Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12847 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/06/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 26/06/2020), n.12847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI GIAIME Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 14910-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 86,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA MELUCCO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MATTEO MANTOVAN;

– ricorrente –

contro

D.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI MARIA

PASTEGA, ROSSANA BASILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO

GIAIME GUIZZI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

– che S.G. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 151/19, del 21 gennaio 2019, della Corte di Appello di Venezia, che – accogliendo il gravame esperito da D.R. avverso l’ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c., dal Tribunale di Venezia, pubblicata il 2 settembre 2016 – ha rigettato la domanda, proposta dall’odierna ricorrente, di condanna della Dorogoi alla restituzione dell’appartamento al piano ammezzato del fabbricato “Palazzo Contarini Pisani”, sito in Venezia, Cannaregio 3693;

– che, in punto di fatto, la ricorrente riferisce di essere proprietaria dell’appartamento “de quo”, nel quale aveva vissuto – sino al 26 settembre 2015, data del suo decesso – il di lei padre, S.A., in qualità di usufruttuario;

– che con il predetto S.A. aveva coabitato la D., in virtù di contratto di collaborazione ed assistenza domestica con il medesimo stipulato;

– che trascorsi quindici giorni dalla morte del proprio genitore, l’odierna ricorrente – essendo venuto meno, oltre al titolo negoziale che aveva legittimato la permanenza della D. nell’appartamento, anche quello previsto dall’art. 39, comma 5, del contratto collettivo nazionale di lavoro dei collaboratori domestici (che legittima i medesimi a tale ulteriore, limitata, permanenza, al fine di permettergli di organizzarsi e trovare una nuova occupazione) – richiedeva il rilascio dell’immobile;

– che a fronte del rifiuto della D., la S. adiva, ex art. 702-bis c.p.c., il Tribunale di Venezia, per vedere accertata l’occupazione “sine titulo” della convenuta, nonchè la condanna della stessa alla restituzione dell’immobile, nonchè al risarcimento del danno (da liquidarsi in separato giudizio);

che costituitasi in giudizio la D., la stessa eccepiva l’inammissibilità dell’azione esperita nei suoi confronti, qualificata la stessa come rivendica, in relazione alla quale l’attrice non aveva assolto l’onere della prova della proprietà del bene, oltre ad eccepire l’esistenza di un legato testamentario di S.A., che le avrebbe riconosciuto un diritto di abitazione della durata di tre anni;

– che la S. ribadiva la natura personale dell’azione esercitata;

– che l’adito giudicante accoglieva la domanda, sul presupposto che l’azione esperita fosse stata dall’attrice “correttamente qualificata” come “azione personale di restituzione”;

– che esperito gravame dalla D., il giudice di appello lo accoglieva, sul presupposto che quella esperita fosse un’azione di rivendicazione, visto che “l’azione di restituzione è destinata ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire un bene in precedenza volontariamente trasmesso dall’attore al convenuto in forza di negozi giuridici”, mentre la S. aveva agito “facendo valere la sua qualità di proprietaria”;

– che avverso la decisione della Corte lagunare ricorre per cassazione la S., sulla base di tre motivi;

– che con il primo motivo la ricorrente ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c., deducendo di aver agito, non perchè fosse riconosciuto il suo diritto di proprietà dell’immobile “era omnes”, ma per ottenere la mera restituzione dello stesso, essendo venuto meno il termine legale di cui all’art. 39, comma 5, c.c.n.l., senza che la sua proprietà fosse contestata dalla D. e senza, soprattutto, che la prova della stessa fosse necessaria, essendo sufficiente, nell’azione di restituzione, il venir meno del titolo dell’altrui detenzione;

– che il secondo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe mutato “ex officio” il titolo della pretesa, evocandosi, all’uopo, una pronuncia di questa Corte che ha ravvisato il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato in relazione ad un caso in cui il comodante aveva esperito l’azione contrattuale di restituzione, in luogo di quella reale di rivendicazione;

– che il terzo motivo lamenta – nuovamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – violazione dell’art. 115 c.p.c., per essere stato disatteso il principio di “non contestazione”, visto che D. non avrebbe mai contestato che unica proprietaria dell’immobile è l’odierna ricorrente;

– che ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la D.;

– che in relazione al primo motivo di ricorso, la controricorrente rileva l’impossibilità, per la S., di porre a fondamento dell’azione esperita sia il venir meno del rapporto lavorativo con Angelo S., essendo lo stesso intercorso con il defunto usufruttuario, sia la scadenza del termine di cui all’art. 39, comma 5, c.c.n.l., concernente, nuovamente, una relazione contrattuale corrente “inter alios”, ribadendo, infine, che in difetto di una (precedente) volontaria trasmissione, da parte dell’odierna ricorrente, dell’immobile per cui è causa, alla stessa sarebbe precluso l’esperimento dell’azione di restituzione;

– che il secondo motivo – del quale, peraltro, è eccepita l’inammissibilità per difetto di autosufficienza – sarebbe infondato, avendo la Corte basato la propria diversa qualificazione dell’azione (rispetto a quella operata dal Tribunale) sul rilievo che la S. avesse fatto valere la sua qualità di proprietaria;

– che il terzo motivo, infine, sarebbe inammissibile, giacchè l’esistenza, “inter partes”, di un contratto di comodato costituirebbe questione nuova;

– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

– che entrambe le parti hanno depositato memorie, insistendo nelle rispettive argomentazioni, nonchè formulando, la ricorrente, rilievi alla proposta avanzata dal consigliere relatore.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che in relazione al terzo motivo di ricorso – con il quale si denuncia un “error in procedendo”, in ordine al quale questa Corte, in quanto giudice del “fatto processuale”, è abilitata all’esame degli atti del giudizio (da ultimo, Cass. Sez.6- 5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366-01; ma nello stesso senso, tra le altre, già Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2012, n. 8077, Rv. 622361-01) – si rende necessario verificare quali difese siano state proposte, in primo grado, dall’odierna controricorrente;

– che, pertanto, va disposta – a cura della cancelleria di questa Corte – l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di appello, ivi compreso quello del giudizio di primo grado (ciò di cui, peraltro, anche l’odierna ricorrente ha fatto istanza).

P.Q.M.

La Corte dispone l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di appello, ivi compreso quello del giudizio di primo grado.

Manda alla cancelleria di provvedere.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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