Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12803 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17062-2020 proposto da:

S.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ENRICO VARALI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 2719/2020 del TRIBUNALE di VENEZIA,

depositato il 04/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto n. cronol. 2719/2020, depositato il 4/3/2020, ha respinto la richiesta di S.M.C., cittadino della Guinea, di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, della sola protezione umanitaria. In particolare, i giudici hanno ritenuto che il racconto del richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per il timore che alcuni individui, i quali, nel corso degli scontri avvenuti nel 2010 in detto Paese tra “(OMISSIS)” in vista delle elezioni presidenziali, avevano ucciso la di lui madre e la sorella, lo uccidessero, in quanto di etnia (OMISSIS)), pur credibile, non integrava, atteso il lungo tempo trascorso un rischio individuale attuale di atti persecutori o di pericolo di un danno grave nei suoi riguardi; il Paese d’origine non era interessato da violenza indiscriminata o conflitti armati interni, secondo i report consultati (Amnesty International 2016/2017; Human Rights Watch 2017, Freedom World 2017); ai fini della chiesta protezione umanitaria, non erano state allegate circostanze alla stregua delle quali potessero ritenersi sussistenti condizioni di vulnerabilità specifica e comunque non rilevava il solo rapporto di lavoro prestato per poco più di un mese, a tempo determinato.

Avverso la suddetta pronuncia, S.M.C. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta,: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, commi 3, 4, 5, 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per motivazione apparente ed illogica sulla credibilità interna ed esterna della vicenda narrata; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente, in rapporto al D.Lgs. n. 25 del 208, art. 32, comma 3, e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11 e 29, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, all’art. 8 CEDU, in reazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria.

2. La prima censura è inammissibile perchè non conferente al decisum, avendo il Tribunale ritenuto comunque la vicenda in sè pure credibile ma risalente nel tempo (2010) e quindi non integrante più una situazione di pericolo attuale (anche perchè, in ordine alla situazione generale interna del Paese d’origine, a pag. 10 dal 2010, è stato dato atto del fatto che, sotto il governo del nuovo Presidente, si sono compiuti progressi nel consolidamento dello Stato di diritto e nell’affrontare le violazioni poste in essere dalle forze di sicurezza, soprattutto coinvolte in episodi di violenza politica ed elettorale).

3. Il secondo motivo è infondato.

La pronuncia risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Ora, il ricorrente non ha dedotto alcunchè quanto alla specifica lesione della sfera dei propri diritti personalissimi, limitandosi ad un riferimento generico alla situazione di conflittualità interna tra etnie in Guinea, analizzata dal Tribunale che ha ritenuto il rischio allegato dal richiedente comunque non più attuale, e a un richiamo, altrettanto laconico, al rischio di subire nuove violenze.

Il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Inoltre, l’accertata – da parte del giudice di merito – situazione sostanzialmente stabile, dal punto di vista della violenza e degli scontri armati, nella regione di provenienza dell’istante, e che ha indotto il Tribunale a denegare la protezione, non impedirebbe di certo al medesimo il reinserimento sociale e lavorativo nel suo Paese.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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