Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12829 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 26/05/2010), n.12829

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AMMINISTRAZIONE DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 49/2004 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 10/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato RANUCCI DIANA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

Il ragioniere commercialista M.A. chiedeva il rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998/2001. L’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate non riscontrava l’istanza ed il contribuente si rivolgeva alla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna, che accoglieva il ricorso, disponendo la restituzione dell’intera somma pagata.

L’Ufficio interponeva appello alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna che rigettava il gravame in quanto riscontrava l’assoluta inesistenza di personale dipendente e di collaborazioni coordinate e continuative e la presenza di beni strumentali di modesta portata (computer ed una fotocopiatrice) e, pertanto, l’assenza del presupposto per l’applicazione dell’I.R.A.P. Avverso detta decisione l’Amministrazione dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate proponevano ricorso per Cassazione, con un unico motivo. Non risulta costituito il contribuente.

Il procedimento veniva fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., e da questa rinviato a nuovo ruolo.

Diritto

Occorre preliminarmente dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze in quanto lo stesso nel presente procedimento è privo di legittimazione processuale, non essendo stato parte nel giudizio di appello dal quale deve intendersi tacitamente estromesso (cass. civ sentt. nn. 9004/2007, 22889/2006), come è dato rilevare anche dall’epigrafe della sentenza impugnata, ove il gravame risulta proposto dall’Agenzia delle entrate. Ufficio di (OMISSIS), in data 4.2.2004.

A seguito della riforma dell’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, sono state istituite le Agenzie fiscali e, pertanto, a partire dal 1^ gennaio 2001 (data d’inizio dell’operatività di detti enti), la legittimazione processuale attiva e passiva nel contenzioso tributario compete a dette istituzioni, dotate di personalità giuridica, e non più al Ministero od agli uffici periferici dello stesso non più esistenti a seguito dell’intervenuta riforma. Si compensano le relative spese .

dato che la costituzione del Ministero non ha aggravato la difesa erariale e che la giurisprudenza citata si è formata in epoca successiva all’introduzione del presente ricorso.

Con l’unico motivo, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2 e 3, come modificati dal D.Lgs. n. 137 del 1998, in quanto la Commissione Regionale avrebbe dovuto riconoscere la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’imposta, trattandosi nel caso di specie di un professionista che, come tale, andava assoggettato ad IRAP in quanto svolgeva abitualmente un’attività autonomamente organizzata per la prestazione di servizi.

Così riassunte la doglianza della ricorrente, osserva il Collegio che con il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 1, è stata istituita l’imposta regionale sulle attività produttive (I.R.A.P.).

prevedendosi all’art. 2 che il presupposto del tributo è costituito dall’esercizio di un’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.

Con il successivo art. 3 è stato poi ribadito che i soggetti passivi dell’IRAP sono quelli che svolgono una delle attività di cui all’art. 2 e, “pertanto”, anche le persone fisiche e le società semplici (od equiparate) che esercitano un’arte o una professione ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, che, come chiarito dal comma 2, lett. a), all’epoca vigente, ricomprendeva in tale categoria tutti coloro che, per professione abituale, svolgevano un’attività di lavoro autonomo non classificabile come impresa o come collaborazione coordinata o continuativa e, cioè, come prestazione di servizi senza impiego di organizzazione propria.

Ciò posto e ricordato, altresì, che con il predetto D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 36, è stata disposta l’abolizione di alcuni tributi, fra i quali pure l’imposta comunale per l’esercizio d’imprese, arti e professioni (che ai sensi del D.L. n. 66 de 1989, art. 1, convertito dalla L. n. 144 del 1989, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, colpiva anch’essa i lavoratori autonomi non catalogabili come imprenditori o semplici collaboratori coordinati o continuativi) occorre ulteriormente rammentare che a distanza di pochi mesi dall’entrata in vigore dell’IRAP, è stato emanato il D.Lgs. n. 10 aprile 1998, n. 137, con il quale è stata riformulata la prima parte dell’art. 2 sopracitato allo scopo di chiarirne la portata, nel senso che il presupposto dell’imposta è costituito dall’esercizio abituale di un’attività “autonomamente organizzata” diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi. La norma così rimodellata ha dato nuova linfa al dibattito in corso soprattutto per quel che riguarda l’applicabilità dell’IRAP ai professionisti.

Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 156/2001 ha innanzitutto sgombrato il campo da ogni equivoco circa la possibilità d’istituire parallelismi fra l’IRAP e l’I.LO.R..

L’I.R.A.P., non operando nessuna indebita equiparazione dei redditi di lavoro autonomo a quelli d’impresa, era un’imposta volta ad incidere su di un fatto economico diverso dal reddito, ossia sul valore aggiunto prodotto dalle singole unità organizzative, che ove sussistente, costituiva un indice di capacità contributiva capace di giustificare l’imposizione sia nei confronti delle imprese che dei lavoratori autonomi.

Ciò non voleva certamente dire che questi ultimi rientravano sempre tra i soggetti passivi dell’imposta perchè se quello organizzativo costituiva un elemento connaturato alla nozione stessa d’impresa, non altrettanto poteva dirsi per le arti e le professioni, riguardo alle quali non era impossibile escludere in assoluto che l’attività poteva essere svolta anche in assenza di un’organizzazione di capitali e/o lavoro altrui. Ma la ipotizzabilità di un’evenienza del genere, il cui accertamento costituiva una questione di mero fatto, non valeva a dimostrare la denunciata illegittimità dell’IRAP, ma soltanto la sua inapplicabilità per quei lavoratori autonomi che non si fossero giovati di alcun supporto organizzativo.

Così pronunciando, la Corte costituzionale ha in definitiva affermato che l’IRAP può ed, anzi, deve essere applicata pure ai lavoratori autonomi, tenendo però presente che non si tratta di una regola assoluta, ma solo dell’ipotesi ordinaria, nel senso che l’assoggettamento all’imposta costituisce la norma per ogni tipo di lavoratore autonomo, mentre l’esenzione rappresenta l’eccezione valevole soltanto per quelli privi di qualunque apparato produttivo.

Vero è che l’interpretazione che di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità offre la Corte costituzionale in una sentenza di non fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice chiamato successivamente ad applicarla, ma è altrettanto vero che quella interpretazione rappresenta un fondamentale contributo ermeneutico che non può essere disconosciuto senza l’esistenza di una valida ragione.

Non occorre, quindi, che si tratti di una struttura d’importanza prevalente rispetto al lavoro del titolare o addirittura in grado di generare profitti anche senza di lui, ma è sufficiente che vi sia un insieme tale da porre il professionista in una condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe trovato senza di esso.

L’indagine sull’esistenza di tale qualcosa in più costituisce senza dubbio un accertamento di fatto che il giudice di merito dovrà compiere caso per caso sulla base di una valutazione di natura non soltanto logica, ma anche socio economica perchè l’assenza di un struttura produttiva non può essere intesa nel senso radicale di totale mancanza di qualsiasi supporto, ma neppure in quello di particolare rilevanza o, peggio, di prevalenza dei beni e/o del lavoro altrui su quello del titolare. Per far sorgere l’obbligo di pagamento del tributo basta, infatti, l’esistenza di un apparato che non sia sostanzialmente ininfluente, ovverosia di un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete. sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista.

In considerazione di quanto sopra, poichè questa Corte si era trovata a dovere dirimere diverse tesi, in particolare, rispetto a determinate professioni, quali i promotori finanziari e gli agenti di commercio, delle questioni dibattute sono state, quindi, investite le Sezioni unite che hanno enunciato il seguente principio di diritto, estensibile anche al caso di specie: “In tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, e di promotore finanziario di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 2, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quoad plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.” (SS.UU. sentt. nn. 12108 e 12111 del 2009).

Tanto puntualizzato in via generale ed astratta, rimane unicamente da aggiungere che nel caso di specie la Commissione Regionale ha valutato la situazione concreta di M.A. osservando al riguardo che il medesimo non disponeva di una struttura produttiva in quanto non si avvaleva di personale dipendente o di collaboratori di altro genere, ma soltanto di beni strumentali di modesta entità (un computer ed una fotocopiatrice). Dal canto suo, l’Agenzia delle Entrate non ha sviluppato nessuna specifica ed adeguata censura sul punto perchè si è, in definitiva, limitata a sostenere che i professionisti rientravano comunque nel novero dei soggetti passivi dell’IRAP. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Non occorre statuire sulle spese dato che la parte intimata non ha svolto in questa fase alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Tributaria, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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