Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12802 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31926-2019 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI VIOLI;

– ricorrente –

contro

S.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI

CALAMATTA, 16, presso lo studio dell’avvocato MANUELA ZOCCALI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO PAPALIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 640/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 29/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 640/2019, depositata in data 29/07/2019, ha confermato la decisione del Tribunale, che aveva pronunciato la separazione giudiziale dei coniugi S.V. ed N.A., i quali avevano contratto matrimonio nel 1991, dalla cui unione erano nati due figli, respingendo le domande reciproche di addebito e la domanda della N. di fissazione di un assegno di mantenimento a proprio favore, ponendo a carico del marito soltanto un assegno mensile di Euro 300,00, a titolo di contributo al mantenimento di ciascuno dei due figli, conviventi con la madre.

In particolare, i giudici d’appello hanno respinto l’appello incidentale dello S. in ordine al mancato addebito della separazione alla N. (rilevando che vi era stata una precedente separazione, dal 2000, omologata nel 2006, cui era seguita una riconciliazione tra gli stessi coniugi, tra il 2007 ed il 2008, “più esteriore…che sostanziale”) ed affermato, in punto di rigetto della domanda della N., di fissazione di un assegno di mantenimento a carico del marito, che, pur non svolgendo la moglie attività lavorativa (mentre il marito svolgeva stabile lavoro presso Poste Italiane spa) e non risultando, malgrado il possesso del titolo di avvocato, utilmente collocata nel mondo del lavoro, per età e mancanza di pregresse esperienze, la stessa disponeva di “adeguati redditi propri, essendo proprietaria (anche pro-quota) di alcuni immobili, suscettibili di utilizzazione economica o di vendita ai fini di reinvestimento, ed era documentato “un ISEE 2013 di Euro 14.605,80”

Avverso la suddetta pronuncia, N.A. propone ricorso per cassazione, notificato il 28/10/2019, affidato a due motivi, nei confronti di S.V. (che resiste con controricorso). La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo ed il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 156 c.c., in punto di riconoscimento di un assegno di mantenimento in proprio favore, rilevando che le proprietà immobiliari della stessa sarebbero improduttive di reddito, stante la necessità di importanti lavori di ristrutturazione, e che la medesima è disoccupata, oltre che affetta da patologia agli occhi, con evidente disparità reddituale rispetto al coniuge, dirigente e proprietario di immobili, per il quale era stato valorizzato soltanto un CUD risalente all’anno 2009, dal quale emergeva comunque un reddito di Euro 29.000,00, oltre quello prodotto dai fitti commerciali degli immobili di proprietà.

2. Le censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.

Questa Corte (Cass. 9915/2007) ha già precisato che “in tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato”, cosicchè “il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacità reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di separazione”, accertamenti questi che “si rendono altresì necessari in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse ed i redditi di costoro”.

Sempre questa Corte (Cass. 17199/2013) ha chiarito che “l’art. 156 c.c., comma 2, stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno non solo valutando i redditi dell’obbligato, ma anche altre circostanze non indicate specificatamente, nè determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’obbligato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti” (Cass. 605/2017).

In sostanza, la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli “necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio” (Cass. 12196/2017).

Ora, nella specie, risulta essere stato comunque effettuato un accertamento sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sulla capacità della moglie di disporre di redditi propri e sui redditi dei due coniugi.

Inoltre, con la proposizione del ricorso per cassazione, nel quale, peraltro, vengono confusi i presupposti dell’assegno di mantenimento nel giudizio di separazione personale tra coniugi rispetto a quelli propri dell’assegno divorzile, la ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011; Cass. 9097/2017; Cass. 29404/2017).

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna delle controricorrenti, in complessivi Euro 2.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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