Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12823 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2010, (ud. 05/03/2010, dep. 26/05/2010), n.12823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.D.;

– intimata –

sul ricorso 8745-2008 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA VIA LAZIO 20-C,

presso lo studio dell’avvocato COGGIATTI CLAUDIO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BIANCHI NICOLA, giusta delega in

calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 224/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

PARMA, depositata il 05/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il resistente l’Avvocato COGGIATTI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 224.23.06 del 19/12/2006 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna respingeva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate di Parma nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Parma di parziale accoglimento dell’opposizione spiegata dalla contribuente sig. M.D. nei confronti dell’avviso di accertamento emesso a titolo di I.R.P.E.F., I.L.O.R. ed I.V.A. per l’anno d’imposta 1998.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per Cassazione, affidato ad unico motivo.

Resiste con controricorso la M., che spiega altresì ricorso incidentale, sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

Con unico motivo la ricorrente principale omessa motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che nell’impugnata sentenza nulla si dica circa “la prova della effettività delle prestazioni di servizio contabilizzate …

quali costi di esercizio e poste a fondamento della detrazione I.V.A. operata (anno 1998) nonchè del minor reddito di impresa dichiarato, attesa la deduzione dei costi relativi”.

Il motivo è inammissibile ai sensi artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, artt. 366 bis e 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a completamento della relativa esposizione il motivo deve indefettibilmente recare, in una parte ad essa “specificamente destinata”, autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002), formulata secondo lo schema delineato in giurisprudenza di legittimità secondo cui essa deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.) la “chiara indicazione” delle “ragioni” del denunziato vizio di motivazione (cfr. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il motivo non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati- delle “ragioni” del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione altresì carente di autosufficienza, giacchè si fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., al “verbale di contestazione redatto dalla Guardia di finanza di fornovo Taro”, all'”avviso di rettifica”, a “rapporti commerciali” intercorsi con “la ditta G.” relativi “allo svolgimento … di prestazioni di servizio (come montaggio e smontaggio mobili), con indicazione nelle fatture finali di importi molto elevati, addirittura centinaia di milioni di lire”, alla “contabilità della M.”, alla “fattura” con “riportato “PAGATO” con la firma del sig. G.G.”, alla “prova della effettività delle prestazioni di servizio contabilizzate dalla ditta M. quali costi di esercizio e poste a fondamento della detrazione IVA operata (anno 1988) nonchè del minor reddito di impresa dichiarato, attesa la deduzione dei costi relativi”, ai “fatti processuali dai quali emerge che l’Amministrazione ha da subito contestato la dicitura “pagato””, al “proprio ricorso (pag. 6 9 del ricorso)” ove “la parte … unicamente richiama la sentenza di assoluzione e fa riferimento all’attività del giudice, senza provare con quali mezzi sia stato effettuato il pagamento di centinaia di milioni”, alla “fatture” con la “dicitura “pagato”, all'”interrogazione all’anagrafe tributaria”, al “p.v.c.” ove “era riportato che le fatture avevano ad oggetto prestazioni di servizi, come il montaggio dei mobili, con i relativi lavori di posizionamento, smistamento e facchinaggio, ma non il trasporto”) senza invero debitamente riportarli nel ricorso.

All’inammissibilità del motivo consegue l’inammissibilità del ricorso principale.

Con il 1^ motivo la ricorrente in via incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice del gravame di merito non abbia dichiarato inammissibile l’appello di controparte per mancanza di specificità dei motivi.

Con il 2^ motivo la ricorrente in via incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice del gravame di merito abbia, “con motivazione non convincente e contraddittoria”, erroneamente ritenuto “che gli avvisi di rettifica fossero adeguatamente motivati”.

Con il 3 motivo la ricorrente in via incidentale denunzia omessa motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello abbia immotivatamente ritenuto non inerenti i costi ripresi a reddito.

I motivi che, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, artt. 366 bis e 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e in parte infondati.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dai motivi di ricorso con i quali si denunzia vizio di violazione di norme di diritto risultano formulati in termini generici e privi di riferibilità alla fattispecie concreta in questione, tali da non consentire, in base alla loro sola lettura (v.

Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519;

Cass. Sez. Un, 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza sottacersi che nella specie i motivi risultano altresì formulati in violazione del principio di autosufficienza.

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, va osservato che esso risulta inammissibilmente formulato in violazione del principio di autosufficienza, laddove fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla “sentenza di primo grado”, all’atto di “appello”, agli “avvisi di rettifica impugnati in primo grado”, alla ripresa “a reddito dall’Ufficio” del “componente negativo …

ritenuto non inerente l’esercizio dell’impresa, in quanto relativo ad un appartamento di civile abitazione”) senza invero debitamente riportarli nel ricorso.

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso incidentale.

Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta l’incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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