Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12830 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12830 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA
sul ricorso 28225-2010 proposto da:
LUCCIOLI

LUCIO

LCCLCU41L20D653Q,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRO MALLADRA 31 sc. C
int. 15, presso lo studio dell’avvocato IARIA
GIOVANNI, rappresentato e difeso dagli avvocati
PUGLIESE AURELIO, ANGELETTI MARCO FRANCESCO giusta
2014

procura speciale in calce;
– ricorrente –

499
contro

BIFERA ELISABETTA BFRLBT63C46G478W,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio

1

Data pubblicazione: 06/06/2014

dell’avvocato

VANNICELLI

che

FRANCESCO,

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANNA
SIMONE giusta procura a margine;
– controricorrente nonchè contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 362/2010 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 31/08/2010, R.G.N.
457/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
udito l’Avvocato MARCO FRANCESCO ANGELETTI;
udito l’Avvocato SIMONE MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

MILANO ASSICURAZIONI SPA ;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l.

Elisabetta Bifera convenne, davanti al tribunale di Perugia,

il dott. Lucio Luccioli chiedendone la condanna al risarcimento
dei danni subiti a seguito di un intervento di chirurgia estetica
volto alla rimozione di un tatuaggio sulla spalla.

chiamò in giudizio la propria assicuratrice SIS compagnia di
Assicurazioni spa, oggi Milano Assicurazioni spa.
Il tribunale, con sentenza del 12.9.2005, rigettò la domanda.
A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che,
sull’appello principale proposto dalla Bifera, accolse la domanda
condannando il Luccioli al risarcimento del danno; rigettò,
invece, quello incidentale del Luccioli in ordine alla disposta
compensazione delle spese del giudizio di primo grado.
Nel giudizio di appello si costituì anche la Milano Assicurazioni
contestando che l’appellante avesse azione diretta nei confronti
della compagnia assicuratrice e che l’azione di garanzia svolta
dal professionista fosse fondata.
Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre
motivi.
Resiste con controricorso Elisabetta Bifera.
Il Luccioli e la Bifera hanno anche depositato memoria.
L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE

3

Il Luccioli, costituitosi, contestò il fondamento della domanda e

2.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa

applicazione degli artt. 1223 e seguenti codice civile,
concernenti i criteri di determinazione dei danni risarcibili, in
relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.. vizio di motivazione su
punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, n.

Il nucleo argomentativo del motivo può essere sintetizzato nei
seguenti passaggi logici: a) non vi è stata imperizia medica ma
solo omissione di informazione; b) il danno derivato alla paziente
consiste in un esito cicatriziale; e) per dimostrare l’efficienza
causale della condotta omissiva del medico (omessa informazione)
occorrerebbe dimostrare -con giudizio controfattuale- che se la
paziente fosse stata adeguatamente informata, non avrebbe dato il
proprio consenso all’intervento; d) questo accertamento non è
stato compiuto dalla sentenza impugnata: di qui il vizio logico su
un punto decisivo.
Il motivo non è fondato.
Queste le ragioni.
Le informazioni processualmente rilevanti sono le seguenti: a) non
è controverso che l’intervento sia stato eseguito a regola d’arte;
b) parimenti incontroverso è che si sia verificato un danno alla
salute sotto il profilo del peggioramento delle condizioni
estetiche; c) infine, è pacifico che non sono state fornite alla
paziente le informazioni rilevanti per consentirle di maturare
una decisione libera e consapevole.

4

5, c.p.c..

Con molteplici pronunce questa Suprema Corte ha ritenuto in
ipotesi siffatte la responsabilità del medico per i danni alla
salute derivate dall’intervento compiuto con perizia ma in base ad
un consenso viziato.
Il comune argomento a base di tali pronunce può così riassumersi:

peggioramento

dell’aspetto

fisico

del

paziente,

nessun

accertamento causale va svolto nel senso postulato dal ricorrente.
La mancanza di informazione rende illegittimo l’intervento.
E questo significa che diventa ingiusto e

contra ius

il danno

derivatone al paziente.
Il nesso di causalità si atteggia diversamente da quanto
prospettato dal motivo di ricorso.
Si verte infatti in tema di causalità attiva e non di causalità
omissiva.
Il nesso causale da accertare (e -nel nostro caso- incontroverso)
è tra intervento e danno.
Non tra omessa informazione e danno.
L’omessa informazione determina – potremmo dire: causa
l’illegittimità e quindi l’antidoverosità dell’intervento. Nel
senso cioè che l’intervento non deve essere compiuto se manca il
consenso informato.
L’intervento diventa il fatto illecito che provoca un danno
ingiusto.
Secondo un più recente, condivisibile, indirizzo – Cass. 9.2.2010
n. 2847 – “In tema di responsabilità professionale del medico, in
5

una volta accertata l’omissione di informazione doverosa e il

presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente
eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia
derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento
non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente
circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il

se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove
compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato
l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento
dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno
alla salute”.
In questa prospettiva occorre partire da una distinzione
fondamentale tra diritto alla salute e diritto ad una libera e
consapevole autodeterminazione del paziente.
Trattasi, all’evidenza, di diritti diversi dal momento che vi può
essere lesione di un diritto e non dell’altro (per esempio,
consenso viziato per carenza di informazioni rilevanti ma esito
terapeutico migliorativo delle condizioni del paziente).
I due diritti vanno distinti perché pongono tematiche diverse.
Invero, consideriamo il nostro caso sotto il profilo del diritto
alla salute.
Qui c’è una condotta attiva del medico da cui è derivato – senza
colpa – un effetto lesivo.
C’è nesso di causalità tra condotta ed evento, ma non c’è colpa.
Trattandosi di comportamento attivo,

e non omissivo, nessun

giudizio controfattuale va compiuto al fine di accertare il nesso
6

medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo

causale. Non si tratta di prefigurare ipoteticamente la condotta
omessa e desumerne, in base a leggi universali o statistiche,
l’effetto.
Si tratta di collegare in base ad un criterio di inferenza
scientifica una condotta reale ad un effetto reale.

diritto all’autodeterminazione del paziente.
Qui

c’è una condotta omissiva

informazioni

rilevanti)

e

c’è

(omessa comunicazione di
un

consenso

(viziato)

all’operazione.
Non possiamo applicare alcun automatismo logico del tipo:

post

hoc, ergo propter hoc.
Occorre applicare il giudizio controfattuale per accertare se in
presenza della condotta alternativa ipotetica (comunicazione delle
informazioni omesse) si sarebbe verificato o meno l’evento (cioè
la prestazione del consenso all’operazione).
Se giungiamo alla conclusione che il paziente – avendo conosciuto
l’informazione omessa

avrebbe comunque prestato il proprio

consenso, allora dobbiamo concludere che quell’omissione non ha
avuto alcuna efficienza causale sulla prestazione del consenso.
Fin qui l’impostazione del motivo di ricorso appare corretta.
Ma occorre procedere oltre e trarre tutte le implicazioni da tale
impostazione.
La ratio decidendi

della sentenza da ultimo evocata ne restringe
Infatti, quella sentenza in più

la sua portata come precedente.

7

Indugiamo ora a considerare il nostro caso sotto il profilo del

punti ribadisce che deve trattarsi di intervento medico
necessario.
La necessità dell’intervento chirurgico preclude la possibilità di
qualificare contra ius l’intervento stesso: l’ordinamento non può
– pena l’autocontraddizione – qualificare

contra ius un intervento

Invece, nel campo degli interventi non necessari (secondo la
scienza medica del tempo), un intervento compiuto senza valido
consenso perde qualsiasi fonte di legittimazione.
Diventa un intervento contra ius,

che espone chi lo compie a tutte

le conseguenze della sua condotta. Anche se l’intervento fosse
compiuto secondo i migliori protocolli terapeutici.
Infatti, occorre separare le due qualificazioni giuridiche: quella
che

riguarda

l’intervento

in

(potremmo

dire

l’an

dell’intervento) e quella che riguarda l’esecuzione
dell’intervento (potremmo dire il quomodo dell’intervento).
La seconda qualificazione può essere

secundum ius

e nondimeno

essere contra ius la prima qualificazione: infatti, ben può essere
illegittimo un intervento eseguito correttamente.
E questo avviene in tutti i casi in cui l’intervento terapeutico
non trova legittimazione né nel consenso, né nella necessità.
Ora, nel campo della chirurgia estetica raramente un intervento
può ritenersi necessario. Ma certamente non può qualificarsi tale
l’intervento compiuto nel nostro caso.
Pertanto,

quell’intervento era illegittimo sia perché non

necessario, sia perché non autorizzato da un valido consenso.
8

medico necessario.

Va rimarcata la particolare rilevanza del consenso negli
interventi di chirurgia estetica.
Secondo la definizione della Corte costituzionale (sentenza n. 438
del 2008, sub n. 4 del Considerato in diritto) il consenso
informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al

e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi
espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti
fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono
rispettivamente che la libertà personale è inviolabile e che
nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge.
Invero, ciò che rileva è che il paziente, a causa del

deficit di

informazione non sia stato messo in condizione di assentire al
trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue
implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di
quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della
sofferenza, fisica e psichica ( fra le varie Cass. 11.12.2013 n.
27751; Cass. 31.7.2013 n. 18334; Cass. 27.11.2012 n. 20984; Cass.
28.7.2011 n. 16543).
Il medico è tenuto ad informare il paziente dei benefici, delle
modalità di intervento, dell’eventuale scelta tra tecniche
diverse, dei rischi prevedibili/
Questo dovere di informazione è particolarmente pregnante nella
chirurgia estetica, perché il medico è tenuto a prospettare in
termini di probabilità logica e statistica al paziente la
9

trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero

possibilità di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto
fisico, che si ripercuota anche favorevolmente nella vita
professionale e in quella di relazione (Cass. 6.10.1997 n. 9705;
Cass. 1985 n. 4394).
In sostanza, il miglioramento del proprio aspetto fisico – che è

– acquista un particolare significato nel quadro dei doveri
informativi cui è tenuto il sanitario, anche perché soltanto in
questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità
o meno di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica.
In questa materia, infatti, può parlarsi nella maggioranza dei
casi, di interventi non necessari, che mirano all’eliminazione di
inestetismi e che, come tali, devono essere oggetto di
un’informazione y puntuale e dettagliata in ordine ai concreti
effetti migliorativi del trattamento proposto.
Sotto questo profilo, le caratteristiche e le finalità del
trattamento medico – estetico, impongono un’informazione completa
proprio in ordine all’effettivo conseguimento del miglioramento
fisico e -per converso- ai rischi di possibili peggioramenti della
condizione estetica.
La necessità di una informazione puntuale, completa e capillare è
funzionale alla delicata scelta del paziente: se rifiutare
l’intervento o accettarlo correndo il rischio del peggioramento
delle sue condizioni estetiche.
E’ questa la fondamentale caratteristica dell’intervento estetico
non necessario.
10

il risultato che il paziente intende raggiungere con l’intervento

Nel caso in esame, l’assenza di informazione nei sensi descritti
non ha, quindi, consentito all’attuale resistente, di valutare
l’opportunità o meno di eseguire l’intervento proposto o di
sceglierne di alternativi.
Va, in definitiva, ribadito che – nel caso di interventi non

legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.
Del resto, anche a voler, per un attimo,

accogliere la

prospettiva del ricorrente, occorre considerare che il giudizio
controfattuale va compiuto, non con una avventurosa indagine nella ,

necessari – il “consenso informatcM costituisce, di norma,

psiche del paziente, ma facendo richiamo alle categorie della \f/
razionalità e della normalità.
Ci si dovrebbe cioè chiedere cosa avrebbe deciso una persona
normale e razionale se avesse avuto tutte le informazioni
rilevanti.
Ora, in difetto di una corretta e puntuale informazione sulle
possibilità che l’esito del trattamento potesse addirittura
risolversi in un peggioramento del suo aspetto fisico (intervento
di chirurgia plastica con escissione epidermica della parte
interessata per l’eliminazione di un tatuaggio sulla spalla dal
quale è residuata una cicatrice ” a forma di losanga, il cui asse
maggiore è pari a cm. 4,5 il minore a 2,5 cm, non aderente al
tessuti sottostanti, con colorazione simil-cutanea, ma con
striature ipercromiche”

(pag. 3 della sentenza), deve ritenersi

che la paziente – come qualsiasi soggetto normale e razionale –

11

avrebbe opposto un rifiuto a sottoporsi alla tecnica di intervento
proposta.
Con tali precisazioni, le conclusioni cui è pervenuta la Corte di
merito sono corrette.
Va, quindi, sul punto enunciato il seguente principio di diritto:

inestetismo più grave di quello che si mirava ad eliminare o ad
attenuare, all’accertamento che di tale possibile esito il
paziente non era stato compiutamente e scrupolosamente informato
consegue ordinariamente la responsabilità del medico per il danno
derivatone, quand’anche l’intervento sia stato correttamente
eseguito. La particolarità del risultato perseguito dal paziente e
la sua normale non declinabilità in termini di tutela della salute
consentono infatti di presumere che il consenso non sarebbe stato
prestato se l’informazione fosse stata offerta e rendono pertanto
superfluo l’accertamento, invece necessario quando l’intervento
sia volto alla tutela della salute e la stessa risulti
pregiudicata da un intervento pur necessario e correttamente
eseguito, sulle determinazioni cui il paziente sarebbe addivenuto
se dei possibili rischi fosse stato informato”.

2. Con il secondo motivo si denuncia

violazione e falsa

applicazione degli artt. 1882 e seguenti del codice civile, in
relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c..
Il motivo non è fondato.
La Corte di merito, sui rilievi prospettati nel giudizio di
appello dalla Milano Assicurazioni in ordine
12

alla infondatezza

“Quando ad un intervento di chirurgia estetica consegua un

dell’azione di garanzia, relativa soltanto ai rischi connessi ad
errori tecnici del chirurgo, ha ritenuto che ”

la causa della

responsabilità del medico risiede in una sua negligenza del dovere
informativo, non in un errore di applicazione della tecnica
chirurgica, evento questo che costituiva oggetto del rischio

prodotto in primo grado, il cui rischio relativo alla
responsabilità per danno estetico cagionato al paziente è
garantito per il solo caso di danno causato da “errore tecnico
nell’intervento”, come emerge dalle condizioni aggiuntive di
polizza depositate anche dal professionista”.
Ora, anche a prescindere dai profili di inammissibilità ai sensi
degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c„ per non essere riportato
per esteso il contenuto delle invocate clausole della polizza
assicurativa e le condizioni generali di polizza (con le
condizioni aggiuntive), senza neppure indicare in quale sede
processuale tali documenti siano stati prodotti, sta di fatto che
anche il ricorrente concorda con il riconoscere che la polizza
avrebbe coperto i danni “connessi all’attività diagnostica e
terapeutica svolta”, ritenendo, però, che anche il cd. consenso
informato rientrerebbe nella funzione diagnostica oggetto del
rischio assicurato.
La tesi non può essere seguita.
Il cosiddetto “consenso informato”, pur rientrando nel rapporto
sanitario a contenuto contrattuale è espressione della consapevole
adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, e non può
13

assicurato, come risulta dal contratto stipulato tra le parti e

essere considerato un equipollente della fase e della funzione
diagnostica che lo precede temporalmente, mentre è finalizzato
proprio a quella successiva, terapeutica, in ordine alla quale
deve essere richiesto e prestato.
Quanto poi al richiamo alle condizioni aggiuntive, cui fa

relativo alla responsabilità per danno estetico era garantito per
il solo caso di danno causato da “errore tecnico nell’intervento”,
la loro mancata riproduzione integrale toglie pregio alla tesi del
ricorrente che ne vorrebbe la validità “a condizione che fossero
richiamate nella polizza”; ciò che non può, neppure sotto questo
profilo, essere oggetto di esame in questa sede.
3. Con il terzo motivo si denuncia

violazione e falsa applicazione

dell’articolo 112 del codice di procedura civile, in relazione
all’art. 360, n. 3, c.p.c..
Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.
Materialmente il dispositivo sul capo della sentenza relativo alla
domanda di manleva proposta dal Luccioli nei confronti della
compagnia di assicurazioni SIS difetta; ma questa carenza non
No.n.ria.
determina le conseguenze che vorrebbYr1 ricorrente.
Il

decisum è

chiaramente desumibile dalla motivazione sul punto

adottata dalla Corte di merito I che ha ritenuto che la garanzia
assicurativa coprisse soltanto errori di applicazione della
tecnica chirurgica, ma non la riconosciuta responsabilità per la
violazione del diritto informativo,- D’altro canto, nella specie,
risulta pienamente assicurata la finalità cui la norma dell’art.
14

riferimento la Corte di merito per affermare che il rischio

132 n. 5 c.p.c. fa riferimento, che è quella di consentire
all’interessato di esplicare il suo diritto di difesa attraverso
l’impugnazione della statuizione a lui negativa.
Ed è ciò che il Luccioli ha fatto impugnando, con il secondo
motivo di ricorso – infondato per le ragioni più sopra espresse –

Pertanto, alcuna lesione al diritto di difesa dell’interessato è
stata in questo caso arrecata dalla omissione materiale della
riproduzione del contenuto della statuizione.
Ed il suo diritto all’impugnazione è stato pienamente rispettato.
In definitiva, i dubbi del dispositivo possono essere chiariti
dalla motivazione ed, in questo caso, è evidente che vi è stata
una valutazione del motivo di impugnazione ed una decisione
reiettiva dello stesso, puntualmente impugnata con ricorso per
cassazione.
La sentenza ha, infatti, ritenuto che non sussistessero le
condizioni per l’accoglimento della domanda di manleva.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo
in favore della resistente, sono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese in favore della resistente che liquida in complessivi

e 2.700,00, di cui C 2.500,00 per compensi, oltre accessori di
legge.

15

proprio il mancato riconoscimento della copertura assicurativa.

Così deciso in data 26 febbraio 2014 in Roma, nella camera di

consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.

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