Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1282 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2020, (ud. 24/06/2019, dep. 22/01/2020), n.1282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10973/2016 R.G. proposto da:

Generale Conserve s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alberto Marcheselli,

Barbara Benazzi e Marina Milli, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultima, sito in Roma via Marianna Dionigi, 29;

– ricorrente, controricorrente in via incidentale –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente, ricorrente in via incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria, n. 296, depositata il 22 febbraio 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 giugno 2019

dal Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso principale e di quello incidentale;

uditi gli avv. Alberto Marcheselli, per la ricorrente, e Bruno

Dettori, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Generale Conserve s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 22 febbraio 2016, che, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento emesso con riferimento al periodo di imposta 2005, limitatamente alle riprese fiscali aventi per oggetto le deduzioni della quota di ammortamento del marchio “(OMISSIS)”, determinata in misura superiore rispetto a quella corretta, e delle perdite su crediti, mentre ha ritenuto illegittimo l’atto impositivo relativamente alla sanzione irrogata per omessa autofatturazione dell’acquisto del predetto marchio.

1.1. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che il recupero della quota di ammortamento dedotta in eccesso era giustificato in base al minor valore del marchio acquistato, così come desumibile dalla relazione di stima redatta in occasione della costituzione della GC Partecipazioni s.r.l. – società che ha successivamente incorporato la Generale Conserve s.p.a., assumendone la denominazione – sul valore di tale società, mentre quello relativo alle perdita su credito è fondato sulla violazione del principio di competenza.

1.2. Nella decisione di appello si dà atto che il giudice di primo grado aveva annullato integralmente l’atto impositivo, ritenendo legittime le contestate deduzioni operate dalla contribuente e non dovuta l’autofatturazione per l’acquisto del marchio.

2. La Commissione regionale ha ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio sia con riferimento alla rettifica della quota di ammortamento deducibile, sia con riferimento al disconoscimento della deduzione delle perdite su crediti in quanto verificatesi in un diverso periodo di imposta.

Ha, poi, confermato la valutazione della Commissione provinciale in ordine all’illegittimità della sanzione irrogata in quanto la violazione contestata presentava carattere formale e dalla stessa non risultava alcun debito di imposta.

3. Il ricorso è affidato a undici motivi.

4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale propone ricorso incidentale.

5. Avverso tale ricorso incidentale resiste con controricorso la Generale Conserve s.p.a.

6. Quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia la violazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 103, comma 1, per aver la sentenza di appello ritenuto corretto il costo del marchio individuato dall’Ufficio nonostante fosse diverso dal costo effettivamente sostenuto in virtù dell’operazione di acquisto e benchè l’Ufficio avesse proceduto alla rideterminazione del valore facendo esclusivo ed espresso riferimento ad elementi aventi “base negoziale”.

1.1. Il motivo è infondato.

Occorre preliminarmente rilevare, per una migliore comprensione dei fatti, che l’acquisto del marchio in oggetto da parte della GC Partecipazioni s.r.l. è avvenuta all’esito di una serie di operazioni societarie che hanno interessato la Generale Conserve s.p.a. e in esecuzione di accordi contrattuali per effetto la prima società ha acquistato dalla COFACO la quota del 41% del capitale sociale della seconda, nonchè il predetto marchio (OMISSIS) per un importo complessivo di Euro 4.740.000,00.

Poichè in occasione della costituzione della GC Partecipazioni s.r.l., intervenuta il medesimo periodo di imposta, il valore della Generale Conserve s.p.a. è stato determinato, con relazione giurata ex art. 2465 c.c., in Euro 5.557.110,00, l’Ufficio ha stimato il valore della partecipazione acquistata in Euro 2.278.415,00 (pari al 41% del valore complessivo della società) e, per differenza dal prezzo dell’operazione intrattenuta con la COFACO, il valore del marchio (OMISSIS) in Euro 2.461.585,00 (Euro 4.740.000,00 – 2.278.415,00), procedendo alla rettifica del relativo accantonamento effettuato dalla contribuente.

1.2. Ciò posto, deve ritenersi che, in assenza di una specifica quantificazione, in sede contrattuale, del costo dell’acquisto del marchio, distinto da quello dell’acquisto della partecipazione sociale, nonchè di altri elementi dai quali evincere tale costo, risulta corretta la determinazione dello stesso attraverso la stima del valore di tale partecipazione sociale e nella sottrazione di questo dal costo complessivo dell’operazione.

Quanto al valore della partecipazione sociale, si evidenzia che la stima effettuata dal revisore contabile con relazione giurata ex art. 2465 c.c. in occasione della costituzione della GC Partecipazioni s.r.l. costituisce un elemento che può essere utilizzato al fine di pervenire all’individuazione del costo dell’operazione in esame.

2. Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata considerazione che il prezzo delle partecipazioni cedute, da cui era stato desunto, per differenza sul prezzo complessivo delle operazioni, il prezzo del marchio acquistato, è stato negoziato e pattuito in epoca precedente alla redazione della perizia e che, comunque, il prezzo di tali partecipazioni era stato desunto dalla perizia senza tener conto del fatto che si trattava di partecipazioni di minoranza.

2.1. Il motivo è inammissibile atteso che si risolve in una censura della complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella pronuncia di appello in ordine all’individuazione del costo dell’acquisto del marchio.

Una siffatta censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);

3. Con il terzo motivo la società si duole, in via ulteriormente subordinata, dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la decisione impugnata non ha valutato il valore che un marchio ha per un’azienda che commercializza beni di largo consumo, che un marchio paragonabile, per categoria merceologica e diffusione, era stato acquistato, in circostanze di tempo assimilabili, ad un prezzo superiore e che negli anni il valore del marchio era cresciuto parallelamente al crescere del fatturato.

3.1. Il motivo è inammissibile in quanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine al carattere controverso dei fatti dedotti, questi non risultano presentare il necessario carattere di decisività, essendo privi di valenza probatoria tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr., in tema, Cass., ord., 26 giugno 2018, n. 16812; Cass., ord., 28 settembre 2016, n. 19150).

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, in via ulteriormente subordinata, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla circostanza che il prezzo della complessiva operazione che la aveva coinvolta non aveva carattere unitario e che a tale operazione avevano partecipato distinti soggetti autonomi, portatori di interessi confliggenti.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto investe non già l’omesso esame di fatti – peraltro, non controversi -, quanto la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice.

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione del T.U. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, per aver ritenuto che la deduzione della perdita su crediti dovesse essere effettuata con riferimento al periodo di imposta in cui la contribuente aveva avuto conoscenza del fallimento del debitore.

5.1. Il motivo è infondato.

In tema di redditi d’impresa, nel regime anteriore al D.Lgs. n. 14 settembre 2015, n. 147, le perdite su crediti, nell’ipotesi di sottoposizione del debitore a procedure concorsuali, sono deducibili soltanto nell’esercizio coincidente con il momento di apertura della procedura, in quanto è in tale fase che si concretizzano gli elementi certi e precisi di inesigibilità del credito maturato dall’impresa (così, Cass., ord. 15 gennaio 2019, n. 775).

Opinando nel senso auspicato dalla ricorrente secondo cui al T.U. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, si limiterebbe a prevedere solo il dies a quo della deducibilità della perdita e non anche l’esercizio obbligatorio della stessa in quel periodo di imposta, si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa.

6. L’argomentazione posta a fondamento del rigetto del quinto motivo determina: l’infondatezza del sesto motivo, proposto in via subordinata, con cui si critica la sentenza di appello per violazione del T.U. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, per aver ritenuto che la perdita dovesse essere dedotta nell’esercizio in cui era stata aperta la procedura concorsuale benchè la prova del consolidamento della perdita medesima poteva manifestarsi in un momento successivo; l’inammissibilità del settimo, con cui si contesta l’omesso esame di un fatto decisivo, individuato nel fatto che ancora nel 2005, nel corso della procedura fallimentare, la società si attiva delle informazioni sulla solvibilità del debitore, per difetto di rilevanza; l’inammissibilità dell’ottavo motivo, con cui si contesta, in ulteriore subordine, l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione al mancato esame dell’assenza di un vantaggio fiscale derivante dalla contabilizzazione della perdita in periodo di esercizio successivo a quello di apertura della procedura concorsuale, per difetto di rilevanza.

7. Manifestamente infondata si presenta, poi, la questione di legittimità costituzionale del T.U. n. 917 del 1986, art. 101, comma 5, rubricata dalla ricorrente al nono motivo e sollevata con riferimento agli artt. 2 e 53 Cost., venendo in rilievo una scelta discrezionale del legislatore, non irragionevole e non lesiva della capacità contributiva dei singoli, di individuare il momento temporale cui ancorare la deduzione della perdita.

8. Con il decimo motivo di ricorso la parte allega la lesione del suo affidamento e dei principi di overruling giurisprudenziale, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto indeducibile la perdita su credito perchè operata in un periodo di imposta diverso da quello coincidente con il momento di apertura della procedura, evidenziando l’esistenza di un univoco orientamento giurisprudenziale che non imponeva la deduzione della perdita in tale periodo.

9. Con l’ultimo motivo di ricorso lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione al mancato esame delle circostanze che dimostravano esistenza di un mutamento imprevedibile nella giurisprudenza.

9.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.

Si evidenzia, in proposito, che i principi in tema di prospective overruling presuppongono un mutamento imprevedibile della giurisprudenza su una regola del processo, che comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte e non anche, come nel caso in esame, su orientamenti interpretativi in ordine al contenuto di norme sostanziali (cfr. Cass., Sez. Un., 12 febbraio 2019, n. 4135).

10. Con l’unico motivo cui è affidato il ricorso incidentale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, per aver la sentenza impugnata annullato l’atto impositivo limitatamente alla sanzione irrogata per omessa autofatturazione.

Il motivo è ammissibile in quanto, diversamente da quanto eccepito dalla società contribuente, non implica una rivalutazione dei fatti di causa.

10.1. Nel merito, il motivo è fondato.

In tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale e, come tale, non è punibile ove non pregiudichi l’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento della stessa (cfr. Cass., ord., 23 gennaio 2019, n. 1830; Cass., ord., 30 ottobre 2018, n. 27598).

Qualora, come nel caso in esame, vengano in rilievo operazioni soggette ad IVA di cessione di beni e prestazioni di servizi rese, nel territorio dello Stato, da soggetti residenti all’estero privi di stabile organizzazione in Italia e di rappresentante fiscale ai fini IVA, in favore di soggetti residenti nello Stato, incombe sui cessionari o i committenti (che non siano consumatori finali) l’obbligo della cd. autofatturazione (o, ricorrendone i presupposti, della numerazione e dell’integrazione della fattura ricevuta dal fornitore estero senza l’indicazione dell’IVA) e della relativa annotazione sul libro delle fatture emesse, che vale come assunzione dell’obbligo di imposta da parte loro, neutralizzata dall’annotazione nel registro degli acquisti, cui corrisponde il diritto del cessionario alla detrazione del corrispondente importo.

Tali registrazioni assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda, con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione dell’IVA a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessioni successive (cfr Cass., ord., 19 maggio 2017, n. 12649; Cass. 23 ottobre 2013, n. 24022).

La Commissione regionale, nel ritenere che l’omessa autofatturazione dell’acquisto del marchio costituisse una condotta non sanzionabile in quanto “mera violazione formale” non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, omettendo di considerare che la violazione è idonea ad incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta sul reddito e sul versamento del relativo tributo e di valutare se il fatto è idoneo ad arrecare pregiudizio alle azioni di controllo.

11. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al ricorso incidentale accolto e rinviata alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, la quale, oltre a provvedere all’applicazione dei principi di diritto affermati in questa sentenza e all’accertamento di fatto demandato, nonchè alla liquidazione delle spese processuali, dovrà, eventualmente, verificare la sussistenza dei presupposti di applicazione del jus superveniens, invocato dalla contribuente, rappresentato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

12. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con riferimento al ricorso incidentale accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 131, comma 1-bis, se dovuto-

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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