Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12831 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2011, (ud. 13/05/2011, dep. 10/06/2011), n.12831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 14084-2010 proposto da:

C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO

SERGIO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS) in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale ad litem a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9250/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

22.12.08, depositata il 17/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO ZAPPIA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. IGNAZIO

PATRONE.

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, regolarmente notificato, C.C., assunta con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a. dal 13 luglio 1998 al 30 settembre 1998 ai sensi dell’art. 8 del CCNL 1994 per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre”, e dal 1 giugno 1999 al 30 settembre 1999 ai sensi del predetto art. 8 del CCNL 1994 come integrato dall’accordo del 25.9.1997 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convertito in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza in data 10.1/11.1.2006 il Tribunale adito rigettava la domanda assumendo l’esistenza di una risoluzione del rapporto per “mutuo consenso”.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice predetta lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 22.12.2008/17.11.2009, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione C. C. con quattro motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società intimata.

La stessa ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione dell’art. 1372 c.c.; in particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto l’avvenuta risoluzione del contratto per mutuo consenso, basandosi su elementi insufficienti e privi di valenza obiettiva.

Col secondo motivo di ricorso lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; in particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva fondato la propria statuizione in ordine alla risoluzione del contratto per mutuo consenso, sulla presunzione del reperimento da parte della lavoratrice di altra attività.

Col terzo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 1372 c.c. rilevando l’irrilevanza del dedotto reperimento di altro posto di lavoro dopo la cessazione del rapporto a termine, non potendosi da tale circostanza ritenere l’esistenza di una volontà dismissiva del rapporto da parte dell’interessata.

Col quarto motivo lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il ricorso proposto si riferisse esclusivamente al primo rapporto intercorso dal 13 luglio 1998 per la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie di altro personale e non anche al secondo rapporto intercorso dal 1 giugno 1999 per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso.

Il Consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore Generale e notificata ai difensori costituiti.

I primi tre motivi di ricorso, che il Collegio ritiene di dover trattare congiuntamente essendo fra loro strettamente connessi, sono fondati.

La giurisprudenza di questa Corte non dubita invero che il contratto di lavoro sia suscettibile di risoluzione consensuale in base alle disposizioni del codice civile applicabili ai contratti in generale e che la fattispecie negoziale possa essere riscontrata anche in presenza non di dichiarazioni ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, particolarmente di quei comportamenti coerenti alla situazione giuridica di inesistenza del rapporto. Il principio è stato affermato soprattutto nella ricorrente evenienza della scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto, con cessazione della funzionalità di fatto del rapporto per una durata e con modalità tali da rivelare il completo disinteresse delle parti alla sua attuazione e quindi il mutuo consenso in ordine alla cessazione di esso.

Questa Corte ha anche precisato che non è consentito attribuire effetti negoziali alla mera inerzia, dovendo il giudice di merito individuare gli elementi che inducono a ritenere perfezionata la fattispecie negoziale, tenuto conto che l’onere di provarne la sussistenza incombe su soggetto che invoca l’effetto estintivo.

A tali principi non si è attenuta la Corte territoriale che ha ritenuto per contro l’esistenza di una risoluzione per mutuo consenso sulla base esclusivamente del decorso del tempo e della mera presunzione che, nel suddetto intervallo temporale, la lavoratrice avesse trovato altra occupazione. Sul punto questa Corte ha evidenziato che nessuna indicazione, al fine di ritenere l’esistenza di una risoluzione del contratto per mutuo consenso, può ricavarsi dal rinvenimento di altra occupazione, stante la necessità di procurarsi un reddito e, comunque, di limitare le conseguenze dannose dell’illegittima cessazione del rapporto di lavoro con le Poste.

Il ricorso sul punto si appalesa pertanto fondato.

Del pari fondato è l’ultimo motivo di ricorso.

Rileva il Collegio che la censura della ricorrente involge l’interpretazione operata dal giudice d’appello in ordine al contenuto e all’ampiezza della domanda; tale interpretazione, siccome più volte ribadito da questa Corte, è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione, dal che consegue che il relativo giudizio comporta l’esame delle argomentazioni esposte dal giudice nella sentenza impugnata a suffragio delle proprie determinazioni.

E deve altresì rilevarsi che, per costante orientamento giurisprudenziale, nell’esercizio di tale potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto (Cass. sez. 2, 10.2.2010 n. 3012; Cass. sez. lav., 9.9.2008 n. 22893; Cass. sez. lav., 17.9.2007 n. 19331; Cass. sez. lav., 14.3.2006 n. 5491), e può ritenere quindi una domanda implicitamente proposta a condizione che la stessa possa ritenersi comunque tacitamente avanzata e virtualmente contenuta nell’istanza introduttiva del giudizio (Cass. sez. 3, 15.4.2010 n. 9052; Cass. sez. 3, 26.10.2009 n. 22595; Cass. sez. 2, 27.1.2009 n. 1929; Cass. sez. lav., 9.4.2004 n. 6972; Cass. sez. lav., 14.1.2004 n. 387; Cass. sez. lav., 21.1.2002 n. 572).

Di siffatti conclamati principi ritiene il Collegio che la Corte territoriale non abbia fatto buon uso. Non può invero dubitarsi che l’individuazione del contenuto delle domande rivolte al giudice non può operarsi sulla base della mera formulazione delle conclusioni prospettate, ma deve essere effettuata sulla base del contenuto sostanziale della pretesa desumibile dall’intero contesto delle vicende rappresentate al decidente e delle finalità che la parte intende perseguire.

Ulteriore corollario dei principi sopra esposti è che, allorchè sia denunciato con ricorso per cassazione siffatta erronea interpretazione, spetta al giudice di legittimità, versandosi in ipotesi di error in procedendo per omessa pronuncia su un capo della domanda che si afferma regolarmente proposto, il potere – dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni della parti (Cass. sez. 3, 14.3.2006 n. 5442).

Alla stregua di quanto sopra ritiene il Collegio che, una corretta interpretazione del ricorso introduttivo rispettosa dell’effettivo contenuto dell’atto processuale non consente di escludere, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la proposizione della domanda relativa all’accertamento della illegittimità del termine apposto anche al secondo contratto di lavoro istauratosi a decorrere dal 1 giugno 1999; dovendosi sul punto altresì rilevare che tale specifica questione era stata espressamente posta al giudice di secondo grado con i motivi di appello.

Si impone pertanto, in accoglimento del ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio della causa per un nuovo esame, alla stregua delle osservazioni in precedenza svolte, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione; il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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