Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1285 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 07/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4839-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MODICANA CERALI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLE

MUSE 8, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO DONNAMARIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA SIRIGNANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 477/2012 della COMM.TRIB.REG. Sicilia

SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 27/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PIRARI;

Avverso la sentenza n. 477.34.12 della Commissione tributaria

regionale di Palermo, sez. distaccata di Catania, depositata il

27/12/2012 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con separati ricorsi, la società Modicana Cereali s.r.l. impugnò cinque provvedimenti emessi dall’Ufficio delle Entrate di Ragusa. Impugnati dalla società i predetti avvisi, la Commissione tributaria provinciale di Ragusa, previa riunione dei gravami, confermò un avviso di accertamento e due avvisi di recupero crediti, dichiarando illegittimi i restanti due avvisi di accertamento.

Impugnata la sentenza da entrambe le parti, la C.T.R. della Sicilia sez. distaccata di Catania, riunì i due appelli e, avuta notizia dall’Ufficio che uno degli avvisi di accertamento dichiarati illegittimi e dallo stesso impugnato era stato definito D.L. 6 luglio 2011, n. 98, ex art. 39, comma 12, dichiarò estinto l’intero giudizio, ritenendo cessata la materia del contendere.

2. Contro la predetta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto definite tutte le questioni oggetto dell’impugnazione, benchè la disposizione del 2011 consentisse la definizione soltanto di quelle di importo inferiore a 20.000,00, mentre il valore di ciascuno degli accertamenti era decisamente superiore.

2. Con il secondo motivo, si lamenta il difetto di motivazione in relazione ad un punto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. deciso l’estinzione, senza indicare quali accertamenti fossero stati definiti, così rendendo una motivazione insufficiente, benchè l’Ufficio avesse indicato come definito soltanto uno degli accertamenti.

3. Il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), infatti, il ricorso per cassazione, deve essere redatto, a pena di inammissibilità, in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, il quale impone al ricorrente di selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c., venendo altrimenti pregiudicata l’intellegibilità delle questioni per essere rimasta oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata (Cass., sez. 5, 30/04/2020, n. 8425).

Pur non essendo inibito al giudice di legittimità il potere di esaminare direttamente gli atti e documenti sui quali il ricorso si fonda, ciò non significa che la censura non debba comunque essere proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito e, in particolare, alle prescrizioni dettate dal citato art. 366 c.p.c., comma 1, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, essendo il principio di autosufficienza corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni sopra citate (in tal senso, Cass., sez. u., 22/05/2012, n. 8077).

Orbene, l’Agenzia delle Entrate non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto ha del tutto omesso di specificare in ricorso il valore dei singoli avvisi, peraltro neppure indicati e allegati, impedendo così a questa Corte di verificare e valutare la fondatezza della dedotta violazione del D.L. n. 98 del 2011.

4. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede, infatti, “l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., sez. 5, 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., sez. 3, 20 agosto 2015, n. 17037; Cass., sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass.,, sez. L., 25 giugno 2018, n. 16703; Cass., sez. 5, 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415). L’accadimento o circostanza, inoltre, deve vertere su un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (ossia un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass., sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415).

Nella specie, la ricorrente si è limitata a criticare l’impostazione della motivazione, reputata insufficiente, senza specificare il fatto storico omesso, di qui l’inammissibilità del motivo.

5. Per quanto detto, le due censure sono inammissibili.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dell’Agenzia delle Entrate.

L’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., sez. 6-L, 29/1/2016, n. 1778; Cass., sez. 5, 14/5/2020, n. 8914).

P.Q.M.

dichiara l’inammissibilità del ricorso; Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della contribuente, delle spese del giudizio che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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