Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12799 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4967-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.V., D.I., D.L., in proprio e nella

qualità di rappresentanti legali della società P.D.

S.R.L., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA

262, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARSICO, rappresentati e

difesi dall’avvocato ALESSANDRA STASI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2670/2015 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

FOGGIA, depositata il 11/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. LIBERATO PAOLITTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 2670/2015, depositata in data 11 dicembre 2015, la Commissione tributaria regionale della Puglia ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate così integralmente confermando la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva accolto il ricorso dei contribuenti avverso un atto di diniego di rettifica della rendita catastale di immobile ubicato in (OMISSIS) ed iscritto in catasto alla categoria D/1 (quale opificio industriale);

1.1 – a fondamento del decisum il giudice del gravame ha rilevato che:

– la dichiarazione catastale, – in quanto ad efficacia illimitata nel tempo ed inserita in un procedimento di natura accertativa, – doveva ritenersi emendabile in relazione agli errori commessi dal contribuente e che avevano determinato l’attribuzione di una rendita catastale non veritiera;

– nella fattispecie l’erroneità della rendita proposta, ed assegnata, si correlava, da un lato, alla stima comparativa con “altre sette unità… aventi lo stesso classamento e caratteristiche similari di opificio industriale” e, dall’altro, alla misura del saggio di fruttuosità del capitale, saggio che era stato arbitrariamente applicato nella misura del 4,5% (piuttosto che del 2%);

2. – l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;

– D.I., D.L., e D.V., in proprio e quali legali rappresentanti della P.D., S.r.l., resistono con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, combinato disposto di cui agli artt. 2, 19 e 21, deducendo, in sintesi, che, per un verso, il diniego opposto alla richiesta di rettifica non poteva annoverarsi tra gli atti impugnabili davanti al giudice tributario e, per il restante, che, ad ogni modo, il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare l’inammissibilità (per tardività) del ricorso proposto avverso l’atto di classamento;

– il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e della L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2, sul rilievo che, – secondo gli stessi dicta di legittimità in tema di autotutela, – il diniego espresso dall’Ufficio era impugnabile (solo) per vizi propri (di legittimità), non anche in relazione alla fondatezza della pretesa tributaria (qual correlata al definitivo classamento dell’unità immobiliare), posto, poi, che la richiesta di rettifica “non era circostanziata” in ordine agli “errori commessi dall’ufficio in sede di applicazione dei principi dell’estimo”;

– col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 3 e 20, e del D.M. n. 701 del 1994, art. 1, deducendo che la richiesta di rettifica della rendita catastale avrebbe dovuto esser presentata nella forma della denuncia di variazione secondo la procedura Docfa “atta a valorizzare tutte quelle condizioni mutate e non più rispondenti alle esigenze attuali”;

2. – i tre motivi di ricorso, – che vanno congiuntamente trattati in quanto afferiscono alla medesima quaestio iuris che ne costituisce il fondamento implicativo, – sono destituiti di fondamento;

3. – le censure della ricorrente, difatti, si pongono in contrasto con l’univoco orientamento interpretativo della Corte, alla cui stregua:

– la dichiarazione catastale (R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 3 e 20; D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 56; D.M. 19 aprile 1994, n. 701, art. 1), non ha natura di atto negoziale e dispositivo ma reca una mera dichiarazione di scienza e di giudizio che costituisce l’atto iniziale del procedimento amministrativo di classamento volto alla classificazione degli immobili ed alla determinazione delle relative rendite catastali, procedimento, questo, di tipo accertativo, in quanto volto “a far chiarezza sul valore economico del bene in vista di una congrua tassazione secondo le diverse leggi di imposta”;

– la rendita catastale, – che non ha mai efficacia costitutiva diretta di alcuna obbligazione fiscale ma solo una efficacia riflessa, ai fini delle imposte sul reddito complessivo, sia ai fini delle imposte sul patrimonio immobiliare sia ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti immobiliari, – non forma oggetto di una dichiarazione annuale del contribuente e non esaurisce la propria efficacia con riguardo ad una singola annualità d’imposta, avendo – al contrario efficacia pluriennale escludente in radice qualsiasi ipotesi di definitività o irrevocabilità, così che, – avendo la rendita catastale efficacia illimitata nel tempo, – altrettanto illimitata deve essere la facoltà del contribuente di presentare istanze di variazione, di rettifica, di correzione;

– così come, allora, l’ufficio, senza conseguenze caducatorie sui suoi poteri accertativi, può intervenire – anche trascorso l’anno di comporto (D.M. n. 701 del 1994), – a rettificare la rendita proposta dal contribuente non si vede perchè a quest’ultimo – avvedutosi dell’errore dichiarativo – debba rimaner impedito di correggere le proprie omissioni ripristinando l’esatto valore secondo il reddito effettivamente retraibile;

– qualora affetta da errore del contribuente, quindi, la dichiarazione catastale è sempre emendabile e ritrattabile, posto, poi, che se la dichiarazione catastale risultasse insuscettibile di correzioni nel corso del tempo finirebbe per cristallizzare una imposizione falsata nei suoi presupposti in contrasto con il principio della capacità contributiva garantito dall’art. 53 Cost., (v., sul principio di capacità contributiva in materia catastale, anche Corte Cost., 1 dicembre 2017, n. 249);

– se, quindi, al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di modificare, senza alcun limite temporale, la rendita proposta all’UTE, quando la situazione di fatto o di diritto, oggetto di dichiarazione, non sia veritiera, non viene (qui) in considerazione il potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria che (così come nel diritto amministrativo generale) costituisce “un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente”, così che “Il privato può naturalmente sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi, ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso” (così Corte Cost., 13 luglio 2017, n. 181; v, altresì, Cass., 30 dicembre 2019, n. 34594);

– gli atti catastali sono, tra quelli impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, gli atti assoggettati alla più ampia libertà di forma, non avendo il legislatore definito il nome od il tipo dell’atto nei cui confronti il contribuente è ammesso a proporre ricorso e limitandosi a rinviare alle operazioni catastali ricomprese nella giurisdizione tributaria, cioè a tutti gli atti ad esse operazioni afferenti senza distinguo di sorta, così che l’atto di diniego di rettifica della rendita catastale deve senz’altro ascriversi alle Disp. di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, e art. 19, comma 1, lett. f), posto che ha per oggetto una delle operazioni catastali menzionate nell’art. 2, e, in particolare, l’attribuzione della rendita catastale all’immobile posseduto (v. sul tutto, ex plurimis, Cass., 15 luglio 2008, n. 19379 cui adde Cass., 13 febbraio 2015, n. 3001; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2995; Cass., 30 giugno 2011, n. 14383; Cass., 11 aprile 2011, n. 8165);

3.1 – va, del resto, rimarcato, che, – una volta che l’amministrazione abbia provveduto (così come nella fattispecie) sulla richiesta di variazione della rendita catastale, – sinanche con riferimento alle categorie di atti tipici (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19), la Corte ha posto il principio di diritto secondo il quale, al fine della loro impugnabilità, deve aversi riguardo agli effetti giuridici che l’atto concretamente produce nella sfera giuridica del contribuente, quali effetti astrattamente suscettibili a fondare l’interesse del contribuente all’impugnazione ex art. 100 c.p.c., trovando giustificazione l’applicazione dei criteri di interpretazione estensiva ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco di cui al citato art. 19, tanto nell’esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede un’immediata definizione delle potenziali controversie) quanto nei principi costituzionali di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), e di effettività del diritto di difesa del cittadino (art. 24 Cost.; v., ex plurimis, Cass., 23 marzo 2016, n. 5723; Cass., 1 luglio 2015, n. 13548; Cass., 11 febbraio 2015, n. 2616; Cass., 6 novembre 2013, n. 24916; Cass., 5 ottobre 2012, n. 17010; Cass., 15 giugno 2010, n. 14373; Cass., 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., 15 maggio 2008, n. 12194);

4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, e distratte in favore del costituito difensore antistatario, seguono la soccombenza dell’Agenzia ricorrente nei cui confronti non sussistono, però, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, Cass., 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.500,00, oltre rimborso spese generali di difesa ed oneri accessori, come per legge, con distrazione in favore del difensore antistatario costituito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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