Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12838 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12838

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3480/2016 proposto da:

Q.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROSARIO SANTESE;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO

MONTIGLIO 67, presso CARMINE SALERNO, rappresentato e difeso

dall’avvocato BRUNO ROMANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 768/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 22/07/2015 R.G.N. 1962/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 768/2015, confermava il rigetto della domanda proposta da Q.S., il quale aveva adito il Giudice del lavoro del Tribunale di Salerno chiedendo il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso alle dipendenze di S.G. dal luglio 1998 al maggio 2010 per lo svolgimento di attività di addetto al rifornimento di carburante, inquadrabile nel livello sesto del c.c.n.l. di settore, nonchè la condanna del convenuto al pagamento di differenze retributive pari ad Euro 191.165,97 e l’accertamento della nullità del licenziamento intimatogli verbalmente.

2. Secondo l’accertamento condotto dal primo giudice, nessuno dei testi escussi aveva riferito circostanze utili ai fini della individuazione delle modalità di cessazione del rapporto lavorativo; dalla espletata prova erano emersi elementi contrastanti in ordine alla durata del rapporto, alle mansioni espletate, all’orario osservato e alla stessa continuità della presenza del ricorrente nel posto di lavoro. Nessuno dei testi aveva fatto cenno a circostanze idonee a comprovare l’esercizio del potere di controllo e disciplinare da parte del convenuto, il quale aveva invece documentato l’esistenza di un contratto di collaborazione occasionale, stipulato il 1 ottobre 2008, la cui sottoscrizione non era stata disconosciuta dal ricorrente.

3. Nel rigettare le censure mosse dall’appellante, la Corte territoriale, dopo avere riportato nelle parti salienti le risultanze della prova testimoniale, osservava che, all’esito della necessaria comparazione fra le divergenti deposizioni rese dai testi escussi, doveva attribuirsi maggiore credito a quelle fornite da D.A., A.S. e F.L., che si erano contraddistinte per la loro sostanziale univocità, nonchè per l’assenza di contraddizioni o di significative divergenze. Di contro, doveva essere riconosciuto un grado di affidabilità inferiore alle dichiarazioni rese da Fa.Ma., che erano rimaste prive di qualsivoglia elemento atto a corroborarne l’attendibilità ed anzi esse erano in palese e stridente contrasto con le circostanze documentalmente provate (la teste aveva riferito del rifornimento di carburante per il furgone del marito, che però risultava acquistato in epoca successiva ai fatti di causa).

4. Per la cassazione di tale sentenza Q.S. ha proposto ricorso affidato di un unico motivo, cui ha resistito il S. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con unico motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Il ricorrente ripercorre le risultanze dell’istruttoria testimoniale e deduce che “non può non rilevarsi l’assoluta contraddittorietà delle dichiarazioni dei testi di parte resistente avuto riguardo a quanto dichiarato nella memoria difensiva”. Assume che non era stata debitamente considerata la contraddittorietà tra quanto risultante dal contratto di collaborazione occasionale stipulato il 1 ottobre 2008 e quanto riferito nella memoria difensiva di controparte circa le mansioni attribuite: il contratto aveva attribuito al ricorrente l’incarico di “responsabile erogazione carburanti”, mentre negli atti difensivi il convenuto aveva prospettato lo svolgimento di mansioni di mero controllo della pulizia del piazzale, di cura dell’attività di cambio olio, di verifica del ricarico delle benzine e di cura della relativa documentazione.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. La denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito è configurabile come un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, nv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. n. 23940 del 2017).

4. Quanto al vizio denunciato nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va rilevato che esso, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, nv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053/2014). Nel caso in esame, la censura di omesso esame di un fatto decisivo si risolve, invece, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.

5. Quanto all’accertamento in fatto e all’apprezzamento delle prove, tutti profili che attengono al giudizio di merito, il ricorso è inammissibile anche per altro verso. La sentenza di appello ha condiviso la valutazione dei fatti operata dal primo giudice, come risulta espressamente dalla motivazione del provvedimento. Il giudizio di appello venne introdotto nell’anno 2013, con conseguente applicazione della previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (previsione che si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dopo l’11 settembre 2012; cfr. Cass. 11439 del 2018, 26860 del 2014).

5.1. Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo riformulato dal cit. D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774 del 2016, 20994 del 2019). Tutti adempimenti che non risultano osservati nella specie.

6. Giova infine ribadire il principio che, in materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all’attendibilità del teste – che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso – forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (Cass. n. 7623 del 2016).

6.1. La Corte di appello ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto attendibili alcune deposizioni testimoniali in luogo di altre e tale giudizio, adeguatamente motivato, esula dal sindacato di legittimità.

7. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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