Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1282 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 20/01/2011), n.1282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6593/2010 proposto da:

M.D.D. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 20, presso lo studio

dell’avvocato ROMANO GIORGIO, rappresentato e difeso dall’avvocato

GAROFALO Luciano, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA MERIDIANA SPA (OMISSIS) in persona del Presidente,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo

studio dell’avvocato PALLADINO Luciano che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DAVERIO FABRIZIO, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3246/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI del

6.10.09, depositata il 02/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO.

E’ presente il Procuratore Generale m persona del Dott. Umberto

APICE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del 21 dicembre 2010 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Con ricorso notificato il 4/5 marzo 2010, M.D.D. ha chiesto, con tre motivi, la cassazione della sentenza pubblicata il 2 dicembre 2009 e notificata il successivo 2 marzo 2010, con la quale la Corte d’appello di Bari aveva confermato la decisione di primo grado di rigetto delle sue domande, per quanto qui interessa, di dichiarazione dell’inefficacia e/o nullità del licenziamento intimato dalla Banca Meridiana s.p.a. …, previa, se del caso, declaratoria di inefficacia o annullamento dell’accettazione in un primo tempo operata dal ricorrente dell’esodo volontario proposto dalla Banca datrice di lavoro e comunque di annullamento del licenziamento per difetto di giusta causa o giustificato motivo.

In sostanza, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale:

a) incorrendo nel medesimo errore del giudice di primo grado, avrebbe respinto la sua domanda principale senza ammettere l’istruttoria richiesta;

b) avrebbe errato nell’affermare che l’appellante aveva rinunciato in appello alla censura di violenza morale che avrebbe viziato l’accettazione da lui inizialmente fatta della risoluzione del rapporto di lavoro; avrebbe altresì errato nel ritenere che tale accettazione non fosse revocabile, per di più attribuendo rilievo a fatti non significativi, come la sottoscrizione dell’assegno straordinario all’INPS e l’accettazione del t.f.r.;

c) per effetto degli errori di diritto e dei vizi di motivazione denunciati con le precedenti censure, la Corte d’appello avrebbe compiuto ulteriori violazioni di legge e svolto motivazioni carenti in ordine all’accertamento dei vizi del consenso denunciati dal lavoratore (violenza morale, dolo e errore essenziale).

Resiste alle domande la Banca Meridiana s.p.a. con rituale controricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dalla predetta legge.

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in Camera di consiglio per essere respinto.

I giudici di merito hanno accertato, sulla base degli atti, che il M. in data 27 aprile 2004, nel quadro di un accordo tra impresa e OO.SS. su di un programma finalizzato ad una crescita di efficienza e competitività dell’azienda, aveva sottoscritto e consegnato alla Banca, avendone i requisiti, una richiesta di adesione al Fondo di solidarietà di cui al D.M. 28 aprile 2000, n. 158, per i dipendenti dalle imprese del credito, contenente altresì la propria proposta irrevocabile di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro alla data del 30 giugno 2004.

Con lettera del 31 maggio 2004, ricevuta il 3 giugno successivo, la Banca aveva accettato la proposta del dipendente, che aveva cessato di fatto il rapporto di lavoro alla data del 30 giugno 2004, percependo dall’INPS l’assegno straordinario mensile previsto dal Fondo e dalla società le spettanze di fine rapporto, comprensive di un incentivo all’esodo, come convenuto nell’accordo sindacale.

Solo in data 5 ottobre 2004, il M. aveva comunicato alla Banca, a mezzo di legale, la propria volontà di agire in giudizio per impugnare la risoluzione del rapporto di lavoro con voi intercorso sino al 30.6.04 nonchè il conseguente licenziamento.

Sulla base di tali accertamenti, la Corte territoriale, con ampia e argomentata motivazione:

– ha escluso che il rapporto fosse cessato per licenziamento, avendo le parti raggiunto un accordo per la risoluzione consensuale incentivata del rapporto di lavoro (essendo poi indifferente da chi fosse partita la proposta iniziale, se dal ricorrente come risultava dagli atti, o prima ancora dalla banca, come sostenuto dal lavoratore, dato che in ambedue i casi il contratto si era comunque concluso a norma dell’art. 1326 cod. civ.);

– ha rilevato che la deduzione di annullabilità del contratto per violenza morale era stata abbandonata;

– ha accertato che la deduzione relativa al vizio di dolo era stata formulata dal M. in maniera generica e pertanto inconcludente, rendendo pertanto inutile anche l’assunzione della prova testimoniale al riguardo dedotta, comunque in maniera inadeguata a sostenere l’assunto;

– ha affermato che andava escluso anche l’errore del dipendente, che era stato tempestivamente e adeguatamente informato dei termini dell’accordo per un esodo incentivato del personale (con intervento del Fondo suddetto), ipotizzato in sede sindacale.

A fronte delle argomentazioni della sentenza, ora sinteticamente riassunte, il ricorrente si limita in questa sede per lo più a ribadire le difese già svolte in sede di appello – e alle quali la Corte ha dato una dettagliata corretta risposta -, qualificando le proprie censure come attinenti anche e soprattutto a violazioni di legge che i giudici di merito avrebbero commesso, mentre si tratta sostanzialmente di censure alla motivazione della sentenza, quasi sempre svolte in maniera generica o non concludente e spesso richiamando precedenti atti del processo senza riprodurne il contenuto (in maniera pertanto inammissibile, per violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione, su cui cfr., tra le altre, recentemente Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09).

Con esse il ricorrente pretende sostanzialmente di sovrapporre proprie valutazioni – tra l’altro argomentate in astratto e con il richiamo di principi affermati dalla giurisprudenziali questa Corte, ma senza narrare fatti cui applicare quei principi (anche quando, sempre genericamente, contesta di avere abbandonato in appello la censura legata alla pretesa violenza morale, tra l’altro senza riprodurre le frasi che nell’atto di appello avrebbero ribadito la deduzione in esame, ancora una volta in violazione della regola della autosufficienza, su cui cfr. altresì Cass. n. 6294/08) – a quelle riservate al giudice di merito, senza circostanziare in maniera specifica le denunce di vizi nello sviluppo logico della motivazione della sentenza, così sostanzialmente chiedendo a questa Corte di legittimità un giudizio di merito di terza istanza, che non appare consentito dal nostro Ordinamento processuale”.

E’ seguita le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Con essa, premesso che l’ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., n. 5, deve essere interpretata come eccezionale, in quanto riduttiva del diritto di difesa, stante l’adozione di un procedimento diverso da quello ordinario, il ricorrente contrasta il rilievo della relazione secondo cui, in alcune parti, il ricorso sarebbe generico e non “autosufficiente”, col richiamo alla parte iniziale del ricorso per cassazione che riprodurrebbe sostanzialmente il contenuto del ricorso ex art. 414 c.p.c., così consentendo di riferire in maniera specifica ad esso il contenuto delle singole censure.

Inoltre, il ricorrente ribadisce di avere svolto anche censure di violazione di legge, laddove col primo motivo aveva lamentato la violazione del proprio diritto di difesa derivante dal non avergli consentito di provare i fatti costitutivi dei diritti azionati e con il secondo le violazioni di legge ivi riprodotte in rubrica.

Quanto al terzo motivo, il ricorrente ricorda di avere, tra l’altro, censu-rato la sentenza impugnata in quanto la Corte territoriale avrebbe frainteso il significato della sua domanda. Dalla lettura del ricorso ex art. 414 c.p.c., risulterebbe chiara, infatti, la tesi del ricorrente, nei seguenti termini: “vi è stato un licenziamento di fatto poichè la banca resistente non ha desistito dal ritenere cessato il rapporto di lavoro nonostante i vizi del consenso denunziati avverso l’originario consenso manifestato dal ricorrente e, comunque, nonostante l’avvenuta revoca di tale consenso”. Da ciò il ricorrente desume che la domanda di accertamento di nullità e/o inefficacia del consenso originariamente prestato avesse natura incidentale ma non subordinata come viceversa avrebbe ritenuto la Corte territoriale, la quale peraltro in altra parte della sentenza l’avrebbe qualificata come incidentale.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione. Relativamente a quanto esposto nella memoria difensiva del ricorrente, il collegio rileva:

– premesso che il procedimento in camera di consiglio previsto per il caso di manifesta infondatezza del ricorso per cassazione non appare riduttivo in ordine alle garanzie del contraddittorio, volta che si svolge con la partecipazione delle parti, dopo che hanno svolto le loro difese iniziali e con la ulteriore possibilità per le stesse di sviluppare le proprie osservazioni anche in ordine alla ipotesi di soluzione della controversia prospettata dal relatore designato, il ricorrente non spiega comunque la concreta incidenza che una eventuale interpretazione non restrittiva della nozione di “manifesta infondatezza” avrebbe avuto nel caso in esame;

– costituiscono esempi della inosservanza della regola di autosufficienza del ricorso per cassazione, da parte del ricorrente, la mancata riproduzione della parte dell’atto di appello in cui, in contrasto con quanto accertato dalla sentenza impugnata, l’appellante avrebbe ribadito la propria censura di annullabilità del proprio consenso per violenza morale, oppure la mancata specificazione dell’errore in cui sarebbe caduto (o al quale sarebbe stato indotto) il ricorrente relativamente all’ammontare dell’incentivo all’esodo e anche laddove l’atto non indica quale passaggio del ricorso ex art. 414 c.p.c., riprodotto consentirebbe di specificare le censure svolte, in particolare col primo motivo;

– la Corte territoriale ha poi indicato le ragioni per cui sulla proposta irrevocabile di risoluzione del rapporto formulata dal ricorrente non potesse incidere una eventuale successiva revoca (essendo indifferente rispetto a tale giudizio la deduzione del ricorrente secondo cui tale sua proposta sarebbe stata viceversa una accettazione, che come tale è unilateralmente irrevocabile una volta ricevuta dal destinatario, come avvenuto nel caso di specie in data 27 a-prile 2004), accertando infine che tale risoluzione era immune dai vizi denunciati, con le argomentazioni indicate dalla relazione.

Deriva da ciò a) la correttezza della valutazione di irrilevanza della prova testimoniale e dell’interrogatorio formale dedotti sul punto della avvenuta revoca del consenso (e quindi l’infondatezza della censura di violazione del diritto di difesa, se questa era riferita a tale punto); b) l’impossibilità di rimettere in discussione l’accertata rinuncia in sede di appello alla richiesta di annullamento della risoluzione consensuale per violenza; c) la incensurabilità, per le ragioni indicate nella relazione, dell’accertamento della Corte territoriale in ordine alla inesistenza dei vizi dell’errore e del dolo; d) la conseguente inesistenza di un licenziamento; e) la non pertinenza delle osservazioni svolte nella memoria col richiamo al terzo motivo di ricorso, dato che la Corte ha comunque esaminato sia il tema della revoca che quello dei vizi con riguardo alla risoluzione consensuale nei termini sopra specificati, traendone le logiche conseguenze.

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso è manifestamente infondato e va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, come operato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla banca le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 3.000,00, oltre 12,50%, I.V.A. e C.P.A., detratta la R.A., per onorari.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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