Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12805 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2021, (ud. 25/02/2020, dep. 13/05/2021), n.12805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2113-2015 proposto da:

I.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEDILUCO 9,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO DI GRAVIO, che lo rappresenta e

difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5909/2013 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 13/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PELUSO che si riporta agli

atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dalla cartella di pagamento emessa nei confronti di I.M., solidalmente obbligato per l’adempimento delle obbligazioni tributarie accertate nei confronti della società di persona MTM snc dei F.LLi I..

Il ricorso proposto dal contribuente era respinto dalla commissione provinciale di Avellino, rilevando che l’obbligazione tributaria atteneva a violazioni in materia di iva da parte della società, e quindi il condono presentato dal contribuente, inerente alle imposte dirette, era irrilevante nella controversia, e che la preventiva escussione del patrimonio sociale poteva essere fatta valere solo in sede esecutiva. La Commissione Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dal contribuente.

Propone ricorso in Cassazione nei confronti della Agenzia delle Entrate ed Equitalia sud, il contribuente che si affidava a 5 motivi così sintetizzabili:

i) Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5;

2) violazione e falsa applicazione degli art. 2945 e 2969 c.c. e della L. n. 241 del 1990 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3) violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3;

4) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

5) violazione della sentenza del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36 comma 2, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 118 disp att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Si costituiva con controricorso solo l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello Stato, chiedendo che il ricorso fosse dichiarato infondato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole che il giudice di appello non abbia tenuto conto di un fatto decisivo e cioè che i giudici di appello non hanno esaminato, nè si sono pronunciati sul fatto che alcun avviso di accertamento (da cui traeva origine la pretesa oggi oggetto di lite) l’anno 1999 era stato comunicato al contribuente.

Tale motivo è infondato. Come riportato nello stesso ricorso, la cartella notificata al ricorrente conteneva la seguente dicitura “iscrizione a seguito di sentenza della CTR di Napoli sez. staccata Salerno n. 226/09/2009 depositata il 23-9-2009 relativa all’avviso di accertamento n. (OMISSIS) anno di imposta 1999; da ciò emerge chiaramente che l’Agenzia delle Entrate ha chiesto al socio di una società di persone, con la cartella notificata il (OMISSIS) (oggetto dell’attuale giudizio), il pagamento di un debito della società, e la sentenza impugnata ha evidenziato che la eventuale cancellazione dal registro delle imprese della società di persone, obbligata principale, non faceva venir meno l’obbligo solidale del socio illimitatamente responsabile.

Vero è che la società di persone, su cui gravava l’obbligazione oggi azionata, si era estinta nel 2002 per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, ma da ciò non poteva inferirsi l’inesistenza della pretesa nei confronti della società e quindi di esso socio. In primo luogo il giudicato invocato dalla Agenzia delle Entrate si era formato nel 2009, e da ciò si desume che la cancellazione della società non era stata dichiarata nel corso del giudizio. Inoltre, ai sensi dell’art. 2495 c.c. (nel testo risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la cui entrata in vigore come noto è fissata al 1 gennaio 2004), l’effetto estintivo della cancellazione della società di persone nel registro delle imprese comporta l’estinzione della società, dal 1 gennaio 2004 e cioè dopo oltre quattro anni da quando la pretesa fiscale era sorta, nel 1999, ed era stata contestata con l’impugnazione da parte della società poi conclusasi con la citata sentenza della CTR. Pertanto non ha fondamento la tesi del ricorrente, esposta nel secondo motivo di ricorso, per cui, successivamente al verificarsi di detta estinzione, non è più possibile l’iscrizione a ruolo a nome dei soci di tributi da essa società dovuti.

A tal fine va richiamato il principio costantemente affermato da questa Corte, con riferimento al contribuente persona fisica, secondo cui la formazione del ruolo va operata al nome del contribuente pur dopo il suo decesso e quindi può ben verificarsi che il ruolo sia intestato al defunto e che tenuti al pagamento siano i suoi eredi (v. Cass. 08/04/2016, n. 6856; Cass. 09/01/2014, n. 228; Cass. 19/10/1988, n. 5691. Tale principio trova applicazione anche nell’ipotesi in cui il soggetto estinto sia una società, e quindi la pretesa sia azionabile nei confronti dei soci, sia perchè coobbligati solidali, sia perchè, comunque, successori ex lege della società medesima (v. Cass. Sez. U 12/03/2013, n. 6070 e n. 6072).

In ordine al riferimento di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va ribadito che la disposizione invocata riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativamente all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e non ricomprende questioni o argomentazioni difensive veicolate attraverso una valutazione diversa dei fatti. L’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, è nel caso in esame inammissibile perchè si risolve nella contestazione di una motivazione in diritto.

La parte deduce anche l’esistenza di un giudicato esterno, ma sul punto il motivo manca di autosufficienza. Ed invero detto profilo che è incentrato sul mancato rilievo da parte del giudice di appello del giudicato esterno, non si sottrae alla regola di autosufficienza del ricorso per cassazione. A questo proposito è sufficiente sottolineare che è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti (cosa che nella specie non è accaduta) testualmente i passi del ricorso in primo grado da cui possa evincersi la formulazione della relativa linea difensiva, e il richiamo in sede di appello nonchè l’indicazione di quando e quali documenti siano stati depositati. In altri termini era onere del ricorrente, stante l’ineludibile concatenazione del ricorso in primo grado – sentenza di primo grado – atto di appello, dare conto specificamente del vizio lamentato, indicando i passi relativi agli atti processuali in questione, mentre non è stato neppure dedotto quando siano stati depositati gli atti relativi al presunto giudicato esterno, pertanto anche tale doglianza va considerata inammissibile.

Con il terzo motivo la parte deduce di aver presentato per l’anno in questione istanza per il cd. condono tombale, in grado di estinguere tale obbligazione. Va osservato che la pretesa impositiva in esame riguarda l’Iva. Proprio con riferimento alla pretesa relativa all’Iva, questa Corte ha precisato che “In tema di condono fiscale, va disapplicata – perchè in contrasto con la sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06 della Corte di Giustizia, avuto riguardo agli artt. 2 e 22 cd. Sesta Direttiva IVA e all’art. 10 Trattato CE – la L. n. 289 del 2002, art. 9, nella parte in cui consente al contribuente, che abbia omesso di presentare le dichiarazioni IVA negli esercizi d’imposta coinvolti dal condono, di fruire per questa imposta della definizione agevolata; in caso contrario, infatti, si realizzerebbe la quasi-esenzione fiscale, che la Corte di Giustizia ha stigmatizzato proprio a causa dell’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA, in quanto l’accesso alla definizione agevolata non consentirebbe la reale emersione dell’evasione, risolvendosi in una definitiva rinuncia all’accertamento ed alla riscossione dell’imposta” (Cass. n. 2915 del 2013). Tale interpretazione è ormai oggetto di una giurisprudenza consolidata (v. ancora Cass. civ., Sez. V, 6 dicembre 2018, n. 31598), che va qui ribadita riaffermando la non interferenza, in rapporto all’IVA, del “condono tombale” presentato per gli anni di riferimento, ivi compreso quello in cui maturava il credito Iva. Pertanto il motivo va rigettato.

Con il quarto motivo la parte solleva la questione, cui si è già accennato con riferimento al primo motivo, della mancata notifica dell’accertamento ad esso socio, notifica effettuata solo nei confronti della società di persone.

Anche tale motivo è da rigettare, sia perchè in materia iva non ricorre alcun litisconsorzio necessario tra la società di persone ed i singoli soci, sia perchè per costante giurisprudenza di questa Corte la responsabilità solidale ed illimitata dei soci per i debiti della società di persone, prevista dall’art. 2291 c.c., è operante anche nei rapporti tributari (Cass. n. 7225 del 2006). In definitiva il socio di una società in nome collettivo bene può essere destinatario della pretesa tributaria anche quando questa si riferisca alla società, individuata dalle norme tributarie quale unico “soggetto passivo d’imposta”, rispondendo il socio solidalmente dei debiti tributari di quest’ultima, a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo e, pur essendo privo della qualità di obbligato d’imposta – e come tale estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione del titolo nei confronti della società. Nella specie poi come si è rilevato in precedenza il credito nei confronti della società era sorto ben prima della sua cancellazione e aveva generato l’impugnazione cui si è fatto riferimento.

Il quinto motivo con cui si deduce il difetto assoluto della sentenza in quanto mancante della coincisa esposizione dei fatti e dei motivi di appello è anch’esso infondato. Dalla lettura della sentenza impugnata è possibile apprezzare l’avvenuta valutazione dei fatti e delle tesi difensive, tant’è che lo stesso ricorrente ha potuto formulare vari motivi di doglianza per i singoli aspetti considerati. La pronuncia contiene l’esplicitazione del quadro della vicenda processuale e la disamina logico-giuridica dei motivi di impugnazione lasciando trasparire, come si è detto, il percorso argomentativo seguito, ben compreso anche dal ricorrente come si desume dai motivi articolati con il ricorso per cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 645,00 per onorari oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R: n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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