Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12807 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2021, (ud. 25/02/2020, dep. 13/05/2021), n.12807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15920-2015 proposto da:

I.N., COMMA SRL, I.A., I.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIEDILUCO 9, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO DI GRAVIO, che li rappresenta e difende giusta

delega in calce;

– ricorrenti –

contro

EQUITALIA SUD in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10,

presso lo studio dell’avvocato LUCIO GHIA, che lo rappresenta e

difende;

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 11306/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST.

di SALERNO, depositata il 22/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PELUSO che si riporta agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’accertamento emesso nei confronti della società Comma s.r.l., con cui era individuata una maggiore pretesa fiscale, una volta rilevata l’anti-economicità della gestione nonchè il mancato deposito delle scritture contabili come richiesto.

Sulla base di tale atto, l’Agenzia delle Entrate, emetteva ulteriori tre avvisi di accertamento nei confronti dei soci, nonchè cartella di pagamento provvisoria nei confronti della società.

Tutti gli atti impositivi erano impugnati dagli interessati.

I predetti procedimenti si concludevano in primo grado con cinque distinte sentenze che respingevano i ricorsi.

In sede di gravame, gli appelli distintamente proposti erano riuniti e con sentenza n. 11306/2/14 erano confermate le decisioni di primo grado.

Avverso la predetta sentenza propongono ricorso per cassazione, la Comma s.r.l., I.M., I.A., I.N., affidandosi a dieci motivi così sintetizzabili:

1) insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

2) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3.

3) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 4, e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6) Violazione e falsa applicazione della L. 212 del 2000, art. 12, per mancata attivazione da parte dell’Ufficio del contraddittorio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7) Violazione e falsa applicazione del T.U. n. 917 del 1986, art. 84, compensazione perdite pregresse in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

8) Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, e dell’art. 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 4.

9) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 660 del 1973, artt. 1 e 39 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

10) Nullità della sentenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36 comma 2, art. 112 c.p.c. e art. 118 disp att., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si costituiscono con controricorso l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello Stato, e Equitalia sud chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato e /o inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre premettere che in primo grado sono state emesse cinque sentenze, per ciascun ricorso proposto e proposti cinque appelli, poi riuniti. Il procedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni (Cass. n. 15954 del 2006; Cass. n. 24026 del 2010). Nel caso sono stati prospettati unitariamente e per tutti i ricorrenti i motivi sopra indicati, e quindi ove il singolo motivo non potrà essere riferito al singolo appello proposto non potrà che essere dichiarato implicitamente inammissibile.

Con il primo motivo il ricorrente rileva per tutti i ricorrenti una “insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Tale doglianza va dichiarata inammissibile sia per ciò che concerne la società Comma s.r.l. che per i singoli soci in quanto l’impugnazione per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, è ormai ristretta all’omesso esame di un fatto decisivo nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico che non ricomprende la possibilità di introdurre con il ricorso per cassazione questioni o argomentazioni difensive veicolate attraverso una valutazione diversa dei fatti. Nel caso in esame il giudice di appello ha deciso la controversia sulla base della applicazione dei principi di diritto cui si farà riferimento e non sulla base della valutazione di fatti e tanto meno a causa dell’omessa considerazione di fatti decisivi che i ricorrenti peraltro non hanno indicato specificamente.

Il motivo non si confronta peraltro con la ratio decidendi della sentenza impugnata che appare ben individuabile sia nei confronti della società che dei soci e difetta di autosufficienza. Quanto alla società il giudice di appello ha evidenziato come l’accertamento si basava non tanto su studi di settore quanto sulla circostanza che i ricavi e i redditi presentavano una incongruenza costante nel tempo, rendendo illogico il comportamento dell’impresa che continuava ad operare, sebbene accumulasse perdite in un lungo periodo di tempo. Oltre a tale dato, la sentenza di appello ha anche avuto modo di specificare che la società contribuente si era sottratta ad ogni tipo di collaborazione non rispondendo al questionario inviato e non esibendo le scritture contabili (pagina 5 e 6 sentenza impugnata). Va ribadito, quindi, che (secondo un principio giurisprudenziale ormai consolidato) in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge – rispettivamente il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate o l’occultamento di attivo, possono essere desunti anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. La sentenza impugnata, investita della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, ha valutato, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio. La Società Comma non si è confrontato con tale motivazione limitandosi sostanzialmente all’indicazione di una copiosa documentazione mentre avrebbe dovuto specificare quale atto depositato fosse in grado di inficiare il ragionamento della CTR.

Con riferimento ai soci, il motivo deve ritenersi inammissibile visto che la CTR ha chiarito espressamente la ratio decidendi della sentenza affermando che il reddito imputato alla società, trattandosi di società a ristretta base familiare, legittimamente lasciava presumere che fosse stato distribuito ai soci. Al fine di contestare tale affermazione circostanziata i ricorrenti avrebbero dovuto specificare quale fatto portato alla valutazione dei giudici del merito smentisse la presunzione mentre hanno concentrato le loro difese sugli stessi temi concernenti la società. Anche da parte dei soci vi è un generico riferimento ai documenti prodotti.

Infine il motivo è inammissibile anche con riferimento alla legittimità della cartella dato che la sentenza impugnata ha rilevato l’inammissibilità dell’appello a suo tempo proposto sul punto e tale statuizione non risulta specificamente impugnata e non avrebbe potuto comportare la proposizione del motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano che la CTR non abbia rilevato il difetto di motivazione degli avvisi di accertamento. Anche tale motivo è inammissibile non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata che, come è stato già specificato, aveva evidenziato come l’Ufficio, rendendo palese le ragioni sottese all’accertamento (dati incongrui per un lungo periodo oltre al comportamento omissivo e non collaborativo del contribuente), avesse posto il contribuente in grado di conoscere gli elementi essenziali della pretesa tributaria vantata nei suoi confronti e di contestarne la fondatezza.

Anche il terzo motivo è inammissibile introducendo una questione nuova – qual è, la mancata imputazione delle spese e degli oneri specificamente afferenti i ricavi – che peraltro appare contraddittoria con la posizione difensiva degli stessi ricorrenti secondo cui la ricostruzione del reddito era basato esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore che tengono conto anche delle spese.

Per quanto riguarda la ricostruzione del reddito dei soci, non è stato riportato l’atto di accertamento nei loro confronti il che impedisce sotto un ulteriore profilo l’esame del motivo.

Il quarto motivo contesta l’utilizzo delle presunzioni. I ricorrenti, mettono in discussione, in contrasto con i principi di legge, che la prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e per le imposte dirette il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39 comma 1, lett. d). Del resto con giurisprudenza costante e ormai risalente questa Corte ha chiarito che nell’accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che – come nella specie – “ometta di rispondere ai questionari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 4, e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate o l’inesistenza delle passività,desumibile anche dagli studi di settore (Cass. n. 19014 del 2005, n. 12262 del 2007).

Con il quinto motivo si sostiene la violazione dell’art. 2697 cc. Tale motivo è in un certo senso la prosecuzione logica del precedente e ne subisce la stessa sorte in quanto la presunzione, ove sia basata su presupposti di legge, come è avvenuto nel caso in esame, costituisce una prova piena che non si pone affatto in contrasto con l’art. 2697 c.c..

Il sesto motivo è inammissibile in quanto assume la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo in palese contrasto con le risultanze del giudizio sia per tabulas che per le stesse ammissioni dei ricorrenti, relativamente alla mancata risposta al questionario e alla mancata esibizione della contabilità richiesta.

Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano che non siano state compensate le perdite degli anni precedenti. Anche qui i ricorrenti eludono la questione principale che proprio le costanti perdite, allegate per un tempo relativamente lungo, erano state considerate inattendibili perchè integrative di una condotta antieconomica della società che era stata posta dall’ufficio a base dell’accertamento, insieme agli altri elementi, con la conseguenza logica della loro esclusione dagli elementi utili per la ricostruzione della pretesa fiscale.

Privo di rilevanza giuridica e palesemente inammissibile appare l’ottavo motivo con il quale i ricorrenti si dolgono del mancato rilievo dell’irrilevanza delle difese della controparte. E’ evidente infatti che l’accoglimento di tali difese è alla base della decisione impugnata cosicchè il motivo appare sfornito di autonomia logica e giuridica. Anche il nono motivo appare inammissibile in quanto i ricorrenti censurano la decisione della CTR per aver considerato i dati gestionali relativi ad anni precedenti. Rientra nel potere discrezionale dell’ufficio considerare fatti rilevanti anche se risalenti nel tempo ai fini della pertinente ricostruzione della pretesa fiscale. Nel caso in esame, come si è detto, proprio il susseguirsi di numerosi periodi di perdita, ha coerentemente portato l’Ufficio a dubitare della attendibilità delle dichiarazioni fiscali presentate con riferimento al periodo in contestazione.

Infine è inammissibile il decimo motivo con cui i ricorrenti rilevano la nullità della sentenza per mancanza di una coincisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi di appello. Dalla lettura della sentenza impugnata è possibile apprezzare l’avvenuta valutazione dei fatti e delle tesi difensive svolte nel corso del giudizio di merito, tant’è che i ricorrenti hanno potuto formulare i numerosi motivi del ricorso per cassazione riferendosi agli specifici aspetti della controversia evidenziati nella sentenza impugnata.

In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e dichiarazione dell’obbligo, ove dovuto, del versamento del cd. doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente ed i soci ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3500 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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