Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12801 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12801 Anno 2014
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 19514-2008 proposto da:
026-D45- 9-0 0 4f
COPER SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PZZA
GIUNONE REGINA l, presso lo studio dell’avvocato
COLOMBINI DAVID, che lo rappresenta e difende;
– rícorrentE
contro

2014
piOZ,6 S-(90

754

DORECA SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore
PRINCIPESSA

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CLOTILDE

2,

presso

lo

studio

dell’avvocato CLARIZIA ANGELO, che lo rappresenta e

-À –

Data pubblicazione: 06/06/2014

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE DI CHIO;
0-hAt34,too3

BIRRA PERONI SPA in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PRINCIPESSA CLOTILDE 2, presso lo studio
dell’avvocato CLARIZIA ANGELO, che lo rappresenta e

– controricorrenti nonchè contro

SALVADOR DESIRE’;
– intimati –

avverso la sentenza n. 853/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 31/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/03/2014 dal Consigliere Dott. CESARE
ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato CARLEVARO Anselmo. con delega
depositata in udienza dell’Avvocato COLOMBINI David,
difensore del ricorrente che ha chiesto di riportarsi
alle difese depositate ed ha insistito
sull’accoglimento delle stesse;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso in subordine per il
rigetto dello stesso.

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE DI CHIO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 23/10/1999 la società A.M.V.
proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il
quale le era stato ingiunto di pagare alla società

semplicemente società Peroni) la somma di lire
2.035.335.912 a titolo di corrispettivo per forniture
di merce documentate con fatture.
L’ingiunta conveniva in giudizio sia la società Peroni
sia la società Sarca, sia Desirè Savador.
Nei confronti della società Birra Peroni deduceva:
– l’inesigibilità del credito per l’esistenza di un
accordo di finanziamento;
– in via riconvenzionale, chiedeva:
a) l’accertamento della responsabilità della società
Peroni per il recesso ingiustificato dalle trattative
intercorse con i soci di essa società opponente, per la
cessione di quote societarie di A.M.V. che la società
Peroni avrebbe dovuto acquistare;
b) l’accertamento della responsabilità della società
Peroni per l’illegittimità del recesso dal contratto di
mandato in concessione e per la violazione del dovere
di esecuzione in buona fede del contratto, oltre che
per altri inadempimenti;

3

I

Birra Peroni Industriale S.p.A. (d’ora innanzi

c) nei confronti di tutti i convenuti, il risarcimento
danni per atti di concorrenza sleale.
I convenuti si costituivano e chiedevano il rigetto

Il Tribunale di Torino con sentenza del 3/8/2004, dopo
l’espletamento dell’istruttoria e di una CTU rilevava:
– che non era provato alcun accordo di finanziamento
tra le parti e che, invece, il credito della società
Birra Peroni era esigibile seppure per il minore
importo di lire 1.766.328.816, neppure contestato
dall’opponente;
– che la società Peroni aveva legittimamente esercitato
il recesso dalle trattative per l’acquisizione di
partecipazione in A.M.V. a seguito delle negative
risultanze della due diligence

(ossia delle risultanze

dell’analisi e delle condizioni dell’azienda, che erano
state poi confermate dal CTU), alla quale era
condizionato l’acquisto 4 al recess›—dalle t,rattati23

– che non sussistevano atti di concorrenza sleale.
La A.M.V. proponeva appello al quale resistevano i
convenuti.

4

delle domande.

La Corte di Appello di Torino con sentenza del
31/5/2007 rigettava integralmente l’appello rilevando:
– che tra l’opponente e l’opposta non era intervenuto
alcun contratto di finanziamento, né un pactum de non

dal creditore a titolo di mera tolleranza e sempre
revocabile per volontà del creditore medesimo, sicché
il credito, maturato per forniture documentate con
fatture e bolle di consegna dal 2 Febbraio 1998 al 30
Dicembre 1998 era già esigibile al 10/7/1999, data del
deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, ossia dopo
lo spirare del termine di 180 giorni dalla data
fattura;
– che pertanto, in relazione al mancato pagamento del
credito, il recesso dal contratto di concessione di
vendita doveva ritenersi legittimo;
– che in ordine all’asserito illegittimo recesso della
società Peroni dalle trattative per l’acquisto di quote
di A.M.V. le valutazioni e argomentazioni del Tribunale
(fondate, come detto, sulle negative risultanze della
due diligence)

erano corrette, ma ancor prima, la

società A.M.V. era carente di legittimazione attiva a
far valere nei confronti della società Peroni, estranea
alla trattative, una responsabilità per illegittimo

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petendo, ma solo una dilazione di pagamento consentita

recesso dalle trattative intercorse non con la società,
ma con i soci interessati a vendere le loro quote;
che, in ordine alla valutazione da parte del
Tribunale delle risultanze istruttorie circa

di appello, il motivo di appello era addirittura
inammissibile per assoluta genericità perché totalmente
mancante di specifiche contestazioni delle pur puntuali
e ampie argomentazioni del Tribunale sviluppate per 8
pagine (dalla pagina 33 alla pagina 41 della sentenza).
La società Coper s.r.l. in liquidazione (che dichiara
che la società A.M.V. così è ora denominata, a seguito
di cambio di denominazione) ha proposto ricorso
affidato a sei motivi.
La società Peroni e la società Doreca Torino s.r.l.
(già socieà Sodipar Torino s.r.l. e prima ancora
società Sarca s.r.1.) hanno resistito con due separati
controricorsi; la società Peroni ha depositato memoria.
Desirè Salvador è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di
motivazione in ordine al mancato accoglimento
dell’eccezione di inesigibilità del credito.

6

l’inesistenza di atti di concorrenza sleale il motivo

A fondamento del motivo riporta dichiarazioni di due
testi (Mottura e Animati) e sostiene che la Corte di
Appello avrebbe mal valutato le risultanze istruttorie
negando l’esistenza di un affidamento e non avrebbe

due miliardi di lire che costituiva il limite al di
sotto del quale era concesso il fido.
1.1 n motivo è inammissibile per due autonome ragioni:
a) manca completamente il momento di sintesi all’esito
dell’illustrazione del motivo che si sviluppa per
quattro pagine; la censura trascura che, nel vigore
dell’art.366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis
in relazione alla data di deposito della sentenza
impugnata), il motivo di ricorso per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione, proposto
ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5, c.p.c., deve
essere accompagnato da un momento di sintesi che ne
circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del
ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; il
motivo, cioè, deve contenere – a pena d’inammissibilità
– un’indicazione riassuntiva e sintetica, che non
coincide con la sua esposizione, ma che costituisce un
“quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e

7

considerato che il credito accertato era inferiore ai

che deve consentire al giudice di valutarne
immediatamente l’ammissibilità (Cass. Sez. U, n. 12339
del 20/05/2010), ma nulla di tutto ciò è leggibile nel
caso di specie;

motivata

ratio decidendi

secondo la quale, all’esito

delle testimonianze raccolte, era da escludersi
l’inesigibilità del credito in quanto mancava un
accordo vincolante in tal senso, perché per il
pagamento delle fatture era previsto il termine di 180
giorni dalla data fattura, ampiamente scaduto alla data
del deposito del decreto ingiuntivo e perché i rapporti
tra le parti erano connotati da una mera concessione di
dilazione di pagamento (definita “fido”, termine
generico nel quale può essere ricompresa anche la
tolleranza) tuttavia sempre revocabile per valutazione
dell’affidante, mentre non era provato un pactum de non
petendo,

la cui deduzione, per la prima volta in

appello era comunque inammissibile.
Tale essendo la ratio decidendi, comunque sostenuta da
congrua motivazione, appare irrilevante stabilire se al
momento del deposito del ricorso per decreto
ingiuntivo, fosse stata superata o meno la soglia di
tolleranza fissata a due miliardi di lire.

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b) non attinge con una critica specifica la decisiva e

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio
di

motivazione

sul

presupposto

che,

stante

l’inesigibilità del credito, il recesso dal contratto
di concessione e vendita era ingiustificato.

e dalla conseguente conferma che il credito era
esigibile e il recesso del tutto giustificato.
3.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la

violazione e falsa applicazione dell’art. 1175 e 1375
c.c. e sostiene che se la Corte di Appello avesse
valutato complessivamente i rapporti tra le parti
avrebbe dovuto rilevare che

la società Peroni,

interrompendo le trattative per l’acquisto di quote di
A.M.V., chiedendo l’immediato rientro dalla esposizione
debitoria (con sollecito di pagamento del 29/4/1999
dell’importo

di

lire

1.267.045.648),

recedendo

improvvisamente dal contratto di distribuzione (con
comunicazione del 28/5/1999), avrebbe posto in essere
una condotta illegittima in quanto in violazione delle
regole di correttezza e buona fede e in tal senso
formula il quesito di diritto.
3.1 Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha preso atto che la società Peroni
era creditrice di A.M.V. per un ingente credito

9

2.1 Il motivo è assorbito dal rigetto del primo motivo

esigibile del quale ha chiesto il pagamento, come aveva
diritto di fare, così che la censura attinge
sostanzialmente valutazioni di merito che non sono
conflíggenti con i principi di buona fede e

creditore di un credito ingente debba astenersi dal
richiederne il pagamento.
Nel motivo la ricorrente afferma che la condotta
contraria a buona fede e correttezza sarebbe tuttavia
evincibile da una valutazione complessiva delle
condotte, ma gli argomenti addotti non risultano in
alcun modo significativi, tenuto conto che, secondo
quanto affermato dalla stessa ricorrente in ricorso, il
decreto ingiuntivo (depositato il 10/7/1999) era stato
preceduto da un sollecito di pagamento del 29/4/1999 di
debiti (da ritenersi per le ragioni già dette già
scaduti) per un importo di lire 1.267.045.648; risulta
inoltre dalla sentenza di appello che i debiti si
riferivano forniture documentate da fatture e bolle di
consegna dal 2 Febbraio 1998 al 30/12/1998, mentre il
recesso dal contratto di distribuzione è stato
comunicato (il 28/5/1999) circa un mese dopo rispetto
al sollecito di pagamento.

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correttezza, posto che questi non implicano che il

In questa scansione temporale, nella quale la società
Peroni ha dapprima sollecitato il pagamento (tra
l’altro presumibilmente allarmata per gli esiti
negativa della due diligence che la stessa ricorrente

poi, perdurando l’insolvenza, dopo un congruo periodo
di tempo (circa un mese) ha esercitato il recesso dal
contratto di distribuzione non si vede davvero come
possa configurarsi la violazione dei principi suddetti,
tenuto conto che a fronte di una legittima richiesta
del creditore, non risultano in atti comportamenti del
debitore

(proposte di dilazioni o di garanzie,

pagamenti di acconti o altro) per effetto dei quali il
creditore fosse tenuto, secondo i suddetti principi, a
comportamenti diversi da quelli in concreto tenuti.
Della assoluta irrilevanza della rottura delle
trattative intercorsa con i soci di A.M.V si tratta
nel paragrafo che segue.
4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 81 e
100 c.p.c. e 2043 c.c.; sostiene che l’interruzione
delle trattative avviate per l’acquisto, da parte della
società Peroni, di quote della società A.M.V. che
avrebbero dovuto essere vendute dai soci della stessa

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colloca alla metà di Aprile: v. pag. 19 del ricorso) e

società, oltre ai soci, avrebbe danneggiato anche la
società perché, in conseguenza dell’interruzione delle
trattative, sarebbe stata esposta al recesso dal
contratto di fornitura e alla richiesta di rientro dal

poteva essere giustificato dalla consistenza
patrimoniale di essa società perché, per motivi già
esposti nel giudizio di merito (motivi che non riporta
neppure in sintesi, ma richiama alcune memorie e la
comparsa conclusionale di appello), la consistenza
patrimoniale non corrispondeva a quanto ritenuto dalla
società Peroni o dal CTU.
Conclude affermando che per tali ragioni sussisteva la
propria legittimazione attiva in ordine alla richiesta
risarcitoria, ingiustamente esclusa dalla Corte di
Appello.
La ricorrente formulando il quesito di diritto, chiede
se le conseguenze pregiudizievoli derivanti
dall’interruzione, da parte di un soggetto, delle
trattative con un altro soggetto per l’acquisto delle
quote sociali da quest’ultimo detenute, possano
costituire illecito ex art. 2043 c.c. nei confronti
della società le cui quote sono oggetto di trattative.

12

fido; la ricorrente sostiene inoltre che il recesso non

4.1 n motivo è manifestamente infondato in quanto la
responsabilità precontrattuale posta a fondamento della
domanda risarcitoria si fondava
ingiustificata

delle

trattative

sulla rottura
che veniva

ad

violazione del precetto secondo il quale le parti nello
svolgimento delle trattative devono comportarsi secondo
buona fede; in altri termini, si deduceva la violazione
di una regola di condotta stabilita a tutela del
corretto svolgimento dell’iter di formazione del
contratto; tuttavia rispetto a questo interesse
tutelato la Corte di Appello correttamente ha escluso
ogni legittimazione della società in quanto non era
parte delle trattative e su queste non poteva riporre
alcun affidamento.
Il motivo è inoltre inammissibile per irrilevanza in
quanto la Corte di Appello ha altresì ritenuto
condivisibili le motivazioni del tribunale che aveva
escluso l’illegittimità del recesso invece giustificato
dall’esito negativo della due diligence

e nel motivo

non sono espresse, se non del tutto genericamente con
rinvio ad atti del processo di merito, senza neppure
riportarne almeno in sintesi il contenuto, le ragioni
per le quali il recesso sarebbe stato ingiustificato e

13

integrare, a detta dell’odierna ricorrente, la

per le quali sussisterebbe un dolo o una colpa della
società Peroni, indispensabile per configurare una
responsabilità ex art. 2043 c.c.
5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce il vizio

appello) mancanza di specificità dei motivi di appello
relativi alla domanda di risarcimento danni per atti di
concorrenza sleale.
La ricorrente riproduce le deduzioni formulate con
l’atto di appello osservando che in tale atto aveva
dedotto specifiche circostanze dirette a dimostrare una
strategia posta in essere da Peroni, SODIPAR e Desirè
Slavador volta ad eliminare A.M.V. dal mercato al fine
di impadronirsi della sua clientela; in particolare,
richiama alcune testimonianze che dovrebbero dimostrare
tale strategia attraverso l’omessa fornitura dei
propri prodotti Peroni senza preavviso, il recesso dal
contratto di concessione, la richiesta di pagamento del
saldo scaduto, i consigli dati a clienti AMV di non
rifornirsi più da A.M.V. in dissesto fornendo anche
notizie inveritiere, la concessione a Sodipar di
praticare uno sconto più elevato sui prodotti, il
divieto fatto ad altri distributori di vendere prodotti

14

di motivazione in ordine alla (ritenuta dalla Corte di

Peroni a A.M.V., la diffusione di notizie in merito al
rischio di fallimento di A.M.V.
Ciò premesso, lamenta che la Corte di Appello non ha
esaminato i motivi di doglianza e ha omesso di motivare

genericità.
5.1 n motivo, privo del momento di sintesi, è
manifestamente infondato.
La Corte di Appello, avendo preliminarmente ravvisato
l’inammissibilità del motivo di appello per come
formulato, giustamente non ne ha esaminato il merito.
La Corte di Appello ha motivato in coerenza con i
principi costantemente affermati da questa Corte
secondo i quali nel giudizio di appello – che non è un
“novum iudicium” – la cognizione del giudice resta
circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante
attraverso specifici motivi e tale specificità esige
che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata
vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad
incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime,
non essendo le statuizioni di una sentenza separabili
dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue
che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che,
fissando i limiti della controversia in sede di gravame

15

sul perché questi motivi sarebbero affetti da assoluta

consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla
parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di
inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non
sanabile per effetto dell’attività difensiva della

contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual
fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta
di individuare le statuizioni concretamente impugnate,
ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di
primo grado sia censurata nella sua interezza, che le
ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte
con sufficiente grado di specificità da correlare,
peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata.
(Cass. 18/4/2007 n.

Cass. 19/2/2009 n. 4068;

9244;

Cass. 13/4/2010 n. 8771).
Premesso che non è dedotta, con il motivo di ricorso,
la violazione dell’art. 342 c.p.c. sotto il profilo del
suo ambito di applicazione (né è formulato un quesito
di diritto in merito), nel caso concreto la Corte di
Appello, come detto in dichiarata adesione ai principi
di diritto affermati da questa Corte, ha rilevato (pag.
16 della sentenza di appello) che il Tribunale aveva
espresso per ben 8 pagine (da pag. 33 a pag. 41 della
sentenza appellata) puntuali e ampie argomentazioni a

16

controparte, una parte argomentativa che confuti e

I

fondamento delle ragioni per le quali aveva escluso la
stessa esistenza di atti di concorrenza sleale e che
nei motivi di gravame erano del tutto assenti ragioni
di doglianza dirette a confutare quelle specifiche

I controricorrenti ricordano, infatti, che la sentenza
di primo grado aveva rilevato:
– che i fatti asseritamente lesivi erano stati compiuti
dopo la legittima revoca della concessione,
– che era legittima l’informazione data agli acquirenti
che A.M.V. non era più concessionaria e che vi era
altro concessionario,
– che il comportamento di A.M.V. di procurarsi comunque
i prodotti Peroni era di dubbia correttezza e rendeva
legittima la reazione della società Peroni,
– che A.M.V. e Sodipar non erano in concorrenza tra
loro in quanto la prima non era più concessionaria,
– che mancava la prova dei presupposti essenziali per
ritenere illecita la condotta di storno.
La motivazione della Corte di Appello, anche attraverso
il richiamo a specifiche parti della sentenza
appellata, è dunque presente e sufficiente, mentre la
censura qui formulata si limita a riprodurre le ragioni
di doglianza, ma non si preoccupa di chiarire come

.

17

argomentazioni.

e

quelle ragioni fossero idonee a confutare le ragioni
specifiche poste a fondamento della decisione del
Tribunale; in altri termini, l’appellante con l’appello
non spiegava per quali ragioni le specifiche

dovessero essere condivise, limitandosi a considerare
tamquam non esset

la motivazione del Tribunale e a

chiedere alla Corte di Appello un nuovo giudizio e non
spiega ora, con il ricorso, perché il motivo di appello
fosse idoneo a dimostrare che la sentenza di primo
grado, avuto riguardo alla sua motivazione, dovesse
essere riformata.
6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce l’omessa e

contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza
degli atti di concorrenza sleale e al diritto al
diritto al risarcimento danni ex artt. 2598, 2599,
2600, 1226, 2043, 2056 c.c. e art. 6 bis R.D. 29/6/1939
n. 1127 sul presupposto della sussistenza degli
illeciti.
6.1 n motivo, privo del momento di sintesi

/

è infondato

e deve essere rigettato perché gli atti di concorrenza
sleale e il diritto al risarcimento del danno sono
stati esclusi dal giudice di primo grado e l’appello
relativo al rigetto di tale domanda è stato

18

I

motivazioni della sentenza non potessero o non

motivatamente ritenuto inammissibile dal giudice di
appello del merito per le ragioni già esposte.
7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con
la condanna della società ricorrente, in quanto

giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo a
favore di entrambe le società controricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società Coper
s.r.l. (già A.M.V. s.r.1.) a pagare alle società
controricorrenti le spese le spese di questo giudizio
di cassazione che liquida in euro 12.000,00 per
compensi oltre 200,00 euro per esborsi per ciascuna
società controricorrente.
Così deciso in Roma, addì 25/3/2014.

soccombente, al pagamento delle spese di questo

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