Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12835 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/06/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6201/2014 proposto da:

R.M., G.M., C.M., R.I.,

D.C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CUNFIDA 20,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO OLIVETI, che li rappresenta

e difende;

– ricorrenti –

contro

COMUNE PALERMO, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato ope

legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato

e difeso dall’Avvocato CINZIA AMOROSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1568/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 19/09/2013 R.G.N. 1885/2011.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che R.M., D.C.A., G.M., C.M. e R.I. – rilevato di essere compresi tra i vincitori del concorso a posti di agente di polizia municipale bandito ne 1999 da Comune di Palermo, in forza di una determinazione dirigenziale (n. 952 del 22 dicembre 2005) che aveva disposto lo scorrimento della graduatoria – agivano in giudizio, unitamente ad altri interessati, per ottenere la costituzione del rapporto di lavoro a far tempo dalla data di tale provvedimento, o da altra successiva, nonchè per ottenere la condanna del Comune al pagamento delle retribuzioni, con la medesima decorrenza;

– che l’adito Tribunale di Palermo, preso atto che i ricorrenti, nelle more del giudizio, erano stati assunti, dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento alla domanda di costituzione del rapporto di lavoro, rigettando nel resto;

– che la decisione di primo grado era confermata – con sent. n. 1568/2013, depositata il 19 settembre 2013 – dalla Corte di appello di Palermo, la quale rilevava, quanto alla richiesta retrodatazione del diritto all’assunzione, che soltanto con il conseguimento della qualifica di agenti di P.S. i beneficiari dello scorrimento potevano dirsi pienamente titolari di tale diritto e che tuttavia i ricorrenti, pur avendone l’onere, nulla avevano documentato in ordine all’avvenuto rilascio della qualifica, in particolare non risultando prodotto il decreto prefettizio del 2007 da essi richiamato: lacuna probatoria che, non consentendo di individuare l’effettivo dies a quo del diritto alla retrodatazione, era tale da determinare il rigetto della domanda;

– che avverso detta sentenza della Corte di appello i ricorrenti di cui in premessa hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di Palermo;

rilevato:

che con il primo motivo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la sentenza impugnata contraddittoriamente affermato, da un lato, che i ricorrenti, fin dal 2007, avevano conseguito la qualifica di agenti di P.S. e, dall’altro, rilevato come gli stessi nulla avessero documentato al riguardo; ed inoltre per non avere esaminato in modo approfondito gli atti di causa e, in particolare, la Det. Dirig. 21 dicembre 2007, n. 803, dalla quale la Corte di appello avrebbe potuto trarre dimostrazione dell’avvenuta emissione del decreto prefettizio che attribuiva ai ricorrenti detta qualifica;

– che con il secondo motivo viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto per non avere la Corte di appello considerato che, ove l’Amministrazione abbia disposto lo scorrimento della graduatoria, così manifestando la volontà di coprire i posti vacanti, si verifica una situazione equiparabile, nella sostanza, all’espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con identificazione di ulteriori vincitori, titolari di un vero e proprio diritto soggettivo all’assunzione: diritto che, nella specie, era da ritenersi sussistente fin dal 22 dicembre 2005 e cioè dalla data del provvedimento che, disponendo la scorrimento della graduatoria, aveva determinato l’inclusione dei ricorrenti tra i vincitori del concorso;

osservato:

che il primo motivo è inammissibile;

– che al riguardo si deve rilevare come la prima delle censure svolte, al di là del rilievo di inammissibilità che coinvolge l’intero motivo, risulti inammissibile anche per un difetto preliminare di sostanziale riferibilità alla sentenza impugnata, la quale non presenta asserzioni contraddittorie nell’ambito di un medesimo contesto argomentativo, essendosi la Corte limitata – nella parte “In fatto” (ove avrebbe dato atto del conseguimento della qualifica di agenti di P.S. fin dal 2007) – a riportare il contenuto della pretesa, così come esposto dagli attori;

– che il motivo non risulta comunque conforme, nel complesso delle censure in cui esso si articola, al paradigma normativo del “nuovo” art. 360, n. 5, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte dal legislatore nel 2012 (a fronte di sentenza di appello pubblicata in data 19 settembre 2013 e, quindi, successivamente all’entrata in vigore della novella) e delle precisazioni rese in proposito da questa Corte a Sezioni Unite (con le sentenze n. 8053 e n. 8054/2014) in relazione al perimetro applicativo della riforma e alle condizioni di legittima deduzione del vizio nella sua nuova formulazione;

– che, in particolare, è stato di recente ribadito, nel solco della richiamata giurisprudenza, che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. n. 27415/2018, fra le molte conformi);

– che, nel caso di specie, il fatto storico, consistente nell’attribuzione ai ricorrenti – nel 2007 – della qualifica di agenti di P.S., è stato espressamente preso in esame dalla Corte di appello, che tuttavia l’ha ritenuto non dimostrato in giudizio, sul rilievo della mancata produzione del relativo decreto prefettizio;

– che, d’altra parte, compete in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e l’efficacia concludente delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013, fra le numerose conformi);

– che non può egualmente trovare accoglimento il secondo motivo di ricorso;

– che, infatti, anche volendo trascurare il rilievo che non vi risultano specificamente enunciate le norme di diritto, in relazione alle quali si manifesterebbe il dedotto vizio di violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, nè espressamente enucleati i passaggi motivazionali in cui il vizio sarebbe rinvenibile, resta che la Corte di merito ha ritenuto, quale premessa essenziale del proprio ragionamento decisorio, come soltanto il conseguimento della qualifica di agente di Pubblica Sicurezza, perfezionando i requisiti previsti dal bando di concorso, avrebbe potuto fornire ai ricorrenti la piena titolarità del diritto all’assunzione: e tale premessa non ha formato oggetto di specifica censura con il motivo ora in esame, che anzi rileva come il possesso dell’anzidetta qualifica fosse tra le condizioni cui il bando aveva subordinato l’assunzione;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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