indiretto, sintomatico, ai fini della prova che il costo (non) è inerente, prova che in positivo, come rilevato, incombe sul contribuente il quale – ancor prima di dover far fronte all’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale – è tenuto a provare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza, l’effettività e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa.

Invero, quando l’operazione realizzata risulti complessa o anche atipica od originale rispetto alle usuali modalità di mercato, tale onere si atteggia in termini parimenti complessi: la qualificazione dell’operazione come atto d’impresa (che, per scelta o ventura, ha un coefficiente negativo) deve tradursi in elementi oggettivi suscettibili di apprezzamento in funzione del giudizio di inerenza.

Tali connotazionì, peraltro, investono il concreto svolgimento delle operazioni e non comportano, come dato indefettibile od anche solo necessario, che l’attività dell’impresa sia conseguente alla assunzione o all’adempimento di specifici obblighi contrattuali, ben potendo discendere da una scelta, strategica, di politica aziendale, sviluppata in autonomia.

2.4. A tali principi la CTR non si è attenuta.

Seppure possa condividersi il rilievo che la polizza fideìussoria resa in relazione al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis – a garanzia del rimborso anticipato dell’Iva – non può essere ricondotta alle assicurazioni contro i danni, nè, comunque, alla responsabilità civile, sicchè, da un lato, non è invocabile l’art. 1914 c.c., mentre, dall’altro, i pagamento del condono da parte della contribuente “per conto” dei propri assicurati non costituisce diretta attuazione od adempimento di un obbligo contrattuale, non può aderirsi alle conclusioni raggiunte e ciò per il significativo rilievo che è sufficiente, ai fini del giudizio di inerenza, che l’operazione realizzata sia correlata all’attività d’impresa ancorchè in forza di una scelta “di convenienza”.

La stessa considerazione spesa a fondamento della scelta, ossia che gli evidenti rischi cui l’attività mirava a far fronte erano costituiti non solo dall’entità dell’esborso ma anche, e soprattutto, dal pericolo di non riuscire, successivamente a recuperare dai singoli clienti le somme versate, pone in risalto che, in realtà, l’azione della compagnia assicuratrice appariva funzionale all’interesse proprio, d’impresa, di minimizzare le perdite (potenziali) e di definire in tempi ragionevoli una situazione intrinsecamente pregiudizievole.

3. I motivi dal terzo al nono, parte dei quali formulati solo in via subordinata, restano conseguentemente assorbiti.

4. Con i successivi motivi – dal decimo al tredicesimo – la ricorrente denuncia, per omessa od insufficiente motivazione e violazione di legge, la sentenza della CTR con riguardo all’omessa fatturazione di operazioni imponibili in relazione a compensi derivanti da contratti di coassicurazione. In particolare:

4.1. Il decimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa e insufficiente motivazione in ordine all’omessa motivazione e prova della pretesa ai fini Iva, fondata esclusivamente sugli esiti di una attività di accertamento nei confronti della Reale Mutua Assicurazioni, dalla quale era emersa l’esistenza di contratti di coassicurazione con la contribuente e l’emissione di fatture senza apposizione dell’Iva.

Tale elemento costituiva un mero indizio, riferito alla contabilità della Reale Mutua Assicurazioni, insufficiente a motivare e provare la pretesa senza la conferma nella contabilità della contribuente, sicchè l’atto di accertamento era carente di motivazione per mancato assolvimento dell’onere probatorio.

4.2. L’undicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alle medesime questioni di cui al decimo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 115 e 167 c.p.c..

Deduce, inoltre, l’omessa prova della pretesa Iva anche per non aver l’Ufficio indicato le prestazioni svolte dalla delegataria con spendita del nome delle coassicuratrici escluse dall’imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 15, comma 1, n. 3, lacuna probatoria eccepita dalla contribuente e la cui mancata contestazione da parte dell’Ufficio doveva ritenersi acquisita agli atti ai sensi e agli effetti degli artt. 167 e 155 c.p.c..

4.3. Il dodicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa od insufficiente motivazione sulla questione se le prestazioni di mandato fossero relative ad operazioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 1, ratione temporis vigente, e, dunque, esenti ai sensi della norma, comma 1, successivo n. 9, non eliminando la clausola di delega l’elemento caratterizzante del contratto di coassicurazione, ossia l’assunzione del rischio.

4.4. Il tredicesimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 3, dell’art. 2967 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per aver la CTR posto a carico del contribuente l’onere di specificare quali delle prestazioni contestate siano state rimborsate alla contribuente dalle coassicuratrici e quali consistano in prestazioni di servizi soggette a Iva.

5. I motivi, da esaminare unitariamente perchè in rapporto di connessione logica, sono in parte infondati, in parte inammissibili.

5.1. Va premesso, in primo luogo, che la CTR ha espressamente aderito alla sentenza del giudice di primo grado, che ha fatto propria con autonome e specifiche argomentazioni.

Ne deriva, dunque, che, in primo luogo, le motivazioni espresse dalla CTP, da ritenersi richiamate per relationem, costituiscono parte integrante anche della sentenza di appello, sicchè era onere della ricorrente – che pure ha riprodotto la sentenza della CTP (pag. 5456 del ricorso) – espressamente censurare le relative statuizioni.

5.2. Ne consegue l’inammissibilità della contestata omessa o insufficiente motivazione quanto alla motivazione dell’avviso, attesa l’esplicita e specifica valutazione operata dalla stessa CTP, neppure oggetto di censura in sede di legittimità.

Occorre ricordare, del resto, la distinzione tra la questione dell’esistenza della motivazione dell’atto impositivo, requisito formale di validità, e quella concernente, invece, indicazione ed effettiva esistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che non è prescritta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo ma è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria da applicarsi nello svolgimento del giudizio (Cass. n. 8399 del 05/04/2013).

Neppure si pone, dunque, un profilo di legittimità dell’atto impositivo perchè “carente di motivazione per mancato assolvimento dell’onere probatorio”.

5.3. Quanto alle doglianze in ordine alla carenza probatoria della pretesa fiscale perchè sorretta solo dall’elemento indiziario delle risultanze dell’accertamento svolto nei confronti dell’altra compagnia assicurativa, va ribadito il principio, assolutamente consolidato nella giurisprudenza della Corte, che gli elementi assunti a fonte di presunzione – e su cui si fonda la pretesa dell’Amministrazione – non debbono essere necessariamente plurimi, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su un solo elemento purchè grave e preciso, ossia dotato di elevata valenza probabilistica (Cass. n. 31243 del 29/11/2019; Cass. n. 3276 del 12/02/2018; Cass. n. 30803 del 22/12/2017; Cass. n. 656 del 15/01/2014; v. anche, in epoca risalente, Cass. n. 982 del 09/04/1974).

Orbene, la CTR ha ritenuto, in termini impliciti ma non meno chiari, l’elemento indiziario costituito dalla documentazione contabile della Reale Mutua Assicurazioni, controparte nelle prestazioni in giudizio, dotato di rilevante efficacia probatoria, sì da ritenere la fondatezza della ripresa.

Tale conclusione, del resto, risponde a criteri di logica, dovendovi essere identità tra la fattura in possesso dell’emittente e quella consegnata al destinatario, incombendo alla parte che ne contesta la conformità la prova contraria, nella specie non fornita.

5.4. Parimente infondata è la dedotta non contestazione.

Questa Corte (Cass. n. 2196 del 6/02/2015) ha precisato, in primo luogo, che la non contestazione, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 c.p.c., a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano probatorio dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza.

Inoltre, il principio di non contestazione trova qui comunque un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto immediato, sicchè la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, l’attenzione sia rivolta (come nella specie) alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre “le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente”, indicando “le prove di cui intende valersi” e proponendo “altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, non per questo può trascurarsi che l’Amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto.

Ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione, non può essere considerato come base per affermare l’esistenza, in capo all’Amministrazione, di un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo.

Nella vicenda in giudizio, dunque, l’affermazione della lacunosa indicazione delle prestazioni esenti a fronte della ripresa delle prestazioni che risultavano effettuate in forza della clausola di delega la mera affermazione della società ricorrente che talune di esse dovevano essere ritenute esenti perchè derivanti da rimborso spese o anticipazioni, in assenza, peraltro, di alcun riscontro probatorio correttamente incombente sulla parte trattandosi di fatto impeditivo della ripresa dell’Ufficio – non può comportare l’applicabilità del principio di non contestazione, atteso che il giudice del gravame ha comunque ritenuto di dare rilevanza alle risultanze probatorie acquisite (e, in ispecie, a quanto emerso dalle indagini presso la Reale Mutua Assicurazioni).

5.5. Infine, con riguardo al merito della pretesa, su cui la società ha dedotto un asserito vizio di motivazione ancorchè la questione involga la corretta applicazione di legge, è dirimente la correttezza in diritto della decisione impugnata.

5.6. Come già affermato da questa Corte, infatti, “In tema di iva, posto che la coassicurazione non modifica la ripartizione pro quota del rischio tra i coassicuratori, nè concerne aspetti essenziali dell’attività d’intermediario o di mediatore di assicurazione, con particolare riguardo alla ricerca di potenziali clienti, l’attività oggetto della clausola di delega al coassicuratore non può essere considerata esente da iva, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 2, perchè, per un verso, non ha natura assicurativa e, per altro verso, non è accessoria, nell’accezione speciale al riguardo rilevante, rispetto a questa”.

La Corte, con ampia motivazione, partendo dalla nozione di attività assicurativa applicata nel diritto unionale, ha sottolineato che “La stipulazione della clausola di “guida” o di “delega” non vale a modificare natura ed effetti dei distinti rapporti, con la creazione di un’obbligazione solidale tra i rispettivi titolari: la clausola ha la funzione di conferire a uno degli assicuratori l’incarico di gestire il contratto e di compiere gli atti relativi allo svolgimento del rapporto assicurativo, ma non elimina -nemmeno nel caso di mala gestio del coassicuratore delegato- la caratteristica essenziale della coassicurazione, ossia l’assunzione pro quota dell’obbligo di pagare l’indennità al verificarsi dell’evento previsto”, per cui essa “non incide sul rapporto tra coassicuratore delegato e assicurato, ampliandolo, nè ne instaura uno ulteriore”.

Quel che rileva, allora, “è il contenuto dell’attività (tra varie, Corte giust. Arthur Andersen, causa C-472/03, punto 32; Abbey National, causa C.-169/04, e J.C.M. Beheer, causa C-124/07, punto 17) che sia divenuta oggetto di un rapporto contrattuale anche indiretto con l’assicurato”, sicchè non è possibile riconoscere l’esenzione dall’iva alle operazioni svolte in esecuzione della clausola di delega affermandone l’assimilabilità a quelle assicurative.

Nè esse sono riconducibili alle prestazioni accessorie, non risolvendosi il servizio così offerto (riscossione premi, gestione sinistri, ricevimento delle comunicazioni dell’assicurato, come nella specie), “nella copertura di un rischio, nè è reso da un mediatore o intermediario di assicurazioni”.

Neppure giova, infine, ai fini della riconducibilità delle prestazioni nello specchio di esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 9, la qualificazione del rapporto quale mandato con o senza rappresentanza, occorrendo pur sempre che il mandatario “partecipi a una prestazione di servizi di natura assicurativa o che comunque risponda al canone di accessorietà” su evidenziato, qui strutturalmente assente.

L’orientamento di questa Corte, del resto, ha trovato recente e puntuale riscontro anche nei più recenti arresti della Corte di Giustizia (v. sentenza 8 ottobre 2020, in C-235/19, United Biscuits (Pensions Trustees) Limited, par. 29 e 30, 32 e ss).

6. In conclusione, accolti il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbiti i motivi dal terzo al nono, infondati gli altri, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente, in diversa composizione per un ulteriore esame in coerenza con i principi affermati ai punti 2.3. e 2.4.

PQM

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbiti i motivi dal terzo al nono, infondati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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