Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12802 del 22/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 22/05/2017, (ud. 17/11/2016, dep.22/05/2017),  n. 12802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15860-2014 proposto da:

C.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DEL VIGNOLA 11, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MALTINTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA BRIGANTI DONATI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

REVET S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO BOGGIA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA MARRA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 221/2013 del TRIBUNALE di PISA, depositata il

10/09/2013 R.G.N. 1016/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. DE GREGORIO FEDERICO;

udito l’Avvocato BRIGANTI DONATI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GHERSI RENATO FINOCCHI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., pronunciata all’udienza del 10 aprile 2014 la Corte di Appello di Firenze dichiarava inammissibile il gravame di C.F. contro REVET S.p.a. avverso la sentenza in data 13 maggio/16 settembre 2013, con la quale il giudice del lavoro di Pisa che aveva confermato l’impugnato licenziamento.

Avverso la sentenza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., il C. con atto in data 9/16-06-2014, affidato a sette motivi, cui ha resistito la società REVET mediante controricorso notificato a mezzo posta, di cui alla ricevuta di spedizione in data 25 luglio 2014.

In fatto, con la lettera del 26-04-2012 la REVET aveva contestato al C., suo dipendente sin dal settembre 1996 con mansioni di autista addetto alla raccolta di vetro e plastica, che nel precedente mese di marzo aveva avuto segnalazione di inadempimenti nello svolgimento delle mansioni, da parte del destinatario, per aver costui prelevato da un determinato pubblico esercizio anche rifiuti diversi da quelli alla cui raccolta era invece addetto. La circostanza, poi, era stata anche verificata per quanto accaduto il 16 aprile. Nell’occasione era stato contestato al C. che egli alla guida dell’autocarro, impiegato per lo svuotamento del vetro e del multimateriale contenuto nelle cosiddette campane, aveva invece prelevato anche rifiuti organici ed indifferenziati presso il bar Leonardo.

Secondo il giudice adito erano infondate le doglianze mosse dal ricorrente, visto che la lettera di licenziamento richiamava espressamente la precedente specifica contestazione disciplinare, che aveva compiutamente descritto la condotta addebitata, in relazione alle circostanze apprese dalla società PUBLIAMBIENTE ed a quelle accertate direttamente da incaricati della stessa REVET, nonchè alle ragioni della loro rilevanza.

Era, inoltre, da escludersi ogni duplicazione sanzionatoria, tenuto conto della natura cautelare della sospensione dal servizio, cui poi aveva fatto seguito in via definitiva l’intimato recesso.

Risultava, altresì, confermata la pubblicità del codice disciplinare in luoghi di lavoro accessibili e frequentati come appurato dalla citata testimonianza.

L’oggetto dell’addebito consisteva nell’aver, ripetutamente e dolosamente, prelevato rifiuti diversi da quelli che l’incolpato era stato incaricato di raccogliere, con ingiusto vantaggio per il gestore del bar Leonardo e con danno anche per l’azienda, che sarebbe stata quindi tenuta a smaltire tali ulteriori rifiuti quindi con maggiori costi.

La condotta contestata poteva integrare una giusta causa di recesso, tenuto conto del carattere doloso dei fatti contestati e dell’evidente loro estraneità alle disposizioni aziendali, per cui i dipendenti della REVET nel comune di VINCI dovevano soltanto raccogliere il vetro contenuto nelle apposite campane. Di conseguenza, secondo il Tribunale, nessun soggetto di normale diligenza avrebbe potuto ritenere consentito raccogliere rifiuti di altro genere e comunque diversamente allocati. Nemmeno l’attore, poi, aveva dichiarato di non essere a conoscenza delle modalità di pagamento dei servizio di smaltimento rifiuti da parte delle aziende nel suddetto comune.

Tanto bastava ad integrare la giusta causa del recesso, laddove peraltro neppure poteva negarsi il carattere gravemente inadempiente agli obblighi nascenti dal contratto di lavoro dalla condotta di un dipendente che profittasse dolosamente e indebitamente delle facilitazioni consentite dal rapporto in essere (uso di un cassone di raccolta, possibilità di conferire rifiuti ad un impianto di smaltimento in senso lato e lo stesso orario notturno dell’itinerario) per procurare indebiti vantaggi a terzi e danni al proprio datore o alla collettività in genere.

SOLO per COMPLETEZZA, inoltre, il giudicante osservava come, ove dimostrato, il comportamento addebitato sarebbe stato (anche) idoneo a diversamente pregiudicare parte datoriale, imponendole attività di selezione e di smaltimento ulteriori rispetto al suo normale processo produttivo.

Infine, la sentenza de qua motivava diffusamente circa la prova dei fatti contestati (accaduti il (OMISSIS)) sulla scorta delle citate ed esaminate testimonianze.

Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente ha sostenuto la violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, non avendo la società comunicato i motivi posti a fondamento del recesso, nonostante la specifica richiesta del C., non essendo idoneo al riguardo il mero riferimento a quanto indicato nella precedente contestazione disciplinare, occorrendo la motivazione del licenziamento sufficientemente precisa (L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, secondo il testo in vigore dal 26-5-1990 al 17-7-2012: 1. Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. 2. Il prestatore di lavoro può chiedere, entro quindici giorni dalla comunicazione, i motivi che hanno determinato il recesso: in tal caso il datore di lavoro deve, nei sette giorni dalla richiesta, comunicarli per iscritto. 3. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace. 4. Le disposizioni di cui al comma 1 e di cui all’art. 9 si applicano anche ai dirigenti).

Con il secondo motivo il C. ha dedotto violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, per difetto dei requisiti di specificità per immodificabilità e immediatezza. L’unico fatto regolarmente contestato sarebbe quello relativo al 16 aprile 2012, mentre in seguito il recesso sarebbe stato “convalidato” in reazione pure all’episodio del gennaio 2012.

Con il terzo motivo, è stata denunciata la violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e dell’art. 71 del c.c.n.l. di categoria “in riferimento al principio di immodificabilità della sanzione disciplinare cautelare trasformata in licenziamento”.

Con il quarto motivo, formalmente, redatto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente ha lamentato la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 5, (norma che disciplina gli accertamenti sanitari), art. 2119 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c., per inadeguata – illogica e contraddittoria valutazione delle prove in relazione all’accertamento della sussistenza del fatto contestato in data 26.04.2012 -episodio del 16.04.2012- ed alla base del licenziamento irrogato.

Il quinto motivo di ricorso è stato formulato, ex cit. art. 360, n. 3, per asserita violazione e falsa applicazione di norme, quali art. 4 Cost., artt. 1175, 1375, 2104 e 2119 c.c., nonchè L. n. 300 del 1970, art. 5, artt. 71 e 72 c.c.n.l. di categoria e art. 115 e 116 c.p.c., tanto per inadeguata, illogica e contraddittoria valutazione delle prove in relazione all’accertamento ed alla proporzionalità tra il licenziamento intimato il sette maggio 2012 ed i fatti contestati con lettera del 26-04-2012, nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), quale l’apprezzamento e l’elemento intenzionale nella condotta addebitata al dipendente e dell’effettiva gravità della stessa in relazione alle mansioni svolte). Il tribunale aveva ignorato la totale incensuratezza disciplinare del ricorrente durante i sedici anni di diligente e rispettoso servizio. Si lamenta, inoltre, mancanza di motivazione sul fatto che il licenziamento contrastava con le condotte tipizzate dagli artt. 71 e 72 del c.c.n.l..

Con il sesto motivo, è stato dedotto l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione (art. 360 c.p.c., n. 5), per non aver la sentenza considerato che la REVET non aveva fornito ordini o direttive agli autisti in relazione al trasporto di multimateriale e che non aveva mai effettuato corsi di formazione la riguardo, così come da deduzioni di cui al ricorso introduttivo, non contestate sul punto da parte resistente. Con il settimo motivo, il ricorrente ha lamentato, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 Cost., artt. 1175, 1375, 2104 e 2119 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 5, art. 7172 c.c.n.l. e art. 115 e 116 c.p.c., in ordine alla valutazione delle prove circa l’accertamento del preteso danno cagionato alla datrice di lavoro, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), quali la mancanza di danni dipesi dall’asserita condotta del dipendente.

Orbene, tutte le anzidette censure vanno disattese, siccome inammissibili ed infondate in base alle seguenti considerazioni.

Invero, le doglianze mosse dal ricorrente pretendono, ma inammissibilmente in questa sede di legittimità, di sovvertire quanto accertato e prudentemente apprezzato, nell’ambito delle sue discrezionali valutazioni, peraltro con adeguata sufficiente motivazione, dal giudice di merito.

Ne deriva che tali accertamenti e valutazioni non sono sindacabili ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., perciò nemmeno in base all’ipotesi contemplata dal comma 1, n. 5, di tale articolo, nella specie peraltro applicabile secondo il testo di cui D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, in forza altresì del regime transitorio dettato del D.L. cit. art. 54, comma 3. Di conseguenza, nemmeno rileva di per sè il solo vizio di motivazione, come tale perciò non più previsto dalla norma di rito (cfr., tra le altre, sul punto Cass. sez. un. civ. n. 8053 e n. 8054 del 7/4/2014).

Ad ogni modo, risultando qui impugnata la decisione del 13 maggio – 10 settembre 2013, il cui gravame veniva dichiarato inammissibile ex art. 348 bis c.p.c. dalla Corte fiorentina con l’ordinanza pronunciata all’udienza del 10 aprile 2014, opera nella specie ratione temporis evidentemente anche l’art. 348 – ter del medesimo codice di rito, secondo cui tra l’altro quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello. Per di più, quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai nn. 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 360; disposizione questa che si applica altresì, fuori dei casi di cui all’art. 348-bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, che conferma la decisione di primo grado.

Orbene, nel caso qui in esame, a parte le carenze di allegazione del ricorso con riferimento agli specifici motivi di gravame, per cui rileva altresì la sanzione d’inammissibilità espressamente comminata dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ne deriva che da un lato è precluso l’esame di motivi diversi da quelli a suo tempo posti a sostegno dell’appello avverso la sentenza n. 221/13 e che, d’altro canto, gli altri, essendo l’anzidetta declaratoria d’inammissibilità fondata sulle stesse ragioni, inerenti a questioni di fatto, poste a base della pronuncia a suo tempo appellata, il ricorso per cassazione è consentito unicamente in relazione alle ipotesi di cui ai numeri da 1 a 4 del citato art. 360, per cui è comunque inammissibile ogni censura ex comma 1, n. 5, dello stesso art. 360 (cfr., tra l’altro, Cass. n. 5528 del 10/03/2014, secondo cui nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse).

Va pure chiarito che, indipendentemente dalle formulazioni o rubricazioni di parte, le ragioni dell’impugnazione competono esclusivamente al giudice in base alle effettive deduzioni svolte in proposito dall’interessato (cfr. tra le altre Cass. n. 4036 del 20/02/2014, secondo cui l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato. In senso analogo v. anche Sezioni Unite n. 17931 del 2013.

Parimenti, Cass. V civ. n. 14026 del 03/08/2012, secondo cui l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina “ex se” l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura. Pressochè conforme Cass. 1 civ. n. 7981 del 30/03/2007: la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato).

Pertanto, alla stregua degli enunciati principi, sono senz’altro inammissibili, ancorchè diversamente rubricate dal ricorrente, le doglianze di cui ai motivi 4 (lettera D), 5 (lett. E), 6 (lett. F) e 7 (lett. G), con le quali si contestano essenzialmente gli accertamenti in fatto e le conseguenti valutazioni operati dal giudice di merito e/o comunque pretese omesse considerazioni, ovvero le motivazioni riguardo ad argomentazioni in astratto sussumibili nell’ambito delle previsioni di cui al citato art. 360, comma 1, n. 5, vizi il cui esame è ad ogni modo precluso dalle disposizioni contenute nel suddetto art. 348 – ter.

Quanto, poi, al primo motivo di ricorso, lo stesso appare infondato, secondo il principio condivisibilmente affermato da questa Corte con la sentenza n. 454 del 14/01/2003, secondo cui l’obbligo del datore di lavoro di comunicare al lavoratore i motivi del licenziamento (previsto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2) presuppone che i suddetti motivi non siano stati portati a conoscenza del dipendente in precedenza; qualora vi sia stata una precedente contestazione disciplinare dei fatti, che hanno poi determinato il licenziamento, essa di per sè assolve all’onere di indicazione dei motivi del licenziamento, ed a fronte di essa il lavoratore può chiedere l’ulteriore specificazione dei motivi, ove non li ritenga sufficientemente precisati, all’interno del procedimento disciplinare che si apre con la contestazione, senza che sia configurabile un obbligo del datore di lavoro di rispondere ad una diversa richiesta di motivi, esterna a tale procedimento (in senso analogo v. anche Cass. lav. n. 15986 – 01/08/2016, con riferimento alla L. n. 604 del 1966, art. 2 “ratione temporis” applicabile), non rilevando peraltro evidentemente nella specie di cui è causa la successiva disciplina introdotta dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, in vigore dal 18/07/2012 (v. in part. la L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 1, comma 37, secondo cui il comma 2 dell’art. 2, veniva sostituito dal seguente: “2. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato”).

Sta di fatto che la missiva di contestazione disciplinare e di contestuale sospensione cautelare in data 26-04-2012 faceva espresso riferimento ad un fatto accaduto nel marzo di quell’anno e a quanto verificatosi il successivo 16 aprile 2012 alle ore 5.10. Seguivano le giustificazioni scritte del C., come da lettera datata 30-04-2012, cui faceva poi ancora seguito la lettera di licenziamento sette maggio 2012, richiamando testualmente la precedente contestazione del 26-04-2012. A sua volta, il C. ha riprodotto una sua missiva, avente ad oggetto impugnazione di licenziamento L. n. 604 del 1966, ex art. 6, che assume datata 16 maggio 2012, laddove dopo aver richiamato la nota di recesso, pervenutagli il 10 maggio, lamentava che il licenziamento era privo di giustificazione e di giusta causa, “nonchè inefficace in quanto privo della specifica comunicazione dei motivi, non esplicitati neppure dopo la richiesta di C., come si ricava dalla Vostra ultima comunicazione del 18 maggio pervenuta il giorno 28 u.s….”, senza comunque alcuna reiterazione di motivazioni in proposito (cfr. pagine 1517 del ricorso).

Come si vede, chiaramente l’anzidetta data del 16 (sedici) maggio è incompatibile cronologicamente con quanto asserito nella missiva, laddove si faceva riferimento all’ultima comunicazione della società in data 18 (diciotto) maggio, pervenuta il successivo giorno 28, laddove per di più si accenna testualmente anche al contenuto della nota di risposta della società, in data 18 maggio, asseritamente riscontrando la precedente missiva del lavoratore e… i motivi del licenziamento consistono nella fondatezza degli addebiti che Le sono stati contestati con la nostra lettera…).

Pertanto, la censura è palesemente infondata.

Circa, poi, il secondo motivo (lettera B, pag. 18 e ss. del ricorso), le doglianze appaiono inconferenti ed infondate, in base a quanto congruamente accertato in fatto dal giudice di merito con la sentenza poi appellata ed in seguito qui impugnata, laddove tra l’altro a pag. 2 erano pure indicati i cinque punti sui quali si fondava la domanda di cui al ricorso introduttivo del giudizio (inefficacia del licenziamento ex cit. art. 2, invalidità L. n. 300 del 1970, ex art. 7, per omessa affissione del codice disciplinare, genericità della contestazione, duplicazione della sanzioni disciplinare per gli stessi fatti, infondatezza del dedotto inadempimento e comunque sua inidoneità ad integrare giusta causa di recesso). Nessuno accenno vi è alla tempestività della contestazione disciplinare, laddove il primo giudicante si limitava, quindi, a rilevare la completezza della contestazione 26-04-2012, così da rendere possibile al lavoratore comprendere la natura degli addebiti e di apprestare una compiuta difesa.

Orbene, le critiche mosse da parte ricorrente (v. in part. pagg. da 19 a 22 del ricorso) con speciale riguardo alla mancata immediatezza della contestazione relativamente al primo episodio, collocabile nel marzo 2012, prima di quello accertato il 16-04-12, che avrebbe così aggravato la posizione dell’incolpato, in quanto accusato di due fatti, non trovano alcun riferimento nei precedenti atti (non ne parla la sentenza del Tribunale e nulla si dice al riguardo con riferimento al ricorso introduttivo ed a quello d’appello, per giunta nella sua più rigorosa formulazione dell’art. 434 c.p.c., D.L. 22 giugno 2012, n. 83, ex art. 54, comma 1, lett. c bis), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, norma che per espressa previsione dell’art. 54, comma 2, D.L. cit. si applicava ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui veniva richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, avvenuta il 12 agosto 2012; vale la pena di ricordare che la sentenza del Tribunale risale al 13 maggio / 10 settembre 2013).

Dunque, ogni censura per quanto concerne il secondo motivo è in parte infondata ed in parte del tutto inammissibile (ai sensi dell’art. 348-ter, comma 3, primo periodo), attesa la novità della questione inerente al requisito dell’immediatezza L. n. 300 del 1970, ex art. 7, desumibile peraltro anche dalla carenza di precisazioni sul punto ex cit. art. 366 n. 6, specificità per giunta occorrente a norma pure dello stesso art. 348 – ter, comma 3 (Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’art. 360, ricorso per cassazione nei limiti dei motivi specifici esposti con l’atto di appello).

Le considerazioni precedenti, circa la regolarità dell’osservato procedimento disciplinare, ai sensi del richiamato art. 7, valgono evidentemente anche per confutare l’asserita immodificabilità della sanzione di cui al terzo motivo (lettera C a pag. 23 e ss. del ricorso), laddove in effetti parte ricorrente finisce per confondere la sospensione cautelare adottata contestualmente alla contestazione (v. anche l’oggetto testuale della suddetta missiva 26-04-2012, ivi richiamandosi altresì gli artt. 71 e 72 del c.c.n.l. di categoria vigente) con la vera e propria sanzione disciplinare, applicata mediante il recesso intimato per giusta causa in forma scritta il successivo sette maggio 2012. Per contro, l’art. 71 del contratto collettivo, nel prevedere i provvedimenti disciplinari elenca tra l’altro la sospensione dal lavoro o dallo stipendio e dal lavoro fino a tre giorni. Peraltro, il ricorrente si è limitato a riportare soltanto una parte dell’art. 71 (cfr. pag. 25 del ricorso), laddove sono elencati tra le sanzioni unicamente il richiamo verbale, quello scritto, la multa e l’anzidetta sospensione. Nulla è stato dedotto, invece, da ricorrente in relazione all’art. 72 c.c.n.l., pure espressamene richiamato nella missiva in data 26-04-2012 di contestazione e di sospensione cautelare da parte datoriale. Nè il ricorso precisa dove, quando e come sia stato prodotto il c.c.n.l., il cui testo come è noto va poi integralmente depositato unitamente al ricorso per cassazione (v. ancora l’art. 336 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a fronte altresì della genericità dell’indice contenuto a pag. 57 del ricorso, laddove si menziona soltanto sub. n. 3 il fascicolo di parte di C. Franco nella vertenza de qua con gli atti e i documenti ivi specificati – cfr. sul punto invece Cass. lav. n. 4350 del 04/03/2015: nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti). Pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle spese del soccombente, tenuto altresì al versamento dell’ulteriore contributo unificato, sussistendone i presupposti di legge come da seguente dispositivo.

PQM

 

La Corte RIGETTA il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della società controricorrente nella misura di euro quattromila/00 per compensi e di Euro cento/00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017

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