Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12816 del 21/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 21/06/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 21/06/2016), n.12816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12441/2013 proposto da:

D.L.M., (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso l’avvocato

ANDREA MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MICHELE OMETTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G., S.B., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 278, presso l’avvocato MARCO

FERRARO, rappresentati e difesi dall’avvocato ROBERTO RISCICA,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

T.A., GE.CO. & IMM. S.A.S., TO.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 695/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato E. COGLITORE, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato R. RISCICA che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Geco & Imm. S.a.s. ed i soci T.A., F. G., To.Gi. e S.B. proponevano opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da D.L.M., per il pagamento di Euro 129.114,92, quale restituzione della somma consegnata dal D.L. al To. (socio accomandatario della Geco & Imm. S.a.s.), a titolo di apporto all’associazione in partecipazione con detta società, avente ad oggetto la ristrutturazione di immobili acquistati dall’associante, in vista della vendita degli stessi, e la cui attività si era conclusa a seguito dell’alienazione del compendio immobiliare.

Il Tribunale, con la sentenza 1637 del 2005, revocava il decreto ingiuntivo; la Corte d’appello, con sentenza del 9/1-26/3/2012, ha respinto l’appello del D.L..

Secondo la Corte del merito, correttamente il Tribunale aveva affermato che lo scioglimento del rapporto associativo non determina automaticamente il diritto alla restituzione della somma versata a titolo di apporto, dovendosi procedere necessariamente al computo degli utili e delle perdite, potendo l’associante solo vantare il diritto alla quota spettante dalla rendicontazione; che è solo l’associante che fa propri gli utili, e l’associato quale partecipante al rischio d’impresa ha diritto ex art. 2553 c.c., al rendiconto da cui possono risultare utili e perdite, ma non alla restituzione del suo apporto prima che siano definiti i rapporti attivi e passivi dell’associazione,e, nel caso si tratti di associazione ad un affare, l’utile va accertato non sul bilancio della società ma dell’affare e quindi con riferimento al valore dell’edificazione o ristrutturazione al netto delle spese e degli apporti.

Nè era possibile procedere alla liquidazione mancando, in assenza di rendicontazione, gli elementi attivi e passivi, nè rilevava l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della Geco &

Imm. S.a.s., da cui il venir meno della capacità e legittimazione sostanziale e processuale, con la contestuale estinzione della società desumibile dal novellato art. 2495 c.c., da ciò conseguendo che un’eventuale condanna della società sarebbe stata tamquam non esset, mentre sarebbero stati i singoli soci a rispondere dei rapporti giuridici facenti capo alla società.

Ricorre avverso detta pronuncia il D.L., sulla base di cinque motivi.

Si difendono con controricorso F.G. e S. B..

Gli altri intimati non hanno svolto difese.

Il ricorrente ed i controricorrenti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Col primo motivo, il ricorrente denuncia il vizio di motivazione, non avendo la Corte d’appello chiarito quali fossero i rapporti attivi e passivi non definiti, tenuto conto della definizione, con esiti irrilevanti ai fini della domanda, della causa M. (causa attiva promossa dall’associante per vizi dell’immobile oggetto dell’affare di cui all’associazione in partecipazione, dopo la conclusione dell’affare oggetto dell’associazione in partecipazione e dopo lo scioglimento senza liquidazione dell’associante, disposto con decorrenza dal 31/12/2002 con la scrittura privata autenticata nelle firme dal notaio Romano, rep. n. 205433 del 16/12/02), e sostiene che l’avvenuto scioglimento della Geco con riparto di attività e passività in capo ai soci escludeva l’esistenza di rapporti attivi e passivi facenti capo all’associazione in partecipazione.

1.2.- Col secondo, si duole del vizio di insufficiente motivazione in relazione alla rendicontazione, che invece era stata resa (doc. 3 del ricorso), richiamata nel ricorso per decreto ingiuntivo, nella comparsa di costituzione e risposta di 1^ grado, nell’atto d’appello, e sulla cui base erano stati liquidati gli utili all’associato nella misura indicata dall’associante di Euro 70.189,00.

1.3.- Col terzo, della violazione degli artt. 2549 e 2552 c.c., per avere la Corte del merito ritenuto il diritto alla restituzione condizionato alla definizione di tutti i rapporti, mentre lo è solo al rilievo certo che non siano negativi i risultati dell’affare; e riconoscere che tale diritto sia condizionato all’approvazione del rendiconto vorrebbe dire consentire all’associante di dilazionarlo.

1.4.- Col quarto, della violazione dell’art. 2551 c.c., per non avere la Corte del merito ritenuto la non incidenza della causa M., che atteneva al rapporto esclusivo della società Geco o meglio, dei suoi soci con il terzo.

1.5.- Col quinto, del vizio di motivazione; la Geco non è stata cancellata dal registro delle imprese, ma solo sciolta senza liquidazione, e la scelta di omettere la fase della liquidazione determina l’inapplicabilità dell’art. 2334 c.c. e la pari responsabilità di tutti i soci nei confronti dei creditori sociali.

2.1.- In limine, i controricorrenti eccepiscono la nullità della notifica effettuata al To.Gi. presso il domicilio eletto, quando questi era già deceduto il 20/4/2012 (dopo il deposito della sentenza di Corte d’appello e prima della notifica)e non collettivamente ed impersonalmente presso gli eredi, da cui il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

L’eccezione è infondata, stante il principio espresso dalle S.U. nella sentenza 15295/2014, secondo cui, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonchè in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione; e tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4.

Tutti i motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente collegati.

Come affermato nella pronuncia 13968/2011 (e in senso conforme, la precedente 6757/01), il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto da quest’ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, nè la comunanza dell’affare o dell’impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell’associante: ne deriva che soltanto l’associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato, il quale può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili e all’apporto; a seconda dell’esito positivo o negativo dei risultati, l’associato diventa creditore dell’associante quanto alla restituzione dell’apporto o non può ripetere dall’associante l’apporto conferito.

E dal momento in cui l’affare è concluso, con lo svolgimento delle attività liquidatorie che normalmente si accompagnano alla conclusione dell’associazione in partecipazione, diventa esigibile il diritto alla restituzione dell’apporto, sempre che siano derivati utili (diversamente, secondo la previsione di cui all’ultima parte dell’art. 2553 c.c., l’associato partecipa alle perdite, entro il valore del proprio apporto).

Ciò posto, si deve rilevare che nella specie è incontestato che l’affare fosse concluso, e che avesse avuto esito positivo, tant’è che al D.L. erano stati riconosciuti e corrisposti utili.

La Corte del merito ha negato il diritto fatto valere ritenendo che dovessero essere “definiti i rapporti attivi e passivi facenti capo all’associazione in partecipazione” e rilevando la mancata rendicontazione da parte dell’associante.

Detta argomentazione non può essere condivisa: ed infatti, con la conclusione della vendita degli immobili si era concluso l’affare oggetto dell’associazione in partecipazione, da cui la cessazione del contratto, per cui le successive vicende non potevano spiegare effetti(le parti fanno riferimento alla causa M., tra l’altro pacificamente conclusa con sentenza passata in giudicato), ed il diritto alla restituzione dell’apporto, in presenza di utili, non poteva essere precluso dalla mancanza di rendicontazione, mancanza tra l’altro in evidente contraddizione con il riconoscimento ed il pagamento degli utili al D.L..

E, secondo i principi sopra richiamati, l’obbligo di restituzione dell’apporto è da ritenersi condizionato solo alla verifica dell’esito positivo dell’affare e non già all’approvazione del rendiconto da parte dell’associato, o, come ritenuto nel caso dalla Corte d’appello, alla presentazione del rendiconto (è di chiara evidenza che, in tal modo, si lascerebbe nella discrezionalità dell’associante procrastinare il sorgere del diritto in capo all’associato).

Peraltro, ove non fosse provata la positiva conclusione dell’affare, l’associato potrebbe in ogni caso azionare in via incidentale il procedimento di rendiconto; ed infatti, come affermato nella pronuncia 17283/2010, il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 c.p.c. e segg., è fondato sul presupposto dell’esistenza dell’obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all’altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nella altrui e nella propria, e, come tale, si ricollega all’esistenza di un rapporto di natura sostanziale e si instaura a seguito di domanda di rendiconto proposta in via principale od incidentale, sviluppandosi, quindi, come un giudizio di cognizione di merito, sia pure speciale, il cui atto terminale – in caso di accettazione del conto – è un’ordinanza non impugnabile del giudice istruttore, mentre – in caso contrario – è una sentenza (se del caso parziale quando trattasi di procedimento promosso in via incidentale) avente attitudine ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente l’obbligo di rendiconto (e ciò, o in via esclusiva, o in via strumentale, rispetto ad altra situazione costituente il diritto principale cui si ricollega l’obbligo di rendiconto).

Sono infine errate le valutazioni della Corte del merito in relazione alla perdita della legittimazione sostanziale e processuale della società Geco, atteso che è pacifico in causa che detta società non è stata cancellata dal registro delle imprese, ma soltanto sciolta senza liquidazione, di talchè è inapplicabile il richiamo all’art. 2495 c.c., novellato.

3.1.- Conclusivamente, accolto il ricorso, va cassata la sentenza impugnata, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che si atterrà a quanto sopra rilevato, e che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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