Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12839 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2010, (ud. 01/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Domus Lunati s.a.s. di Luciano Lonati & C., con sede in

(OMISSIS), in

persona del legale rappresentante sig. L.L.,

rappresentata e difesa per procura in calce al ricorso dagli Avvocati

prof. Falsitta Gaspare e Nicoletta Dolfin, elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’Avvocato Rita Gradara in Roma largo Somalia n.

67;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata, e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 174/42/05 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositatati 19.12.2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1

aprile 2010 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

viste le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SEPE Ennio Attilio che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.a.s. Domus Lonati di Luciano Lonati & C. propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano per l’annullamento di quattro avvisi di accertamento che, in relazione agli anni di imposta dal 1996 al 1999 le contestavano, a fini irpeg ed ilor.

l’indebita detrazione di costi risultanti da fatture emesse nei confronti della s.r.l. Pulizie Centro Nord per operazioni ritenute inesistenti, irrogando interessi e sanzioni, assumendo la contribuente l’effettiva esistenza delle operazioni e delle prestazioni ricevute.

Il giudice di primo grado respinse il ricorso e in sede di gravame, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 174/42/05 del 19.12.2005, riformò la pronuncia impugnata solo relativamente alle sanzioni irrogate nei confronti dell’amministratore per gli anni dal 1997 al 1999 confermando le sanzioni per l’anno 1996 e, mediante richiamo al contenuto della documentazione in atti, la legittimità dell’accertamento dell’Ufficio.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 15.6.2006, ricorre, sulla base di tre motivi, la società contribuente.

Resiste con controricorso, notificato il 24.7.2006, l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 assumendo che avendo la società ricorrente presentato domanda di condono tombale, l’azione di accertamento dell’Ufficio doveva considerarsi inammissibile. Il ricorso altresì censura il fatto che l’Ufficio finanziario, negli avvisi di accertamento impugnati, abbia respinto la richiesta di condono per la pendenza, per i medesimi fatti, di un procedimento penale a carico del legale rappresentante della società, osservando che l’amministratore è soggetto distinto dalla società che amministra e che comunque il procedimento pendente riguarda le sole annualità 1996 e 1997.

Il motivo è inammissibile.

La censura appare del tutto nuova, non indicando il ricorso, nè risultando altrimenti dalla lettura della sentenza impugnata, che non ha esaminato in alcun modo la relativa questione, che la società ricorrente aveva eccepito, nei precedenti gradi del giudizio di merito, l’inammissibilità dell’accertamento per avere essa usufruito del cd. condono tombale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 eccezione che avrebbe dovuto essere sollevata fin dal ricorso introduttivo. tenuto conto che, come sostenuto dalla stesso ricorso, già negli avvisi di accertamento l’Amministrazione aveva rappresentato l’esistenza di una causa ostativa al condono.

Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere motivato il rigetto dell’appello della contribuente in forza del mero richiamo ai dati oggettivi risultanti da alcuni documenti in atti, senza compiere o comunque esplicitare l’esito della loro valutazione, ponendolo a raffronto con gli argomenti difensivi della ricorrente, e senza considerare le prove dalla stessa fornite a supporto della effettività delle operazioni contabilizzate, rappresentate dalle dichiarazioni rese dal maresciallo della Guardia di Finanza e dai risultati di una perizia, la quale dimostrava che l’attività fatturata era necessaria per lo svolgimento dell’attività della ricorrente, che, senza di essa, non avrebbe potuto realizzare alcun fatturato.

Il mezzo è infondato.

La censura di difetto di motivazione per avere la Commissione regionale respinto l’appello sul punto relativo all’accertamento della fittizietà delle operazioni contabilizzate mediante mero richiamo al contenuto di alcuni documenti in atti non ha pregio. La lettura della sentenza impugnata rivela, al contrario, che il relativo accertamento del giudice territoriale è scaturito non già da un mero rinvio ai documenti, senza sintesi critica del loro contenuto, bensì in ragioni proprio delle loro risultanze e dei fatti da essi rappresentati. In particolare, la Commissione regionale ha messo in evidenza che dagli stessi risultava che:

in un breve periodo di tempo sul conto corrente della società Pulizie Centro Nord erano state compiute operazioni attive per circa L. 6 miliardi;

La società Pulizie Centro Nord, che appariva prestatrice dei servizi in favore della ricorrente, era risultata priva di strutture e dipendenti e non aveva mai presentato dichiarazione fiscale;

sia il legale rappresentante della stessa che l’utilizzatore del conto corrente si erano resi irreperibili;

a fronte dei versamenti effettuati dalla Domus Lonati sul conto corrente della società Pulizie Centro Nord si erano verificati prelievi di cassa per importi consistenti e simili;

la descrizione delle fatture era generica riportando la sola dicitura “prestazione di servizio effettuate per vostro conto”;

che in sede di verifica era stato rinvenuto un contratto tra le parti “non sottoscritto, e quindi non registrato e non indicante neanche a quale periodo si riferisse”.

E’ vero peraltro, come sottolinea la ricorrente, che l’indicazione di tali circostanze di fatto non si conclude con una espressa sintesi complessiva delle conseguenze che, in termini di ricostruzione del fatto, la Commissione regionale ha inteso trarre da esse. Occorre tuttavia convenire che questa mancanza appare avere una rilevanza squisitamente formale e non inficia la motivazione della sentenza impugnata, se si considera che l’illustrazione delle menzionate circostanze di fatto, per l’evidenza probatoria che ad esse va obiettivamente riconosciuta, appare sicuramente sufficiente a ricostruire il percorso logico del ragionamento svolto dal giudice a quo, il quale, proprio basandosi su di esse e sul loro univoco significato, ha ritenuto di confermare l’accertamento del giudice di primo grado in ordine alla insussistenza delle operazioni, la censura che lamenta il mancato esame da parte del giudice di appello di alcuni documenti prodotti in giudizio dalla contribuente risulta infondata in ragione della manifesta non decisività di tali elementi di prova. In particolare, il ricorso, per il principio di autosufficienza, indica che l’omesso esame ha interessato: a) la testimonianza resa da un maresciallo della Guardia di Finanza che aveva condotto l’accertamento, che ha riferito che non erano state trovate prove del fatto che gli importi versati dalla Domus Lonati alta società Pulizie Centro Nord erano poi stati restituiti alla prima; b) una relazione tecnica secondo cui le prestazioni fatturate nei confronti della società ricorrente erano essenziali per la sua attività; c) le sentenze con cui i giudici del lavoro di Milano e di Monza si erano pronunciati, sia pure incidentalmente, sull’effettività delle operazioni contestate. Al riguardo è agevole osservare che, con riguardo al punto a ), la prova della restituzione degli importi pagati dalla committente per una determinata prestazione non può considerarsi elemento indispensabile per dimostrare l’inesistenza dell’operazione e che con riferimento al punto b), la rilevata essenzialità della prestazione per lo svolgimento dell’attività di impresa nulla dimostra in ordine al suo effettivo compimento ne tanto meno che essa è stata posta in essere dal soggetto indicato nelle fatture, in relazione al punto c), deve invece rilevarsi l’insignificanza in termini di valore probatorio, del passo di tali documenti riportato nel ricorso, da cui non sembra potersi trarre alcun elemento avente una qualche diretta attinenza o rilevanza con il tema in argomento.

Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1929, art. 12 censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato la responsabilità solidale del legale rappresentante della società nel pagamento delle sanzioni irrogate a carico di quest’ultima per l’anno di imposta 1996.

Il motivo è inammissibile.

La censura investe il capo della decisione che ha confermato la sanzione irrogata dall’Ufficio, relativamente all’anno 1996 a carico dell’amministratore della società contribuente. Trattasi, all’evidenza, di una statuizione che non riguarda la società ricorrente, ma un soggetto diverso, nei cui confronti la società medesima difetta di legittimazione a ricorrere.

Il ricorso va pertanto respinto.

le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 8.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre contributo unificato, spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

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