Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12822 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 26/05/2010, (ud. 05/03/2010, dep. 26/05/2010), n.12822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.D.;

– intimata –

sul ricorso 7314-2008 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA VIA LAZIO 20-C,

presso lo studio dell’avvocato COGGIATTI CLAUDIO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato BIANCHI NICOLA, giusta delega in

calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 215/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

PARMA, depositata il 14/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il resistente l’Avvocato COGGIATTI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 215.23.06 del 14/12/2006 la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna respingeva il gravame interposto dall’Agenzia delle entrate di Parma nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Parma di parziale accoglimento dell’opposizione spiegata dalla contribuente sig. M.D. nei confronti dell’avviso di accertamento emesso a titolo di I.R.P.E.F., I.L.O.R. ed I.V.A. per l’anno d’imposta 1999.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per Cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la M., che spiega altresì ricorso incidentale, sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c..

Con il 1^ motivo la ricorrente principale denunzia insufficiente motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che nell’impugnata sentenza risulti insufficientemente motivata il punto relativo alla prova della effettività delle prestazioni di servizio contabilizzate … quali costi di esercizio e poste a fondamento delle eccedenze d’imposta in parte chieste ed ottenute a rimborso, in parte riportate a credito negli anni successivi.

Lamenta non essersi dalla CTR tenuto conto “dei fatti processuali dai quali emerge … che l’Amministrazione ha sempre contestato la dicitura pagato”, e di non aver “motivato in merito alle molteplici anomalie riscontrate sulle fatture dalla Guardia di Finanza nel processo verbale di constatazione che hanno indotto l’Ufficio a considerarle realtive ad operazioni inesistenti”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19, 21, 26, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice dell’appello abbia erroneamente ritenuto spettante alla contribuente il diritto alla detrazione dell’I.V.A. in ragione del presunto pagamento delle fatture, laddove queste ultime avevano riguardo ad operazioni inesistenti e comunque illecite.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Allorquando con quest’ultimo viene come nella specie in particolare denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v.

Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Avuto riguardo al pure denunziato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va per altro verso ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come la medesima faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”avviso di accertamento”, al “p.v.c. redatto dal Comando Brigata della guardia di Finanza di Fornovo Taro del 28.6.2000”, agli “importi fatturati dalla ditta G. G. alla ditta M.D.”, alla “contabilità”, ali fatture recanti “la firma di ” G.G.” e … la scritta “Pagato” con l’indicazione “Pagamento Rimessa Diretta””, ad “una interrogazione all’anagrafe tributaria eseguita nei confronti della ditta ” G.G.””, a “costi non inerenti all’attività di impresa o non documentati (cfr. prospetto allegato n. 9 al p.v.c”, alle “riprese” che “la C.T.P. … ha convalidato”; alle “giustificazioni offerte dalla controparte nel proprio ricorso (cfr.

pag. 8) di primo grado e confermato in appello (pag. 11 delle controdeduzioni”; alla fattura emessa dalla “ditta G. … ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17”, alla registrata “fattura mai onorata non … incisa dalla rivalsa da parte del soggetto passivo” per la quale “ha detratto l’imposta beneficiando di un credito non spettante e successivamente richiesto a rimborso”, alle “fatture” aventi “ad oggetto prestazioni di servizio, come il montaggio dei mobili, con relativi lavori di posizionamento, smistamento e facchinaggio, ma non anche il trasporto”) di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua essa non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass.: 1/2/1995, n. 1161).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come si è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Con il 1^ motivo la ricorrente in via incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice del gravame di merito non abbia dichiarato inammissibile l’appello di controparte per mancanza di specificità dei motivi.

Con il 2^ motivo la ricorrente in via incidentale denunzia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice del gravame di merito abbia, “con motivazione non convincente e contraddittoria”, erroneamente ritenuto “che gli avvisi di rettifica fossero adeguatamente motivati”.

Con il 3^ motivo la ricorrente in via incidentale denunzia omessa motivazione su fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello abbia immotivatamente ritenuto non inerenti i costi ripresi a reddito.

I motivi che, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili ai sensi del art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, artt. 366 bis e 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e in parte infondati.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti recati dai motivi di ricorso con i quali si denunzia vizio di violazione di norme di diritto risultando formulati senza recare invero il riassunto gli aspetti di fatto rilevanti e l’indicazione del modo in cui il giudice li ha decisi, esprimendo la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso avrebbe asseritamente dovuto essere viceversa risolto, si profilano tali da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.

Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza sottacersi che nella specie i motivi risultano altresì formulati in violazione del principio di autosufficienza, laddove si fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito senza invero debitamente riportarli nel ricorso (v. oltre).

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a completamento della relativa esposizione il motivo deve indefettibilmente recare, in una parte ad essa “specificamente destinata”, autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002), formulata secondo lo schema delineato in giurisprudenza di legittimità secondo cui essa deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; e) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.) la “chiara indicazione” delle “ragioni” del denunziato vizio di motivazione (cfr. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il motivo di ricorso non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle “ragioni” del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione altresì carente di autosufficienza, giacchè si fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di appello” di controparte; agli “avvisi di rettifica impugnati in primo grado”, ai “pagamenti effettuati ed imputati all’esercizio 1994”, ai “costi ripresi a reddito perchè ritenuti non inerenti”, alla “sentenza di primo grado”, al proprio atto di appello, alle “bollette relative ad un appartamento identificato con il numero (OMISSIS) – lotto (OMISSIS) – I gabbiani” sito in (OMISSIS) ((OMISSIS)), … di cui si è contestato l’ammortamento”, allo svolgimento della propria “attività prevalentemente in Sardegna”, ai “costi per prodotti alimentari, affrontati per il titolare e gli operai di volta in volta forniti alla ditta G., e per alcuni rifornimenti di cui alle carte carburanti”) senza invero debitamente riportarli nel ricorso.

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi.

Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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