Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12824 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 10/06/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 10/06/2011), n.12824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11844-2007 proposto da:

FONDAZIONE MUSEO NAZIONALE DELLA SCIENZA E DELLA TECNOLOGIA “LEONARDO

DA VINCI”, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VERA AUGUSTO 41, presso lo

studio dell’avvocato PELOSI ANTONELLA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CHERUBINI ELIO, DUI PASQUALE, BOTTINI ALDO,

TOFFOLETTO FRANCO, giusta procura speciale notarile in atti;

– ricorrente –

contro

O.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

96, presso lo studio dell’avvocato DI PAOLO LUCA, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAGOZZINO RENATO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 73/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/01/2007 r.g.n. 921/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato PELOSI ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Milano, con sentenza resa il 23.1.2007, confermando la sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del termine finale apposto al contratto stipulato tra le parti in data 28 febbraio 2002 e della successiva proroga e ha dichiarato; altresì, la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso tra le stesse a partire da tale data, rigettando nello stesso tempo il gravame proposto da O.G., diretto a far valere la condanna al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento dei danni dalla data dell’offerta della prestazione lavorativa sino alla data della sentenza.

Avverso tale sentenza la Fondazione propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la O..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Fondazione ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 lamentando che la sentenza impugnata aveva dato una interpretazione errata della nozione di specificità della indicazione della causale dell’apposizione del termine perchè aveva preteso di dimostrare la non veridicità della ragione giustificativa non scrutinando l’effettiva incertezza organizzativa legata alla privatizzazione del rapporto di lavoro presso la Fondazione, ma sulla base del numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati contestualmente a quello della signora O. e motivati con la stessa ragione, laddove la veridicità delle ragioni della assunzione devono essere valutate ex ante. La sentenza impugnata era pertanto sconfinata, a dire della ricorrente, in apprezzamenti circa il merito delle decisioni organizzative rimesse esclusivamente alla valutazione del datore di lavoro.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 4 rimarcando ancora una volta che il riscontro della oggettività delle ragioni giustificative della proroga era avvenuto anch’esso sulla base del numero dei contratti di lavoro a tempo determinato convertiti a tempo indeterminato, e non già sulla base delle risultanze documentali relative sia al protrarsi della incertezza organizzativa legata alla fase di privatizzazione del rapporto di lavoro e sia al processo di automatizzazione del servizio di sorveglianza di sala.

Con il terzo motivo, la ricorrente addebita alla sentenza impugnata un vizio di motivazione, lamentando, tra l’altro, che era stato omesso ogni riferimento alla causale della lettera di assunzione in cui si era esplicitato che l’assunzione a termine era giustificata dalla verifica dell’impatto che sarebbe derivato dalla privatizzazione del rapporto di lavoro anche in termini di aumento e di riduzione dell’organico.

I tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perchè privi di fondamento.

La Corte di Cassazione ha statuito che in tema di apposizione del termine ai contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, un onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo organizzativo o sostitutivo” del termine finale, che debbono essere sufficientemente particolareggiate cosi da rendere possibile la conoscenza della loro portata ed il relativo controllo di effettività, dovendosi ritenere tale scelta in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009. in causa C- 378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C- 144/04), la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine (ossia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi), ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8, n. 3 (cosiddetta clausola “di non regresso”) dell’accordo quadro prevede – allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori – che l’applicazione della direttiva “non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo” (cfr., al riguardo, da ultimo, Cass. 27 gennaio 2011 n. 1931).

E sempre i giudici di legittimità hanno più volte affermato che l’apposizione di un termine ai contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale – a fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto – le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze dei datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, a prestazione di lavoro a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa; ed hanno, altresì, aggiunto che spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dare riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti tra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto (cosi Cass, 27 aprile 2010 n. 10033, cui adde Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279, che ha rimarcato la necessità di un riferimento sufficientemente dettagliato alla causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto).

Orbene, alla stregua dei principi sopra enunciati, la sentenza impugnata si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità, essendo la stessa supportata da un iter argomentativo congrue privo di salti logici e rispettoso dei principi giuridici applicabili in materia di contratto a termine.

Ed invero, la Corte territoriale non ha certo negato che i contratti a termini fossero stati stipulati in connessione con il processo di privatizzazione del rapporto di lavoro nella Fondazione, che avrebbe portato – anche per il diritto di opzione riconosciuto ai dipendenti circa la possibilità di scegliere il regime privatistico o invece la continuazione di quello pubblicistico seppure con altra amministrazione – innegabili ricadute sul versante della definizione di un organico. Ha, però, osservato la Corte – con una valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito, che appare un logico risultato dell’esame delle vicende che hanno accompagnato detto processo di privatizzazione – come il contratto a termine scrutinato non assicurava la trasparenza e la veridicità delle ragioni evidenziate dalla Fondazione come giustificative del contratto a termine e come non garantisse il lavoratore.

Nè per andare in contrario avviso, può addursi – come ha fatto la ricorrente – che nel caso di specie si è finito, per invadere il potere della Fondazione di determinare la propria organizzazione, sostituendosi in tal modo a valutazioni spettanti al datore di lavoro. Non può infatti, negarsi che – in un’ottica di bilanciamento di due interessi non coincidenti, aventi ambedue copertura costituzionale ( quello del lavoratore e quello del datore di lavoro) – la parte datoriale, in un giusto equilibrio tra posizioni contrapposte, non debba fare un uso eccessivo del ricorso al contratto a termine in modo da prescindere dalle effettive esigenze organizzative della impresa, ma debba invece, parametrare ti numero dei lavoratori da assumere a termine unicamente sulla necessità dell’effettivo e concreto soddisfacimento di dette esigenze.

In un siffatto contesto ordinamentale va ribadito, dunque, che la sentenza impugnata non merita alcuna censura perchè il giudice d’appello ha correttamente ritenuto – sulla base delle singole modalità che hanno accompagnato il processo di privatizzazione della Fondazione (numero dei lavoratori assunti a termine, lavoratori assunti a tempo indeterminato, installazione di sistemi di video- sorveglianza: ecc.) – che nel caso in esame la clausola apposta al contratto a tempo determinato dovesse considerarsi generica in quanto non consentiva di comprendere quale fosse il rapporto tra la privatizzazione e l’aumento o la diminuzione dell’organico della Fondazione, nè per quale ragione fosse necessario assumere personale a tempo indeterminato nei tempi in cui detta assunzione è avvenuta e perchè, in altri termini, si fosse assunto a tempo determinato un numero di lavoratori che la condotta datoriale ha evidenziato essere stato eccessivo e, comunque non parametrato alle effettive esigenze organizzative della Fondazione.

Per analoghe ragioni io stesso giudice ha ritenuto non veritiere le motivazioni addotte a fondamento della disposta proroga.

Il ricorso deve essere, pertanto, respinto: laddove le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte cosi provvede:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 3.040,00, di cui Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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