Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12809 del 22/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 22/05/2017, (ud. 24/01/2017, dep.22/05/2017),  n. 12809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5789/2015 proposto da:

INDAL S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FILIPPO MARZI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati NICLA PICCHI,

PASQUALE ANGELINI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA

BITTI, rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO TOMASELLI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 322/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 04/09/2014 R.G.N. 163/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO FILIPPO MARZI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18 ottobre 2013, il Tribunale di Brescia, in parziale accoglimento del ricorso proposto da L.M., dichiarava l’illegittimità delle sanzioni della multa di un’ora irrogata il 19 settembre 2011 e delle sospensioni di 2 giorni irrogate il 16, il 22 ed 24 novembre 2011, irrogatele dalla datrice di lavoro Indal s.r.l., condannando quest’ultima alla restituzione di quanto trattenuto alla lavoratrice in virtù dei suddetti provvedimenti disciplinari; dichiarava altresì l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato alla L. in data 2 dicembre 2011 e, per l’effetto, la sua reintegra nel posto di lavoro, condannando la società datrice di lavoro al risarcimento del danno, quantificato in tutte le retribuzioni globali di fatto dal licenziamento alla reintegrazione; respingeva invece l’impugnativa della sanzione irrogata alla lavoratrice in data 8 novembre 2011, ritenendola fondata.

Avverso tale sentenza la Indal ha proposto appello, osservando che la sanzione di 2 giorni di sospensione irrogata alla dipendente in data 16 novembre 2011, per aver utilizzato il cellulare per motivi personali durante l’orario di lavoro, doveva ritenersi legittima, essendo volta a punire un fatto grave, tenuto conto anche dei recenti precedenti disciplinari della lavoratrice dell’11 e del 27 ottobre 2011. Ha dedotto che anche la sanzione di 2 gg. di sospensione irrogata alla L. il 22 novembre 2011, per essersi presentata in ritardo e per non aver timbrato il cartellino marcatempo, doveva ritenersi legittima, posto che essendo pacifico che la dipendente non aveva timbrato il cartellino, era onere della stessa fornire la prova dell’ora di inizio della prestazione lavorativa.

Ed ancora, ha sostenuto la legittimità della sanzione di altri 2 gg. di sospensione irrogata alla L. il 24 novembre 2011, per un ritardo di 4 minuti, atteso che la dipendente aveva ammesso il fatto e che, in ogni caso, lo stesso era riscontrato dalle emergenze di causa, e che la condotta della dipendente, alla luce dei precedenti disciplinari dalla stessa collezionati, doveva reputarsi grave. La società ha pure dedotto la legittimità del licenziamento per la recidiva in precedenti mancanze punite con la sospensione nei 12 mesi antecedenti, e per il notevole inadempimento contrattuale consistito nell’omessa lettura dei dati della pompa di gasolio.

Infine ha criticato la decisione appellata laddove non si era pronunciata sull’istanza di conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo e neppure sull’eccezione di aliunde perceptum e percipiendum.

Resisteva la L..

Con sentenza depositata il 4.9.2014, la Corte d’appello di Brescia accoglieva solo parzialmente il gravame, disponendo la detrazione dell’aliunde perceptum dalle somme dovute alla lavoratrice a titolo risarcitorio.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società INDAL, affidato a due motivi. Resiste la L. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 2697, 2094, 2104, 2106 e 2118 c.c..

Si duole in sostanza che la sentenza impugnata non valutò adeguatamente che la mancata timbratura del badge in data 15.11.11 forniva una prova, quanto meno presuntiva, del ritardo contestato alla lavoratrice e sanzionata con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per due giorni.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 70 del c.c.n.l. industrie alimentari ed alla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Si duole che la sentenza impugnata considerò erroneamente che, essendo residuate, all’esito dell’annullamento delle altre, solo le sanzioni della multa del 17 ottobre e la sospensione di due giorni dell’8 novembre 2011, non ricorreva l’ipotesi di licenziamento prevista dall’art. 70 del citato c.c.n.l. (recidiva in qualsiasi mancanza che abbia dato luogo a due sospensioni nei dodici mesi precedenti), lamentando che, considerata anche la sospensione di cui alla prima censura, il licenziamento risultava assolutamente legittimo.

3.- I due motivi, evidentemente connessi, debbono trattarsi congiuntamente e sono inammissibili, in quanto diretti a censurare apprezzamenti di fatto svolti dal giudice di merito, in particolare circa l’effettiva sussistenza di un ritardo nell’ingresso al lavoro della L. il giorno 15.11.11.

Deve infatti rammentarsi che il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881). Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa.

La sentenza impugnata ha infatti accertato, alla luce delle risultanze istruttorie, che almeno due dei fatti contestati che diedero luogo alle sospensioni, per il loro concreto atteggiarsi, non risultavano così gravi da meritare la massima sanzione conservativa, venendo così meno il presupposto di legittimità dell’intimato licenziamento alla luce dell’art. 70 del c.c.n.l.

4.- Il ricorso deve dunque dichiararsi inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017

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