Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12851 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27104/2014 R.G. proposto da:

B.A. (deceduto), rappresentato e difeso dall’avv. Antonello

Linetti del Foro di Brescia e dall’avv. Daniele Manca Bitti del Foro

di Roma, domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via

Luigi Lucani, n. 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 1805/66/14, emessa dalla Commissione

tributaria regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia

il 20.01.2014 e depositata in data 08.04.2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 febbraio

2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.A. (deceduto in data (OMISSIS)) propose ricorso avverso l’avviso di accertamento emesso, ai fini IRPEF 2005, dall’Agenzia delle Entrate di Brescia che aveva rideterminato il reddito del contribuente per una plusvalenza accertata a seguito di compravendita di un terreno per un valore dichiarato di Euro 126.700,00, a fronte di un valore definito ai fini dell’imposta di registro dall’acquirente di Euro 182.410,00.

2. La Commissione tributaria provinciale di Brescia, con sentenza depositata in data 14.10.2011, accolse il suddetto ricorso evidenziando che l’ufficio non aveva esibito alcuna prova in merito all’incasso da parte del contribuente venditore, di una somma maggiore rispetto a quella dichiarata in atti e che l’Ufficio non poteva basarsi automaticamente sul valore definito per l’imposta di registro dalla parte acquirente.

3. L’appello proposto dall’ufficio avverso l’anzidetta decisione veniva accolto con sentenza n. 1805, depositata in data 8 aprile 2014, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia, nella considerazione che “il valore di mercato determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro può essere legittimamente utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale a seguito di cessione dell’azienda, restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato, mediante la prova, desumibile dalle scritture contabili o da altri elementi, di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore”.

4. Avverso tale decisione il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui Agenzia delle entrate – dando atto dello sgravio da parte dell’Ufficio degli importi iscritti a ruolo a titolo di sanzioni – resiste con controricorso, cui la difesa replica con memoria.

5. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell’8 febbraio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto “motivazione apparente e conseguente nullità della sentenza” ex art. 360 c.p.c., n. 4 o in subordine per omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, asserendo che la sentenza impugnata sarebbe “del tutto priva dell’esposizione del motivi sui quali la decisione si fonda” e, quindi, contraddistinta da motivazione “solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi”.

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Come costantemente affermato da questa Corte, il vizio di omessa motivazione ricorre “quando il giudice di merito ometta di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero, pur individuando tali elementi, non procede ad una loro disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito” (v. Cass. Sez. 5, 27/07/2007, n. 16736 e, per tutte, recentemente Sez.6-5, 07/04/2017, n. 9105). L’estrema concisione della motivazione determina pertanto la nullità della sentenza, solo allorquando risulta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento della decisione (cfr. Cass. Sez. 3, 09/10/2012, n. 17164).

1.4. Nel caso di specie la sentenza gravata indica con precisione il thema decidendum, dando compiutamente conto della ratio decidendi. I giudici di appello, infatti, sia pure in maniera sintetica, hanno ritenuto di confermare la legittimità dell’atto impositivo, ritenendo che il medesimo fosse supportato dalla motivazione dell’atto impositivo stesso. Trattasi, invero, di motivazione che esplicita le ragioni della decisione e che non può considerarsi meramente apparente, in quanto assolve alla funzione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

1.6. Non appare poi ravvisabile alcun vizio della sentenza impugnata “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, genericamente contestato nel ricorso in via subordinata, la cui inammissibilità appare palese, non risultando nella specie indicato il fatto storico decisivo che i giudici avrebbero omesso di esaminare. Invero ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), occorre che un “fatto storico”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, 03/10/2018, n. 24035), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, 18/10/2018, n. 26305), sia stato totalmente trascurato dal giudice, sebbene dibattuto tra le parti; l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra viceversa il vizio dedotto, dovendosi trattare di un “fatto” che sia comunque dotato di una valenza tale da non poter essere escluso dalla valutazione quale elemento decisivo (dirimente) per la corretta soluzione della lite.

2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente al principio dell’onere della prova così come codificato dall’art. 2697 c.c., e relativamente all’applicazione delle presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2729 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. Seppure questa Corte abbia costantemente affermato come nella fase di accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, l’Amministrazione finanziaria sia legittimata a procedere in via presuntiva sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di aver in concreto venduto ad un prezzo inferiore, non di meno, è ormai mutato il quadro normativo. Più precisamente, in applicazione del D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva deve escludersi che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento contenuto nella detta norma all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva ancorata al valore rispetto a quella prevista per l’IRPEF basata sul corrispettivo (Cfr. Cass. Sez. 5, 17/05/2017, n. 19227; nonchè più recentemente, Sez. 5, 16/12/2020, n. 28745; Sez. 5, 26/01/2021, n. 1581).

2.3. Questa Corte in applicazione dello ius superveniens, mutando il precedente orientamento ha statuito che, ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5 citato esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass., Sez. 5, 8/05/2019, n. 12131; Sez. 5, 18/04/2018, n. 9513; Sez. 5, 2/08/2017, n. 19227; Sez. 5, 30/03/2016, n. 6135).

2.4. Conseguentemente, come chiarito da Cass. Sez. 5, n. 2610 del 30 gennaio 2019, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione IRPEF, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo piuttosto l’Ufficio provvedere ad individuare ulteriori indizi, dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, che possano supportare adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente.

3. In definitiva, disatteso il primo motivo ed assorbito il terzo con cui il ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con l’accoglimento del secondo motivo di ricorso la sentenza va cassata e, non ravvisandosi alcuna necessità di ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa ex art. 384 c.p.c. con l’annullamento dell’atto impositivo originariamente impugnato. (Ndr: testo originale non comprensibile).

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo, restando assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso proposto dal contribuente annullando l’atto impositivo impugnato. Condanna l’Agenzia delle entrate al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del ricorrente, che liquida in Euro 3.700,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15%, nonchè Iva e Cpa come per legge. Compensa le spese di (Ndr: testo originale non comprensibile).

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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