Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12810 del 22/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/05/2017, (ud. 24/01/2017, dep.22/05/2017),  n. 12810

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21780/2014 proposto da:

M.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA PAOLO EMILIO 34, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

PORRU, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MARINA DI CALA GALERA CIRCOLO NAUTICO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CAMOZZI 1, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO CUCCI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO CALO’,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 204/2013 del TRIBUNALE di GROSSETO, depositata

il 18/12/2013 R.G.N. 936/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO PORRU;

udito l’Avvocato RICCARDO RAMPIONI per delega Avvocato MARCO CALO’.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Grosseto rigettava il ricorso proposto da M.E., operaio specializzato provetto sommozzatore, nei confronti della ex datrice di lavoro Marina Cala Galera Circolo Nautico s.p.a., diretto ad impugnare il licenziamento disciplinare intimatogli il 3.8.2010 per avere svolto, all’interno dell’area portuale presso cui operava la datrice di lavoro, attività di soccorso con immersioni in favore di imbarcazioni non clienti della società.

Avverso tale sentenza proponeva appello il M.; resisteva la società.

Con ordinanza del 10.7.14, la Corte d’appello di Firenze dichiarava inammissibile l’appello ex art. 348 bis c.p.c., ritenendolo prima facie infondato.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il M., affidato a cinque motivi.

Resiste la società con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, lamentando altresì la carenza probatoria circa i fatti contestatigli.

Lamenta in particolare l’erronea valutazione delle testimonianze escusse a tal fine in corso di causa, ed in particolare degli investigatori privati, diretti non ad accertare illeciti, ma meri inadempimenti contrattuali.

Il motivo presenta ampi profili di inammissibilità in quanto diretto a censurare apprezzamenti del materiale istruttorio da parte del giudice di merito, peraltro nel regime di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito, anche quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11, etc.) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis applicabile nella fattispecie. L’inammissibilità deriva altresì dal disposto di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 4.

Il motivo è per il resto infondato, basandosi su di un presupposto erroneo, e cioè che il controllo circa l’attività lavorativa svolta, fuori dell’orario di lavoro, dal M. per società concorrenti, riguardi un controllo sull’attività lavorativa dovuta e non già, come evidenziato dalla sentenza impugnata, su di un comportamento illegittimo extralavorativo e rilevante ai fini disciplinari.

In sostanza se è precluso al datore di lavoro controllare o far controllare l’esecuzione della prestazione lavorativa, il controllo è invece giustificato non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. sez. lav. n. 3590/11, Cass. n. 848/15).

Deve peraltro rimarcarsi che, come notato dalla sentenza impugnata, questa Corte ha espressamente stabilito che le disposizioni della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 5, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza, confermando così la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimi gli accertamenti demandati, dal datore di lavoro, a un’agenzia investigativa, e aventi a oggetto comportamenti extralavorativi, che pure assumevano rilievo disciplinare sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro (Cass. n. 25162/14).

Deve in sostanza concludersi che il controllo, demandato dal datore di lavoro ad un’agenzia investigativa, non può ritenersi illegittimo ove non riguardi l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuato al di fuori dell’orario di lavoro, ma un comportamento disciplinarmente rilevante del lavoratore, sicchè esso non può ritenersi precluso ai sensi degli artt. 2 e 3 dello statuto dei lavoratori (cfr. Cass. 4.3.2014 n. 4984).

L’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in favore di società concorrenti non può certamente ritenersi sottratta al controllo, vietato dalle norme ora citate, dell’attività lavorativa, neppure a volerla qualificare (anche) come inadempimento degli obblighi contrattuali, consistendo indubbiamente in un’attività illegittima, svolta al di fuori dell’orario di lavoro e fonte di danni per il datore di lavoro.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, art. 2119 c.c., artt. 112, 113 e 115 c.p.c., con riferimento alla errata indicazione del giorno dell’addebito (14.7 anzichè 12.7.2010). Lamenta che pur avendo la società fornito la prova dell’attività svolta in divieto di concorrenza il 12.7.10, nulla aveva provato in ordine a quella svolta nel giorno contestato (14.7.10).

Il motivo è infondato avendo i giudici di merito accertato, giusta del resto la rettifica dell’errore già fornita dalla società, essersi trattato di mero errore di battitura, per nulla incidente sulla specificità della contestazione essendo sostanzialmente pacifico che il 14.7.10 (a differenza del 12.7) il lavoratore non svolse immersioni, non incidendo così sulla identificazione del fatto contestato. In ogni caso,nell’ambito delle plurime contestazioni mosse, la circostanza non è risultata assumere rilievo decisivo ai fini della comprensione dell’attività illegittima contestata, ed adeguatamente accertata dal giudice di merito.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, sulla protezione dei dati personali, e della Delib. n. 60 del 2008 del Garante della Privacy, lamentando che l’incarico attribuito dalla società datrice di lavoro non rispettava le indicazioni ivi contenute.

Il motivo presenta ampi profili di inammissibilità per difetto di autosufficienza, non essendo riportato per intero il contratto con l’agenzia investigativa (nè essendo questo stato prodotto, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4); per il resto è infondato in quanto, come ammette la stessa società ricorrente, l’incarico non difettava, per quanto evincibile dagli scarni suoi brani riportati, dell’indicazione dei diritti che si intendevano esercitare in sede giudiziaria (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 26), consistendo essi, all’evidenza, negli illegittimi comportamenti di un dipendente, foriero di provvedimenti disciplinari e del connesso contenzioso; non riguardavano dati sensibili o inerenti la vita privata del lavoratore (su cui cfr. Cass. n. 19922/16), sicchè l’attività investigativa, come detto, risulta ampiamente legittima in base alle disposizioni di legge inerenti il rapporto di lavoro subordinato.

4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119 e 1455 c.c., lamentando la sproporzione della massima sanzione in relazione ai fatti contestati.

Il motivo è in sostanza inammissibile, riguardando l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati, rimessi all’apprezzamento del giudice di merito, anche quanto alla proporzionalità della sanzione (cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06), inerendo così ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis applicabile nella fattispecie.

La sentenza impugnata ha adeguatamente esaminato il fatto, evidenziando l’idoneità dei comportamenti (immersioni non autorizzate, in violazione dell’obbligo di fedeltà, ed in contrasto con le norme sanitarie quanto all’uso delle bombole; servizi forniti a titolo oneroso dalla società datrice di lavoro ed invece eseguiti per proprio conto dal M., oltre ai precedenti disciplinari specifici dell’odierno ricorrente).

5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, esponendo di aver sin dall’inizio lamentato la mancata indicazione dei nominativi delle imbarcazioni sulle quali, secondo la contestazione, avrebbe effettuato illecitamente attività lavorativa.

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. Innanzitutto per aver denunciato una norma (riguardante la comunicazione dei motivi di licenziamento a seguito della richiesta del lavoratore) del tutto estranea alla doglianza proposta. In secondo luogo, anche a voler ritenere la censura diretta a lamentare la mancanza di specificità della contestazione, in quanto diretta a censurare un apprezzamento di fatto del giudice di merito circa l’idoneità di quest’ultima a far comprendere al lavoratore le mancanze addebitate.

6.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017

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