Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12799 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 25/05/2010, (ud. 28/04/2010, dep. 25/05/2010), n.12799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

FONDAZIONE DI RELIGIONE E DI CULTO CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VERONA 9, presso lo studio

dell’avvocato GRANOZIO ROMANO, rappresentata e difesa dall’avvocato

FINI LAZZARINO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

82, presso lo studio dell’avvocato GUELI ADALBERTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato VECCIA VITTORIO, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 933/2008 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

13.5.08, depositata il 29/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. D’AGOSTINO GIANCARLO;

udito per la ricorrente l’Avvocato Lazzarino Fini che si riporta ai

motivi del ricorso;

udito per la controricorrente l’Avvocato Vittorio Veccia che si

riporta ai motivi del controricorso;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. FINOCCHI GHERSI RENATO che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

la Corte di Appello di Lecce, quale giudice cui la causa era stata rinviata da Cassazione n. 13435/2006, con sentenza n. 933 del 29.5.2008, accogliendo l’appello proposto dalla R. contro la sentenza del Tribunale di Foggia, ha dichiarato la natura subordinata ed a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti a decorrere dal 13.6.1997, nonchè il diritto dell’appellante alla sua prosecuzione, ed ha condannato la Fondazione al risarcimento del danno rapportato alle retribuzioni che l’appellante avrebbe maturato a decorrere dal 28.10.2000, oltre rivalutazione e interessi.

Avverso detta sentenza la Fondazione ha proposto ricorso per Cassazione con quattro motivi con i quali ha denunciato:

a) violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e art. 112 c.p.c.;

b) violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 e art. 112 c.p.c. nonchè omessa ed insufficiente motivazione;

c) violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 della L. n. 300 del 1970, art. 18, dell’art 1270 c.c. nonchè omessa ed insufficiente motivazione;

d) violazione degli artt. 410 e 412 c.p.c..

A conclusione di ciascun motivo la ricorrente ha formulato i seguenti quesiti:

1) accertare se, sulla base della corretta applicazione dell’art. 112 c.p.c., sia possibile riconoscere al lavoratore un risarcimento dei danni mai richiesti;

2) accertare se sulla base della corretta applicazione dell’art. 112 c.p.c., un giudice possa o meno vagliare soltanto gli elementi di prova addotti da una sola delle parti, senza preoccuparsi di vagliare anche gli elementi di prova addotti dall’altra parte facente parte del giudizio;

3) accertare se, sulla base della corretta applicazione dell’art. 1217 c.c. sia possibile ritenere implicita l’offerta della propria prestazione lavorativa, negli atti prodromici e processuali di una impugnativa generica di un licenziamento;

4) accertare se, sulla base di una contestazione generica di una disdetta di contratto a termine, sia possibile riconoscere al lavoratore, in modo esplicito, altri diritti quale il risarcimento dei danni.

L’intimata ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Osserva la Corte che il presente ricorso per Cassazione è regolato dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile a tutti i ricorsi avverso sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006, come disposto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2. Il citato art. 366 bis c.p.c. è stato abrogato dal D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 47 ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per Cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009 (D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 58).

Al riguardo si ricorda che le Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 20360/2007, confermata dalla successiva giurisprudenza di legittimità, hanno affermato il seguente principio : “Il principio di diritto che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta negativa o affermativa che ad essa si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame (Sez. Un. 20360/2007), restando escluso che il quesito possa essere desunto dal contenuto del motivo (Sez. Un. 6420/2008).

E’ stato inoltre ritenuto inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. n. 19769/2008, n. 19892/2007).

Questa Corte ha anche ritenuto che quando si denuncia con uno stesso motivo la violazione di norme di legge e vizi di motivazione, non soddisfa i requisiti richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., la formulazione del solo quesito di diritto, dovendo al contempo il ricorrente esporre la conclusiva illustrazione della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (vedi Sez. Un. 20603/2007), considerato che anche la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, non può essere desunta dal contenuto dei motivi o integrato dai medesimi motivi, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Sez. Un. 6420/2008).

Osserva il Collegio che i quesiti di diritto formulati dalla ricorrente non rispondono ai suddetti requisiti in quanto non compendiano:

a) la riassuntiva esposizione del fatto sottoposto al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare, limitandosi a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno violazione di una determinata disposizione di legge (Cass. n. 19769/2008, n. 19892/2007);

d) la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria.

Per le considerazioni sopra svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, con distrazione in favore dell’avv. Vittorio Veccia che si è dichiarato antistatario.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro trenta/00 per esborsi ed in Euro duemila/00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA, con distrazione in favore dell’avv. Vittorio Veccia.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

 

 

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