Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12845 del 21/06/2016
Cassazione civile sez. VI, 21/06/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 21/06/2016), n.12845
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11842/2015 proposto da:
D.A., D.C.G., elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA ULPIANO 29, presso lo studio dell’avvocato LUCA
ZERELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELA MARIA DE
STEFANO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
C.C., T.L., elettivamente domiciliati in
ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato LUCIO TODISCO giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrenti –
e contro
GENERALI ITALIA ASSICURAZIONI SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 641/2014 del TRIBUNALE di AVELLINO del
12/05/2014, depositata il 19/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LINA RUBINO;
udito l’Avvocato Angelo Maria De Stefano difensore dei ricorrenti
che si riporta ai motivi scritti.
Fatto
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“Nel 2009 i ricorrenti D.A. e D.C.G. convenivano in giudizio T.L., C.C. e Generali Ass.ni s.p.a., quale impresa designata dal Fondo di garanzia per le Vittime della strada, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni alle cose e alla persona del D. conseguenti allo scontro tra la vettura di proprietà e condotta dal T., risultata priva di copertura assicurativa, e la vettura di proprietà della D.C., condotta dal D..
Il Giudice di Pace di Avellino dichiarava responsabile del sinistro il T. e condannava T., C. e Ass.ni Generali al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Avellino, giudice d’appello, con la sentenza n. 641/2014, depositata il 19.5.2014 qui impugnata, sovvertiva l’esito del giudizio di primo grado rigettando la domanda risarcitoria formulata da D.A. e D.C.G., i quali propongono ricorso per cassazione lamentando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., correlati all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Resistono con controricorso i T. e C., mentre le Ass.ni Generali, intimate, non hanno svolto attività difensiva.
Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., in quanto appare destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.
I ricorrenti contestano il ragionamento probatorio eseguito dal giudice d’appello, a loro dire fondato soltanto sulla inutilizzabilità del modello CID, apparentemente sottoscritto dal T., che ne disconosceva la firma in giudizio senza che il D. ne chiedesse la verificazione, dimenticando che il modello CID va valutato unitamente a tutti gli altri elementi probatori.
Riportano poi alcune dichiarazioni testimoniali, contestando le conclusioni cui è pervenuto il giudice di appello, nel senso della complessiva, assoluta insufficienza del materiale probatorio offerto dagli attori a sostegno della domanda risarcitoria.
In realtà, nessun vizio di violazione di legge è ravvisabile nella sentenza impugnata, che ha valutato il complesso del materiale probatorio giungendo a conclusioni opposte rispetto al giudice di primo grado, atteso che in tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, vige il principio del libero convincimento del giudice e non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice e costituendo tale valutazione un giudizio in fatto non sindacabile in cassazione se non nei limiti del vizio di motivazione nè tanto meno in questa sede rinnovabile.
Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, esaminata la memoria depositata dai ricorrenti, il Collegio ha ritenuto di condividere pienamente le conclusioni in fatto e in diritto cui è prevenuta la relazione.
Il ricorso proposto va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano come al dispositivo.
Infine, il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, pertanto deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Liquida le spese legali in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016