Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12808 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/06/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1338/13 R.G., proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

Friulana Flange s.r.l., in persona del legale rapp.te. p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Salvatore Capomacchia e Cesare

Persichelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo

in Roma, Via Crescenzio n. 20, giusto mandato in atti.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/01/11 della Commissione tributaria

regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata in data 16.11.2011,

non notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella

camera di consiglio del 30 gennaio 2020.

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate notificò alla società Friulana Flange s.r.l. avviso di accertamento, con il quale, in relazione all’anno d’imposta 2006, recuperò Iva, Irap e ritenute Irpef. L’avviso era scaturito da una verifica della guardia di finanza e dal conseguente p.v.c. con il quale l’Ufficio aveva riqualificato determinati contratti di appalto di servizi (stipulati tra la società Friulana Flange s.r.l. e differenti soggetti economici) in un’illegittima intermediazione delle prestazioni di lavoro. Secondo la prospettazione dell’Agenzia delle entrate, i lavoratori, illecitamente forniti alla Friulana Flange s.r.l. con fittizi contratti di appalto dalle ditte esterne, dovevano essere considerati quali dipendenti della società Friulana Flange ai fini dell’assolvimento degli obblighi di contribuzione e di ritenuta sia ai fini della indeducibilità dei costi fatturati e dell’indetraibilità dell’Iva. Di conseguenza, veniva recuperata sia l’Iva indebitamente detratta sia la maggiore Irap dovuta, derivante dall’esclusione della deduzione (come componenti negativi) per le spese da lavoro dipendente.

La società Friulana Flange s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento ed il ricorso veniva accolto parzialmente in prime cure con l’annullamento parziale dell’avviso quanto all’Irpef e all’Irap; in particolare, la Commissione tributaria provinciale di Udine respinse il ricorso con riferimento all’iva.

La Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia respingeva il successivo appello proposto dall’Agenzia delle entrate nonchè quello incidentale della società contribuente, condividendo la qualificazione operata dal giudice di primo grado dei rapporti intercorsi, circa la qualificazione degli stessi come contratti di appalto; inoltre, riteneva che la società Friulana Flange s.r.l. non poteva rispondere delle ritenute d’acconto, poichè non era stata essa a corrispondere le retribuzioni ai lavoratori invece corrisposte dalle ditte appaltatrici che avevano di conseguenza versato le ritenute di acconto.

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza della commissione regionale, che affida a cinque motivi, cui la società replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, e del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, artt. 4,18,20,27,29 e 3020, là dove il giudice d’appello ha statuito che la norma sull’interposizione illecita di cui alla L. n. 1369 del 1960, sarebbe stata sostanzialmente soppressa ad opera del successivo decreto legislativo (cd. legge Biagi), ignorando che la L. n. 1369 del 1960, art. 1, è rimasto formalmente in vigore fino al 23 ottobre 2003, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 85, e là dove non ha considerato che, anche con le successive disposizioni, v’è il divieto dell’interposizione illecita di manodopera.

1.1. La ricorrente ha ragione di dolersi avendo il giudice di appello erroneamente sussunto la fattispecie concreta, così come ricostruita in fatto, in quella astratta del contratto di appalto di servizi (L. n. 276 del 2003, art. 29), e ciò sul presupposto, anch’esso erroneo, che la presunzione contenuta nella L. n. 1369 del 1960, art. 1, fosse stata abrogata dal D.Lgs. n. 276 del 2003.

1.2. Ed infatti, la Commissione regionale, condividendo le argomentazioni del primo giudice, ha ritenuto che le nuove disposizioni legislative avrebbero nella sostanza mutato la nozione del contratto di appalto che – in base alle successive disposizioni può essere qualificato “non genuino” solo laddove l’impiego della forza lavoro sia prevalente rispetto all’impiego dei mezzi di produzione ed organizzazione dell’impresa, essendo, per converso, elemento inidoneo per valutare la presenza di un potere direttivo tipico del rapporto di dipendenza, la soggezione dell’appaltatore alle direttive ed ai controlli del committente (v. sentenza pag. 2 della motivazione). Su tali premesse la Commissione ha, dunque, escluso che i lavoratori esterni alla Friulana Flange s.r.l., presenti in azienda, potessero considerarsi dipendenti della stessa ed ha affermato, al contrario, l’esistenza di regolari contratti di appalto per l’esecuzione di specifici lavori tra la Friulana Flange s.r.l. e le ditte esterne che, quali imprese appaltate, avrebbero avuto gli oneri – anche fiscali – conseguenti al rapporto di lavoro.

2. Il D.Lgs. n. 276 del 2003, non ha affatto eliminato l’ipotesi di somministrazione irregolare di manodopera, già vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, ma ha confermato tale ipotesi in armonia con i principi costituzionali a garanzia del rapporto di lavoro subordinato.

2.1. Tentando una ricostruzione, seppur sintetica, attraverso la giurisprudenza di questa Corte, del quadro normativo in materia, già prima della recente sentenza delle Sezioni Unite n. 2990 del 2018 – che, come appresso si dirà, ha preferito la ricostruzione, maggioritaria, per cui la regola generale del divieto di interposizione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, non è venuta meno pur con la formale abrogazione dell’articolo citato – si è chiarito che la L. cit., art. 1, secondo cui i lavoratori sono considerati alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni, comporta che solo sull’appaltante (interponente), gravano tutti gli obblighi, anche fiscali, scaturenti dal rapporto di lavoro (ex plurimis, cfr. Sez. 5, sentenza n. 22020 del 17/10/2014, Rv. 632765-01; ord. 05/10/2018, n. 24457; 02/08/2017, n. 19206; 26/07/2017, n. 18476), il che non può che riverberarsi in tema di Iva (perchè non è configurabile operazione resa a committente avente a oggetto le prestazioni lavorative dei propri dipendenti) e di Irap (per nullità del titolo giuridico dal quale scaturiscono i costi dedotti dal relativo imponibile).

2.2. Per il periodo successivo all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, questa Corte ha confermato la vigenza del divieto d’intermediazione di manodopera (sub specie di somministrazione irregolare) e ciò ha affermato richiamando i principi costituzionali a garanzia del lavoro subordinato (cfr. Cass., Sez. U., 26/10/2006, n. 22910, che si riferisce, in motivazione, appunto alla disciplina introdotta nel 2003). E’ stato soggiunto che (cfr. Cass. 28/07/ 2017 n. 18808; che richiama Cass. 26/10/2018, n. 27213; adde Cass. 15/02/2013, n. 3795 e, quanto alla giurisprudenza penale, Cass. 02/07/2015, n. 27866, Cardaci) il mantenimento del divieto d’intermediazione risponde anche agli inderogabili criteri fissati dalla L. delega 14 febbraio 2003, n. 30, che hanno delegato il parlamento ad emanare il decreto legislativo confermando il regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro e prevedendo, altresì, specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonchè un regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile.

2.3. Gli esiti della giurisprudenza di questa Corte successivi alla cd. legge Biagi, convergono tutti nell’affermare che il contratto di somministrazione di manodopera illecita, seppure sotto la veste (apparente) di contratto di appalto, continua, pur dopo l’intervento legislativo del 2003, ad essere viziato di nullità con i conseguenti effetti sul rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore (sui quali, cfr. Sez. U. 07/02/2018, n. 2990) e, quindi, sui debiti fiscali ai fini Irap ed Iva, per i quali è ritenuto irrilevante la richiesta del lavoratore, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., di costituire il rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione (in termini, Cass., Ordinanza 28/07/2017, n. 18808 e Sez. 5, Sentenza n. 31720 del 07/12/2018, Rv. 651778-01; conf., ordd. 17/01/2018, n. 938; 27/07/2018, n. 19966 e 12/11/2018, n. 28953).

2.4. Come sopra anticipato, il mantenimento del divieto è stato da ultimo confermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., Sentenza n. 2990 del 07/02/2018, Rv. 647561-01), che, seppur con specifico riguardo agli effetti conseguenti sul rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore, hanno dato seguito alla ricostruzione su richiamata, sulla premessa che la regola generale del divieto di interposizione di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, non è venuta meno pur con la formale abrogazione dell’articolo citato proprio in quanto regola funzionale al sistema costituzionale ed ai principi fondamentali in materia di rapporto di lavoro subordinato di cui agli artt. 3,36 e 41 Cost.. In particolare, il mantenimento del divieto è stato ritenuto sulla base di due fondamentali argomenti e cioè, da un lato, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1453 c.c., sui contratti a prestazioni corrispettive, e dall’altro, del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, sulla disciplina del rapporto di lavoro nell’appalto. La Corte ha evidenziato che nella qualificazione del rapporto in concreto intervenuto tra le parti, è necessario “superare gli stretti confini della ritenuta corrispondenza tra la continuità della prestazione e la debenza della relativa obbligazione retributiva”, giungendo ad affermare che la mancata cooperazione datoriale realizza un’impossibilità definitiva della prestazione, di fronte alla quale l’unica tutela effettiva per il lavoratore è costituita dalla corresponsione delle retribuzioni, il cui peso economico dovrà essere sopportato dal soggetto riconosciuto come reale datore. La sentenza delle sezioni unite non manca di utilizzare argomenti di carattere analogico, riguardanti la decisione della Corte Cost. n. 303 del 2011, resa con riguardo all’indennità onnicomprensiva per i casi di conversione del rapporto a seguito di dichiarazione d’illegittimità del termine apposto. In questa fattispecie, osserva la Corte, la forfettizzazione risarcitoria realizzata con l’indennità è relativa solo al periodo precedente alla dichiarazione giudiziale con cui il rapporto è trasformato, restando obbligato il datore per tutte le retribuzioni successive a quel momento, a prescindere dalla riammissione o meno in servizio.

3. Alla luce dei principi appena richiamati, appare evidente l’errore di ricognizione normativa compiuto nella sentenza impugnata, nella parte in cui, dando per assodato l’effetto abrogativo delle previsioni precedenti riguardanti la somministrazione illecita di manodopera innescato dalla cd. legge Biagi, i secondi giudici hanno ritenuto che la prevalenza dell’impiego da parte dell’appaltatore della manodopera rispetto all’impiego di mezzi propri di produzione, non realizzasse un appalto non genuino, ma che dagli altri elementi di fatto in causa (buste paga retribuzioni, ritenute erariali e contributive da parte delle ditte esterne) emergesse la volontà delle parti di porre in essere regolari contratti di appalto per l’esecuzione di specifici lavori, in quanto tali, perfettamente validi ed efficaci e non generanti alcun debito in capo alla Friuliana Flage s.r.l, ai fini Iva, Irap ed Irpeg.

4. Nella specie, i fatti che hanno originato l’avviso di accertamento, sono avvenuti, in parte, in vigenza della L. n. 1369 del 1960, ed in parte in vigenza del D.Lgs. n. 276 del 2003, il che, proprio in virtù della permanenza del divieto di interposizione illecita di manodopera, avrebbe dovuto portare i secondi giudici a sussumere la fattispecie al loro esame in entrambe le normative richiamate e, quindi, a valutare in base ad esse la sussistenza o meno dell’interposizione fittizia.

5. Ed infatti, in base alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, la violazione del divieto d’appalto di manodopera comportava che i lavoratori fossero considerati alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente aveva utilizzato le loro prestazioni; analogamente, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 21, sancisce che, in mancanza della forma scritta del contratto di somministrazione di lavoro, i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore, instaurando, così, ex lege, il rapporto di lavoro tra lavoratore e utilizzatore.

5.1. Quanto alla normativa successiva, del predetto D.Lgs., art. 29, comma 1, distingue l’appalto dalla somministrazione di lavoro in base alla prevalenza, nel primo, del carattere di imprenditorialità dell’impresa appaltatrice “che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera del servizio dedotti in contrato, dall’esercizio del potere organizzativo indiretto nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonchè nell’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa” (D.Lgs. cit., art. 29).

In considerazione dei riflessi del mercato sull’impresa, è stato affermato che la nozione del contratto di appalto derivante da detta norma “è il prodotto del processo di smaterializzazione dell’oggetto del contratto” che è individuabile “dalla combinazione dell’indice dell’assunzione del rischio di impresa e di quello dell’eterodirezione, in seno alla quale senz’altro assume rilievo preminente il secondo” (così, Sez. 5, ord. n. 18808 del 2017; sulla preminenza di tale indice, adde, Sez. 6-5, Ordinanza n. 938 del 17/01/2018; Sez. 5, Sentenza n. 31720 del 07/12/2018, Rv. 651778-02; Sez. 5, Ordinanza, n. 14196 del 04/06/2018, non massimata; Sez. 5, Ordinanza n. 34727 del 30/12/2019, non massimata).

5.2. Dando dunque per assodato il carattere nodale dell'”eterodirezione” e volendone traguardare la nozione, può affermarsi che si ha eterodirezione quando l’appaltante-interponente non solo organizza, ma anche dirige l’dipendenti dell’appaltatore, utilizzandoli in prima persona per godere del correlativo risultato produttivo (cfr. Corte di Giustizia 6 marzo 2014, causa C-458/2012, Amatori, con riferimento al trasferimento di azienda o di ramo di azienda); invece, in capo all’interposta, rimangono solo compiti di gestione amministrativa del rapporto (retribuzione, pianificazione delle ferie) senza che vi sia una reale organizzazione della prestazione lavorativa volta ad un risultato produttivo autonomo (cfr. Sez. 5, Ord. n. 34727 del 30/12/2019).

6. Ne consegue che nel caso di accertata sussistenza di un appalto non genuino nei termini appena indicati (o anche somministrazione di lavoro non avente la forma scritta), non sussiste alcun valido contratto di appalto ed il rapporto di somministrazione di lavoro (apparentemente instaurato con l’impresa appaltatrice) è viziato da nullità, con l’effetto conservativo, derivante dalla nullità, dell’instaurarsi del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore effettivo della forza lavoro.

6.1. Stante la nullità dei contratti non è configurabile un rapporto di appalto tra la committente interposta, con l’impossibilità di detrarre l’Iva da parte della società contribuente. Il diritto di detrazione scaturisce invece dall’effettiva realizzazione della prestazione di servizi; sicchè mancando tale effettiva prestazione non sorge il diritto alla detrazione (cfr. Corte Giust. 27 giugno 2018 cause C459-460/17, SGI e Valeriane s.n.c., punto 35).

7. Non risulta corretto, quindi, il ragionamento dei secondi giudici nella parte in cui hanno ritenuto che, poichè non è più prevista per legge l’instaurazione del rapporto di lavoro fra lavoratore e committente/appaltante o utilizzatore e poichè l’organizzazione aziendale della Friulana Flange s.r.l. denotava la natura di appalto del contratto di somministrazione concluso con le ditte esterne, è illegittima la contestazione relativa al mancato versamento delle ritenute di acconto, così come l’efficacia della fatturazione consente la deduzione dei costi fatturati ai fini delle imposte dirette e dell’Irap.

8. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’omessa e contraddittoria motivazione, circa fatti decisivi e controversi per il giudizio, riguardanti le attività costituenti oggetto dei contratti stipulati e le attività effettivamente esercitate dalle imprese coinvolte nel rapporto di somministrazione di manodopera, nonchè la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Commissione omesso qualsiasi motivazione sui vari fatti contestati, allegati e provati in seno ai giudizi di merito.

8.1 Il vizio di motivazione in relazione a fatti decisivi e controversi per il giudizio, è dedotto anche con i motivi terzo e quarto; tali motivi si esaminano congiuntamente stante la loro evidente connessione. Essi sono fondati.

9. Proprio in considerazione di quanto evidenziato ai paragrafi precedenti ed in particolare ai paragrafi nn. 5 e 6, la qualificazione del rapporto intercorso tra le parti e la conseguente sussunzione della fattispecie alla normativa applicabile, richiede, ex funditus, l’esame e la verifica degli elementi allegati dalle parti per sostenere le proprie tesi e quindi le argomentazioni che tali tesi intendono superare o condividere. La sentenza impugnata, per quanto richiama i principi di questa Corte circa l’obbligo motivazionale del giudice di merito sugli elementi di fatto concretizzanti il contratto di appalto, si affida, poi, completamente alla sentenza della Commissione provinciale ed all’analisi ivi svolta, trascurando del tutto le questioni oggetto dell’appello ed incorrendo, così, nel vizio denunciato.

9.1. Giova ricordare che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la motivazione per relationem della sentenza di appello è legittima sempre che renda percepibili e comprensibili le ragioni della decisione, in relazione ai motivi di appello proposti; viceversa, nel caso in cui il giudice di merito non compia, o compia inadeguatamente, una disamina logica e giuridica degli elementi dai quali trae il proprio convincimento, rinviando genericamente e acriticamente alle motivazioni di altro giudice o al quadro probatorio acquisito, o, ancora, al nome della normativa ritenuta applicabile senza sussunzione alcuna della fattispecie concreta al precetto generale, incorre nel vizio di omessa o di apparente motivazione con conseguente nullità della sentenza. E’ evidente, infatti, che motivazioni di tal fatta svuotano di contenuto la funzione dell’appello che, quale revisio prioris istantiae, è finalizzato ad esaminare, in modo specifico e adeguato alla sua funzione, le censure proposte dalle parti alla sentenza di primo grado, così da consentire – ai fini del giudizio di legittimità – un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento adottato (cfr., Cass. 18/04/2017 n. 9745; Cass. 26/06/2017 n. 15884; Cass. 21/09/2017, n. 22022; Cass., 25/10/2018, n. 27112; Cass., 05/10/2018 n. 24452; Cass., 07/04/2017 n. 9105, tutte che richiamano i parametri minimi di motivazione indicati da Cass., Sez. U., 07/04/2014 n. 8053 e 03/11/2016n. 22232; cfr., altresì, per il vizio di motivazione collegato alla funzione dell’appello, Cass., 10/01/2003 n. 196).

9.2. Questa Corte ha evidenziato altresì che “ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può limitarsi a denunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla situazione iniziale d’ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa” (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 1236 del 23/01/2006, Rv. 590221-01; Sez. 6-5, Ordinanza n. 15964 del 29/07/2016 Rv. 640645-01, richiamate da Sez. 5, Ordinanza n. 32980 del 20/12/2018, Rv. 652058-01).

9.3. In base a tali principi, la motivazione della sentenza impugnata è gravemente insufficiente per aver omesso la valutazione di elementi di fatto decisivi per il giudizio come individuati dalla ricorrente nei giudizi di merito, nonchè in seno al giudizio di impugnazione.

10. Le ulteriori censure proposte con il quinto motivo, afferenti al vizio di violazione di legge, per aver la Commissione regionale ritenuto che la Friulana Flange s.r.l. non fosse soggetta all’obbligo delle ritenute, sono assorbite dall’accoglimento del primo motivo.

11. In conclusione, il ricorso va accolto per le ragioni sopra esposte e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia, adeguandosi ai principi di diritto sopra esposti nonchè esprimendo adeguatamente l’iter motivazionale attraverso il quale giungere al giudizio finale sull’appello proposto dall’Agenzia delle entrate.

12. La Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto in motivazione; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 Sezione civile della Corte di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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