Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12834 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12834 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: RUBINO LINA

SENTENZA
sul ricorso 23610-2008 proposto da:
CICALA DOMENICO CCLDNC41A01E791Z, domiciliato ex lege
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
GIULIANO MARIO giusta procura speciale del Dott.
Notaio MARCO MURARA in EGNA 17/7/2012, REP. n. 5943;
– ricorrente –

2014
755

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro
tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

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Data pubblicazione: 06/06/2014

STATO, da cui è rappresentato e difeso per legge;
S.E.T.A. SOCIETA’ EDITRICE TIPOGRAFICA ATESINA SPA
00274700228, in persona del legale rappresentante
amministratore delegato dott. VALTER SANTANGELO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSARI
GIANCARLO giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 279/2007 della CORTE D’APPELLO
di TRENTO, depositata il 12/11/2007, R.G.N. 199/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/03/2014 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO;
udito l’Avvocato MARIO GIULIANO;
udito l’Avvocato dello Stato MASSIMO GIANNUZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso;

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6, presso lo studio dell’avvocato VITALE ELIO, che la

R.G. 23610 2008

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

con ampio risalto un articolo di cronaca che dedicava due pagine all’applicazione a
Cicala Domenico, all’epoca capo tecnico idraulico presso il Genio Civile di Trento, e ad
altre tre persone, della misura degli arresti domiciliari all’interno di una inchiesta penale
per truffa aggravata ai danni dello Stato, nella quale si contestava al Cicala che nella sua
qualità avrebbe consentito agli altri arrestati, titolari di alcune concessioni di estrazione di
limo dal fiume Adige, l’estrazione di materiali inerti in misura di gran lunga superiore a
quanto previsto dalle concessioni e di qualità differente ( consentendo l’estrazione di
ghiaia anziché di limo) creando anche rischi di danno ambientale. La pubblicazione
dell’articolo era corredata da un richiamo ad esso con un trafiletto sulla prima pagina e
dalla pubblicazione delle foto formato tessera delle persone sottoposte a misura
restrittiva della libertà personale.
Gli arresti domiciliari al Cicala venivano revocati pochi giorni dopo, in data 16.12.1998,
ma questa notizia sul quotidiano non veniva riportata (mentre veniva pubblicata sul
quotidiano concorrente), ed il Cicala veniva poi assolto con formula piena, sia in primo
che in secondo grado; l’assoluzione perché il fatto non sussiste veniva confermata anche
in Cassazione, ma il quotidiano “Alto Adige” pubblicava solo, a distanza di anni, la
notizia dell’assoluzione in appello del ricorrente confinata nella 29° pagina.
Il Cicala nel 2003, conclusasi definitivamente la vicenda penale con l’accertamento della
sua piena estraneità ai fatti, citava in giudizio per diffamazione sia la S.E.T.A., Società
Editrice Tipografica Atesina s.p.a., proprietaria del quotidiano “Alto Adige”, che il
Ministero dell’Interno, assumendo di ritenersi diffamato per il modo con il quale erano
state trattate le notizie concernenti l’inchiesta giudiziaria che lo aveva coinvolto : mentre
era stato evidenziato al massimo il suo arresto, e gli era stato anche attribuito all’interno
dell’ufficio un ruolo chiave che non aveva mai ricoperto , non era stata neppure diffusa
3

Il 3 dicembre 1998 sul quotidiano “Alto Adige” (oggi “Trentino”) veniva pubblicato

la notizia della revoca della misura restrittiva, né era stata ristabilita la sua onorabilità
dando notizia della sua assoluzione con formula piena fin dal primo grado ma soltanto,
a distanza di anni, era stata pubblicata la notizia della sua assoluzione in appello, con un
breve occhiello in 29° pagina, e per di più con una formula secondo il ricorrente atta a
creare l’equivoco che l’assoluzione fosse giunta solo in appello : l’occhiello era titolato

Inoltre, il Cicala si riteneva ulteriormente ed autonomamente danneggiato nella sua
immagine per aver il quotidiano indicato diffuso al momento dell’arresto non una sua
qualsiasi fotografia, ma la foto segnaletica scattatagli dalla polizia al momento
dell’arresto, e da questa illegittimamente messa a disposizione della stampa. La domanda
di risarcimento danni per diffamazione era rivolta anche contro il Ministero dell’Interno
perché anch’esso ritenuto responsabile, per violazione del diritto al ritratto e della
privacy, per aver diffuso indiscrezioni sulla inchiesta giudiziaria e per aver consegnato
alla stampa una foto segnaletica dell’indagato.
La domanda del ricorrente volta al risarcimento dei danni veniva rigettata sia in primo
grado che in appello.
In particolare, la Corte d’Appello di Trento riteneva che il giornale, nel pubblicare le
notizie relative ad una presunta truffa a danni dello Stato che vedeva coinvolti il Cicala
ed altri pubblici funzionari, e quindi un fatto grave che riguardava la tutela ambientale
verificatosi nel territorio di diffusione del quotidiano stesso, si fosse mantenuto nei
limiti della pertinenza e della continenza, e che si fosse astenuto dal divulgare notizie
false.
Rigettava poi la domanda nei confronti del Ministero dell’Interno, ritenendo che ai fini
della configurabilità di una responsabilità del Ministero per fatto illecito del pubblico
dipendente avrebbe dovuto essere individuato il soggetto che aveva divulgato le notizie e
consegnato la foto alla stampa.
In relazione in particolare alla pubblicazione della foto, la corte territoriale non riteneva
accertato che la foto che corredava l’articolo fosse una foto segnaletica, affermando che
verosimilmente potesse trattarsi di una foto tessera, e comunque ribadiva che mancasse
la prova della consegna della foto al giornale da parte di un appartenente alla Polizia di
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“Assolto in appello”.

Stato. Ribadiva poi che, ai sensi dell’art. 97 della legge n. 633 del 1941, la riproduzione
sul giornale della foto di un pubblico funzionario, al momento della pubblicazione stessa
pesantemente coinvolto in una grave indagine penale e a corredo dell’articolo che
informava sullo stato dell’inchiesta, si doveva ritenere legittima perché giustificata da un
interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e dei loro protagonisti.

depositata dalla Corte d’Appello di Trento il 12.11.2007, articolato in cinque motivi, nei
confronti di S.E.T.A. s.p.a. e del Ministero degli Interni.
I controricorrenti resistono con controricorso.
Le parti costituite non hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 595 c.p.
per aver la corte di merito erroneamente ritenuto, nella pubblicazione dell’articolo da
parte del quotidiano “Alto Adige”, la sussistenza della scriminante del diritto di cronaca
pur in difetto del requisito della pertinenza. Il ricorrente contesta quanto sembra
affermare la corte d’appello, ovvero che possa sussistere l’interesse alla divulgazione della
notizia di cronaca in relazione alla misura cautelare applicata ad un pubblico ufficiale
all’interno di una inchiesta penale di ampio rilievo nel territorio e che non si dia pari
risalto non sussistendo uguale interesse alla notizia della revoca della misura cautelare
né dell’assoluzione dell’indagato, altro che con una notizia tardiva a fuorviante.
Il motivo va rigettato.
Ritenuti superabili alcuni rilievi di inammissibilità in ordine al quesito, che non interroga
in maniera del tutto adeguata la Corte sul requisito della pertinenza e sui limiti del diritto
di cronaca, va detto che in ordine alla sussistenza del requisito della pertinenza la corte
d’appello dà ampia e convincente motivazione. Essa richiama appunto la gravità
dell’inchiesta, la sua ampia risonanza nell’ambito territoriale di diffusione del quotidiano
5

Cicala Domenico propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 279 del 2007,

e la gravità dei fatti in quel momento ascritti al Cicala, mostrando di aver correttamente
effettuato un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla
libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.),
bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della cronaca all’interesse dell’opinione
pubblica alla conoscenza del fatto stesso.

pertinenza nella pubblicazione della notizia: egli critica piuttosto che alle società editrici
possa essere consentito divulgare notizie obiettivamente atte a gettare il discredito sulle
persone cui si riferiscono, appellandosi alla scriminante del diritto di cronaca, e che alle
stesse società non sia per converso imposto di seguire e riferire gli esiti dell’inchiesta
dandone notizia con pari risalto quando da essa derivi come nella specie il pieno
scagionamento dell’indagato.
La pubblicazione della notizia della conclusione di una inchiesta con proscioglimento
dell’indagato, o di revoca della misura cautelare, se deve essere inserita nel quotidiano
che ha dato la notizia dell’incriminazione o della misura a tutela dell’onore della persona
già da esso citata in quanto il diritto della comunità ad essere informata lo consentiva,
non si colloca all’interno del requisito della pertinenza della diffusione della notizia di
cronaca, ma della tutela del diritto all’onore della persona, ed essendo stata la prima
diffusione della notizia lecita, non deve avere necessariamente risalto pari alla notizia
pubblicata come nei casi in cui la notizia divulgata sia falsa o sottratta all’applicabilità
della scriminante del diritto di cronaca. In quei casi infatti, il ripristino della verità con
risalto pari alla notizia falsa costituisce misura riparatoria dell’onore leso.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia sempre la violazione dell’art.
595 c.p. ed in particolare l’insussistenza della scriminante del diritto di cronaca per
difetto del requisito della continenza, riprendendo considerazioni già svolte in appello
sulla eccessiva enfasi scandalistica che aveva accompagnato l’esposizione della notizia.
Contesta la corretta applicazione da parte della corte di merito della scriminante, avendo
ritenuto essa utilizzabili nella specie anche frasi ad effetto idonee a fomentare
l’indignazione della collettività rispetto a determinate condotte. Richiama anche, sotto il
profilo della violazione della continenza il fatto che la pubblicazione della notizia sia stata
6

Il rilievo del ricorrente non tocca in effetti direttamente l’esistenza del requisito della

accompagnata dalla pubblicazione della foto segnaletica, e che non si sia dato pari risalto
alla piena assoluzione dell’indagato.
Richiamando le osservazioni già svolte in merito al fatto che, laddove la pubblicazione
di una notizia su una inchiesta penale a carico di qualcuno sia consentita, la
pubblicazione della notizia della sua completa assoluzione non debba necessariamente
in quanto è del tutto carente sotto il

profilo della autosufficienza, perché non riporta alcuna delle espressioni incriminate, che
si allega essere eccessivamente denigratorie nella loro formulazione.
Con il terzo motivo di ricorso il Cicala si duole della violazione ancora una volta
dell’art. 595 c.p. sotto il profilo della insussistenza della scriminante del diritto di cronaca
per difetto del requisito della verità, anche putativa della notizia.
Anche questo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto la
prima parte del motivo è scarsamente comprensibile, riportando varie considerazioni su
passi degli articoli pubblicati che il ricorrente non cita testualmente pretendendo poi di
dimostrare la non veridicità dei fatti ivi riportati e la non conformità delle notizie
riportate rispetto al provvedimento giudiziario cautelare, anch’esso non riportato nel suo
dato testuale, con un’opera di interpretazione e ricostruzione assolutamente personale e
svincolata dai dati obiettivi in cui la Corte non può seguire il ricorrente.
All’interno del motivo si lamenta poi che il titolo con il quale si dava la notizia della
assoluzione del Cicala in appello “Assolto in appello” fosse di per sé falso e diffamatorio,
in quanto faceva falsamente comprendere al lettore che il Cicala solo in appello fosse
stato assolto, avendo invece goduto di una assoluzione piena, sempre confermata fin

avere pari risalto, il motivo è inammissibile

dalla conclusione del giudizio di primo grado.
Il punto del quesito di diritto dedicato a questa censura è del tutto inidoneo ad
esprimerla adeguatamente : “Può dirsi vera la notizia corredata anche solo da un titolo falso?”.
Sempre all’interno del terzo motivo il ricorrente lamenta la falsità diffamatoria, contenuta
nella notizia in breve pubblicata il 6.10.2001, con cui si menzionava a suo carico
l’esistenza di una mai contestata accusa di concussione, in quanto l’accusa a suo carico
era di corruzione. Qui si vorrebbe che fosse compiuto un nuovo accertamento in fatto,
precluso a questa Corte ed infatti il controricorrente replica esclusivamente in fatto,
7

ti

riportando passi dell’inchiesta penale in cui a un certo punto la concussione era una
delle possibili imputazioni.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2043 e
2049 c.c., nonché degli artt. 28 e 97 Cost. lamentando anche il difetto di motivazione
laddove la corte d’appello ha escluso la responsabilità del Ministero per fatto del suo

essendo questo rimasto non identificato.
Ti quesito di diritto che il Cicala sottopone alla Corte è il seguente :”

Sussiste la

responsabilità vicaria dell’amministrazione qualora il dipendente pubblico materiale autore dell’illecito
doloso sia rimasto ignoto, anche laddove fatto illecito sia perfettamente inquadrabile in una prassi lato
sensu diffamatoria e anche laddove l’amministrazione non abbia dimostrato motivazioni unicamente
personali del materiale autore?”
Con il quinto motivo di ricorso il Cicala denuncia la violazione dell’art. 10 del codice
civile, degli artt. 96 e 97 della legge n. 633 del 1941, degli artt. 2,19 e 137 del t.u. sulla
privacy, nonché degli artt. 6 e 8 del codice deontologico dei giornalisti e dell’art. 8 della
Convenzione europea sui diritti dell’uomo nonchè l’omessa e\o insufficiente
motivazione sul punto della illegittima pubblicazione e divulgazione della foto
segnaletica del ricorrente e di indiscrezioni riguardanti lo stesso.
Sostiene che la corte d’appello abbia erroneamente ritenuto non trattarsi di una foto
segnaletica, ma più probabilmente di una foto tessera, pur avendo egli provveduto a
depositare fin dal giudizio di primo grado la foto segnaletica ufficiale scattatagli in
questura, identica a quella pubblicata. Sottolinea che l’art. 8 del codice giornalistico vieta
ai giornalisti di produrre foto segnaletiche senza il consenso dell’interessato salvo
circoscritte eccezioni.
Sostiene che anche sulle mansioni da lui svolte all’interno dell’ufficio tecnico del
Comune la corte d’appello travisava i fatti, non avendo egli alcun potere decisionale
all’epoca dei fatti.
Il Ministero dell’Interno nel controricorso contesta la fondatezza del quarto e del quinto
motivo, gli unici che concernano la sua posizione, osservando, quanto al quarto, che la
responsabilità aggiuntiva dello Stato per fatto illecito del suo dipendente è configurabile
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dipendente che avrebbe trasmesso alla stampa indiscrezioni sull’inchiesta penale in corso

solo se questi è identificato — mentre nel caso di specie non si è mai individuato chi
sarebbe stato il funzionario della Polizia di Stato responsabile del disvelamento alla
stampa di indiscrezioni sulle vicende giudiziarie del Cicala, e inoltre che, anche se questi
fosse stato individuato, poiché l’attività di divulgazione di notizie ai giornalisti è
certamente estranea ai fini istituzionali della polizia, trattandosi di condotta contra legem, in

organica e della possibile responsabilità del Ministero.
Sul quinto motivo il Ministero controricorrente osserva che la stessa sussistenza del
presupposto di fatto su cui esso si fonda — l’avvenuta pubblicazione della foto
segnaletica — è stata smentita dall’accertamento di fatto motivatamente esposto dai
giudici di merito.
La S.E.T.A. Società Editrice Tipografica Atesina s.p.a. nel suo controricorso sottolinea
numerosi profili di inammissibilità dei vari motivi di ricorso, e conclude chiedendo la
condanna del ricorrente ex art. 385, quarto comma, c.p.c.
Il quarto motivo di ricorso deve ritenersi infondato perché il dictum della sentenza
impugnata è conforme all’orientamento di questa Corte di legittimità secondo il quale
l’affermazione della responsabilità aquiliana degli enti pubblici per il fatto di funzionari e
dipendenti presuppone che sia stata accertata e dichiarata la responsabilità, ai sensi
dell’art. 2043 cod. civ., di (almeno) una delle persone fisiche poste in rapporto
giuridicamente rilevante con l’ente stesso (amministratori, funzionari o dipendenti), le
quali, per la posizione di “protezione” rispettivamente rivestita, siano in condizione di
adottare le misure preventive necessarie ad evitare la consumazione dell’illecito ( in
questo senso, da ultimo, Cass. n. 22585 del 2013). Nel caso di specie, infatti, in cui tra
l’altro è oggetto di contestazione e non è stato accertato se la fotografia riportata sul
quotidiano fosse la foto segnaletica scattata dalle forze dell’ordine al momento
dell’arresto del ricorrente o meno, non è stato individuato chi in concreto avrebbe messo
la fotografia per cui si discute a disposizione della stampa — diversamente da quanto
verificatosi nel caso Sciacca contro Italia ( del quale si è occupata la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, IV sezione, decisione 11 gennaio 2005), in cui nel corso della
conferenza stampa congiunta tenuta da magistrati inquirenti e Guardia di finanza,
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ogni caso l’accadimento si collocherebbe al di fuori del rapporto di immedesimazione

relatori non si limitarono ad informare la stampa su una vicenda concernente
l’organizzazione di falsi corsi di formazione ma misero a disposizione dei giornalisti
intervenuti anche le fotografie ritraenti gli insegnanti ritenuti responsabili ( la Cedu in
quel caso ravvisò una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti
dell’Uomo per l’assenza, nell’ordinamento italiano, di una base legale che regoli la

arresti domiciliari). La fattispecie esaminata dalla Corte dei diritti dell’uomo evidenzia che
non necessariamente la messa a disposizione della stampa di fotografie o di particolari su
una vicenda giudiziaria in corso costituisce iniziativa isolata del singolo agente, eseguita
per fini contrari o comunque estranei ai suoi doveri istituzionali, come tale al di fuori del
rapporto organico escludendo in ogni caso la responsabilità della amministrazione per il
fatto del suo dipendente, come sostenuto dal Ministero. La finalità per la quale le
fotografie, o le informazioni, vengono trasmesse alla stampa, è da verificare caso per
caso e se effettuata in esecuzione di precise direttive può fondare la responsabilità
dell’ente, ma comunque presuppone l’individuazione del soggetto che ha trasmesso le
informazioni.
Per quanto concerne il quinto motivo di ricorso va premesso che non può ritenersi,
diversamente da quanto sostenuto dal Ministero dell’Interno, che la sentenza impugnata
contenga un accertamento in fatto volto ad escludere che la foto del Cicala, pubblicata
sul quotidiano della controricorrente S.E.T.A., sia una foto segnaletica. Qualora un tale
accertamento in fatto vi fosse, e fosse stata esclusa dalla Corte d’appello la possibilità
di identificare la foto pubblicata dal giornale come foto segnaletica, a questa Corte
sarebbe effettivamente precluso l’esame della questione della liceità o meno della

pubblicazione di una foto segnaletica dell’interessato perché non è suo compito

sostituirsi al giudice di merito e rinnovare la valutazione in fatto sul punto.
Esaminando quanto affermato sul punto dalla corte d’appello però, essa si limita a dire
che probabilmente la foto diffusa dal quotidiano Alto Adige era una semplice foto
tessera del Cicala, con ciò non effettuando un accertamento in fatto preclusivo
dell’intervento di questa Corte.
Il motivo è pertanto ammissibile.
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trasmissione alla stampa, da parte della guardia di finanza, della fotografia di persona agli

Si deve allora ripartire dal punto di fatto obiettivo ed accertato — la pubblicazione sul
quotidiano “Alto Adige”, a corredo di un ampio articolo giornalistico che parla del suo
arresto, di una fotografia del geom. Domenico Cicala in formato tessera, ovvero di una
fotografia frontale che ritrae il viso e le spalle del Cicala, di formato coincidente per
dimensioni e per tipologia non solo con le foto tessera per documenti, ma anche con le

identificativi per verificare se la valutazione della corte d’appello sulla legittimità di tale
pubblicazione sia o meno conforme alle norme di legge applicabili.
Il quesito che il ricorrente sottopone alla Corte è il seguente : ” E’ legittima la diffusione e la

pubblicazione di una foto segnaletica di persona arrestata, senza che ricorra alcun rilevante interesse
pubblico o comprovato motivo di giustizia o di pokzia?
E’ legittima la diffusione di indiscrezioni su un procedimento penale da parte degli organi di pubblica
sicurezza?”
Alla seconda parte del quesito si è già risposto all’interno dell’esame del quarto motivo di
ricorso, si può quindi centrare l’indagine sulla questione della legittimità o meno della
diffusione delle foto a corredo dell’articolo.
Il ricorrente nel quesito dà per scontato che si tratti di foto segnaletiche, tuttavia come si
è già detto , deve ritenersi che la corte di merito non abbia compiuto un accertamento in
fatto sul punto, né in senso affermativo né negativo, e naturalmente questo accertamento
non può essere compiuto dal giudice di legittimità.
Si tratta quindi di verificare se la valutazione della liceità della pubblicazione di foto
siffatte (come si è già detto, foto frontali degli arrestati, formato tessera, prive di
riferimenti identificativi numerici) da parte del quotidiano “Alto Adige” sia stata
compiuta da parte della Corte territoriale nel rispetto della normativa di riferimento
ovvero se essa presenti profili di violazione di legge o il lamentato vizio di omessa
motivazione.
Deve ritenersi inammissibile la censura sotto il profilo del vizio di motivazione perché,
nei termini in cui il ricorrente lo ritiene sussistente, egli non lamenta in effetti un vizio di
motivazione ma che la corte d’appello, con la sua motivazione senz’altro sbrigativa sul
punto sia arrivata alla conclusione — errata in fatto ad avviso del ricorrente — che non si
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foto segnaletiche scattate dalla polizia in occasione di un arresto, ma priva di numeri

tratti di foto segnaletiche, da cui fa discendere la legittimità della loro pubblicazione. Si è
già detto che non si rinviene nella sentenza un tale accertamento in fatto, né tanto meno
è compito di questa Corte effettuare un tale accertamento.
Deve invece ritenersi che la corte territoriale sia comunque incorsa, in riferimento alla
pubblicazione delle fotografie a corredo di un articolo di cronaca che riferisce lo stato di

quello dell’arresto degli indagati, in un vizio di violazione di legge, perché ai fini di
verificare la legittimità o meno di tale pubblicazione, individua un unico parametro
normativo di riferimento, che è quanto meno insufficiente. Essa infatti individua i limiti
normativi alla pubblicazione e diffusione della immagine altrui esclusivamente nella
normativa sul diritto di autore ed in particolare negli artt. 96 e 97 e quindi conclude nel
senso della legittimità della pubblicazione sussistendo il

collegamento tra la

pubblicazione della notizia corredata dalle immagini dei soggetti coinvolti e un fatto di
interesse pubblico quale può essere il coinvolgimento in un procedimento penale.
In realtà diversi e più ristretti sono i parametri di legittimità della pubblicazione delle
fotografie, che la corte territoriale avrebbe dovuto prendere in considerazione.
Tale pubblicazione è infatti regolamentata in primo luogo dalle norme della legge 8
luglio 1996, n. 675 (pro tempore applicabile perché i fatti denunciati sono del dicembre
1998), sostanzialmente riprodotte successivamente nel d.lgs. n. 196 del 2003 (Codice
della privacy), come integrate dalle norme contenute nel Codice deontologico relativo al
trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Le principali norme di riferimento sono quindi l’art. 12, lettera e) della legge n. 675 del
1996 e l’art. 20 della medesima legge, che prevede che la comunicazione e la diffusione
di dati personali è ammessa ” d) nell’esercizio della professione di giornalista e per

l’esclusivo perseguimento delle relative finalita’, nei limiti del diritto di cronaca posti a tutela della
riservatezza ed in particolare dell’essenzialita’ dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico
e nel rispetto del codice di deontologia di cui all’articolo 25″ e l’articolo 25 della medesima legge.
L’art. 25, nel prevedere che si possa prescindere dal consenso dell’interessato e
dall’autorizzazione del Garante nel trattamento dei dati a fini giornalistici , pur sempre
nei limiti del diritto di cronaca e del parametro dell’essenzialità della informazione
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una inchiesta penale, nella quale il giorno della pubblicazione dell’articolo coincide con

riguardo a fatti di interesse pubblico, prevede poi la necessità dell’adozione, da parte del
Consiglio dell’ordine dei Giornalisti, di un codice deontologico che stabilisca particolari
misure e accorgimenti a garanzia degli interessati.
Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali che sia effettuato nell’esercizio della
professione di giornalista, quindi, sia la legge n. 675 del 1996 che poi il codice sulla

comunque fermo il limite del diritto di cronaca, e quello non del semplice interesse ma
della essenzialità dell’informazione rispetto a dati di interesse pubblico .
I limiti alla legittimità della pubblicazione delle notizie ed in particolare delle fotografie
dettati dalla legge citata, e successivamente dal codice della privacy vanno integrati, per il
richiamo contenuto prima nella legge n. 675 del 1996 e poi nel Codice sulla privacy, con
le disposizioni contenute nel Codice deontologico dei giornalisti ( pubblicato in G.U. 3
agosto 1988,n.179) , che li ha implementati e dettagliati, in considerazione, in particolare,
del fatto che la diffusione dell’immagine di una persona effettuata sui quotidiani o sui
periodici a mezzo di fotografie ha in ogni caso maggiore potenza lesiva della sua
dignità rispetto alla diffusione del nome della persona associato al racconto della vicenda
che la coinvolge.

E’ opportuno a questo proposito ricordare, come già affermato da questa Corte di
legittimità (V. Cass. n. 17408 del 2012) , che il Codice deontologico dei giornalisti, di
cui la legge del 1996 prescriveva la necessità, che è stato adottato nel 1998 e che viene
espressamente richiamato dal successivo Codice della privacy, costituendo parte
integrante dei suddetti testi normativi, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ed ha
forza e valore di fonte normativa (“in tema di tutela della riservatezza, l’esonero (art. 137
D.Lgs. n. 196 del 2003), per il trattamento dei dati sensibili nell’esercizio della professione di
giornalista, dall’autorizzazione del Garante e dal consenso dell’interessato, non può prescindere dal
rispetto, oltre che del diritto di cronaca e dell’essenzialità dell’informazione, anche dei principi stabiliti
dal codice deontologico delle attività giornalistiche, cui deve riconoscersi natura di fonte normativa ” :
Cass.penale n. 16145 del 2008)
Le regole deontologiche in esso contenute quindi non sono soltanto regole di
comportamento per i giornalisti professionisti dettate dall’Ordine di appartenenza, la cui
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privacy (artt. 136 e 137) esentano i giornalisti dal consenso dell’interessato, ma tengono

violazione li esponga esclusivamente a possibili sanzioni disciplinari da parte del
Consiglio dell’Ordine, ma sono regole di condotta aventi efficacia generale la cui
violazione, per quanto qui interessa, può essere fonte di responsabilità civile in capo al
giornalista o alla sua testata.
In particolare, l’articolo 8 del codice deontologico, rubricato

“Tutela della dignità della

traduca in una lesione della dignità dei soggetti coinvolti. Esso, ponendo una particolare
attenzione ai limiti dell’utilizzo consentito dell’immagine altrui, prevede :
“8.Tutela della dignità della persona
1. Salva l’essenzialità dell’informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o
fotografie di soggetti coinvolti in/at/i di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma
su dettagli di violena, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell’immagine.
2. Salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati _fini di giustkia e di poli.eda, il
giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenone senta il
consenso dell’interessato.
3. Le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario
per segnalare abusi”.
Alla luce di queste norme, la legittimità della pubblicazione di una immagine ritraente
una persona su un quotidiano senza o contro il consenso dell’interessato è indagine che
va condotta caso per caso nel rispetto sia dei parametri del diritto di cronaca e
dell’essenzialità della diffusione della notizia sia dei parametri specifici fissati dal su
riportato articolo 8 a presidio della tutela della dignità umana ( in particolare dal primo
comma di esso qualora non sia stato accertato, come nella fattispecie in esame, che si
tratti di immagine di persona ritratta in “stato di detenzione”).
E’ valutazione che in ogni caso va condotta con maggior rigore rispetto alla valutazione
relativa alla semplice pubblicazione della notizia per la maggior potenzialità lesiva e la
maggiore diffusività dell’immagine stessa.
Nell’apprezzare la liceità del trattamento delle fotografie pubblicate, la Corte d’Appello
di Trento non avrebbe dovuto fermarsi alla considerazione dei parametri fissati, nel
1941, dalla legge sul diritto di autore, ma avrebbe dovuto prendere in considerazione
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persona”, è volto in maniera specifica ad evitare che l’esercizio del diritto di cronaca si

tutti i parametri normativi di riferimento : l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo, gli artt. 20 e 25 della legge n. 675 del 1996 e in particolare, quanto alla
pubblicazione delle immagini a scopo giornalistico, l’art. 8, primo comma, del codice
deontologico, tutte fonti normative rilevanti, in quanto sia gli uni che l’altro hanno
questo valore, l’ultimo richiamato come fonte normativa autorizzata dalla legge. Non

pubblicazione delle foto di un pubblico funzionario in quel momento coinvolto in un
procedimento penale.
Avrebbe dovuto valutare se la pubblicazione delle immagini fosse essenziale ai fini
dell’informazione ( per la nozione di essenzialità della informazione nella giurisprudenza
di questa Corte v. da ultimo Cass. n. 17408 del 2012) e inoltre considerare se tali
immagini, per le loro caratteristiche intrinseche, fossero da considerare lesive della
dignità della persona, valutazione imposta a chi pubblica prima e a chi giudica, poi,
dall’art. 8 primo comma del codice deontologico in considerazione della particolare
potenzialità offensiva connessa alla enfatizzazione che è tipica dello stesso strumento
visivo ( ed alla idoneità della immagine una volta pubblicata ad essere riprodotta anche a
distanza di tempo sui più svariati mezzi di comunicazione, scissa dall’articolo di cronaca
che ne poteva giustificare in origine la pubblicazione e sottratta al controllo del soggetto
ritratto), il cui uso nell’attività giornalistica è per questo circondato da particolari
cautele.
Ciò a prescindere dal fatto che si trattasse o meno di foto segnaletiche scattate dalle
forze dell’ordine allo scopo di identificare una persona al momento del suo arresto e di
inserirne l’immagine negli schedari di polizia, la cui pubblicazione è di regola vietata
• dall’art. 8, comma 2 del codice deontologico dei giornalisti, e la cui illegittima
pubblicazione è stata anche sanzionata da alcuni provvedimenti del Garante della
Privacy ( in particolare, v. provvedimento del Garante del 19 marzo 2003) perchè in
contrasto con la dignità della persona umana, che va tutelata in ogni situazione, specie, si
aggiunga, quando la persona si trovi in una situazione di momentanea inferiorità che la
rende particolarmente esposta e vulnerabile, allo scopo di evitare che la legittima ed anzi
tutelata anche a livello costituzionale attività di diffusione delle notizie sia effettuata con
15

avrebbe dovuto cioè fermarsi, come ha fatto, alla sussistenza di un interesse pubblico alla

modalità gratuitamente umilianti nei confronti dei soggetti coinvolti. La foto segnaletica
nasce infatti con una finalità precisa ( identificare un soggetto nello schedario di polizia)
e per questo deve rispettare certi requisiti standard per cui, per la posizione forzata fatta
assumere al soggetto ritratto, per il fatto che reca delle indicazioni numeriche in
sovrimpressione atte ad identificare la persona ritratta, inequivocabilmente sottoposta a

ritrae una persona contro la sua volontà in una situazione obiettivamente umiliante in
cui questa non può opporsi né allo scatto della foto né ad altre pratiche identificative
per altri versi mortificanti ( prelievo impronte digitali).
Sia che si trattasse di foto segnaletiche (in questo caso “sbianchettate” ovvero con
eliminazione dei numeri in sovrimpressione, sulla legittimità della cui pubblicazione in
quanto non equiparabili alle immagini di persone ritratte in stato di detenzione, v. da
ultimo Cass. n. 194 del 2014) o di semplici foto formato tessera degli arrestati, la
sentenza di merito va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Trento che
deciderà in diversa composizione anche sulle spese attenendosi al seguente principio di
diritto :

In materia di tutela dell’immagine, la pubblicazione su un quotidiano della foto di una persona in
coincidenza cronologica con il suo arresto deve rispettare, ai fini della sua legittimità, non soltanto i limiti
della essenialità per illustrare il contenuto della notizia e del legittimo esercizio del diritto di cronaca
(fissati dagli artt. 20 e 25 della legge n. 675 del 1996 applicabile pro tempore alla fattispecie in esame e
riprodotti nell’ art. 137 del codice della privag) ma anche le particolari cautele imposte a tutela della
dignità della persona ritratta dall’art. 8, primo comma, del codice deontologico dei giornalisti, che

misura restrittiva della libertà, per il contesto di luogo e di fatto in cui è scattata, essa

costituisce fonte normativa integrativa; l’ indagine sul rispetto dei suddetti limiti nella pubblicazione della
• foto va condotta con maggior rigore rispetto a quella relativa alla semplice pubblicazione della notizia,
tenuto conto della particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa alla enfatizzazione
tipica dello strumento visivo, e della maggiore idoneità di esso ad una diffusione decontestualizzata e
insuscettibile di controllo da parte della persona ritratta”.

P.Q.M.

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/ k),

La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso, accoglie il quinto e rinvia anche per le
spese alla Corte d’Appello di Trento in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 21 marzo 2014

Il Consigliere estensore

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