Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12799 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27557-2019 proposto da:

F.V., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e

difeso dall’avvocato RAFFAELE TOMMASINI;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI

SETTEMBRINI N. 38, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARIA

MATTIOLI, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO LA VALLE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 959/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza definitiva n. 1562/2013 il Tribunale di Messina, all’esito di sentenza parziale n. 1953/2007 di dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio tra F.V. e M.A., dato atto del raggiungimento della maggiore età del figlio G., disponeva l’affido condiviso della figlia minore A. con domiciliazione presso la madre, disciplinando la frequentazione con il padre, assegnava alla M. la casa coniugale, poneva a carico del F. il contributo di mantenimento per i figli dell’importo di Euro 6.000 per ciascuno, di cui Euro 3.000 direttamente al figlio G., poneva a carico del F. le spese straordinarie nell’interesse della prole e l’assegno divorzile in favore della M. di Euro 6.000 mensili.

2. Con sentenza n. 959/2018 depositata il 23-10-2018 la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha revocato l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie, dando atto che detta casa era stata lasciata dalla stessa, ed ha disposto che l’assegno di mantenimento dei figli fosse ad essi direttamente versato, come concordato tra le parti sul punto, rigettando nel resto, per quanto ancora di interesse, l’appello principale del F. diretto ad ottenere la riduzione del contributo di mantenimento per la prole a Euro 3.500 per ciascun figlio, così quantificata la chiesta riduzione nelle note conclusive, nonchè la revoca dell’assegno divorzile per avere l’ex moglie intrapreso stabile convivenza con altro uomo, così modificata, nelle note conclusive, l’iniziale pretesa, svolta nell’atto di appello, di riduzione dell’assegno divorzile a Euro 2.500.

3. Avverso la citata sentenza F.V. propone ricorso affidato a due motivi, resistito con controricorso da M.A.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

4. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, e art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale, in relazione alla debenza e quantificazione dell’assegno divorzile, del tutto omesso la valutazione: a) del mancato apporto della M. alla vita familiare, sia sotto il profilo economico che assistenziale; b) delle cause dello squilibrio reddituale, non riconducibile alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari assunti dagli ex coniugi; c) del consistente patrimonio immobiliare posseduto dalla M.; d) del possesso di redditi propri della ex moglie, mai menzionati in sentenza, e del possesso di rilevanti liquidità in capo alla stessa, le cui fonti assume essere state documentate in atti; e) delle capacità e delle possibilità effettive di lavoro personale della M., che, a suo avviso, non si era mai fatta carico di alcun impegno all’interno della famiglia che avesse potuto sviare e/o limitare lo sviluppo di un percorso professionale-reddituale; f) della creazione di un nuovo nucleo familiare da parte del ricorrente, con la nascita di due figlie dalla nuova coppia, che aveva, di fatto, dimezzato la sua disponibilità economica; g) di dati oggettivi quali i consistenti debiti con il fisco e le esposizioni bancarie del ricorrente, che deduce siano documentate in atti; h) della erroneità della valutazione del suo reddito lordo, posto che la valutazione relativa alla ponderazione dei criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile deve essere operata sul reddito disponibile e non sul reddito lordo (così testualmente la sintesi del primo motivo pag. n. 2 ricorso).

4.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, quanto alla misura dell’assegno di mantenimento dei figli, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, degli artt. 147, 148 e 316 bis c.c. e dell’art. 2697c.c. e dell’art. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale fondato il proprio convincimento in merito alla disparità reddituale tra i coniugi su circostanze di fatto erronee e smentite dagli atti prodotti. In particolare ribadisce che la Corte d’appello ha effettuato la comparazione con il reddito “lordo” percepito dal ricorrente, in luogo di quello netto, senza considerare la “posta passiva” costituita dagli esborsi che sostiene per il mantenimento della prole e dell’assegno divorzile, pari complessivi pari a Euro 18.000,00 mensili. Inoltre, ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello ha omesso di considerare l’incidenza del suo nuovo nucleo familiare (nuova moglie e altri due figli), i dati oggettivi quali i consistenti suoi debiti con il fisco e le sue esposizioni bancarie, nonchè ha escluso l’obbligo, anche in capo alla madre, di contribuire al mantenimento dei figli G. ed A..

5. In via pregiudiziale, occorre ribadire che, secondo il costante orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, “Nel giudizio di cassazione la proposta di trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. non riveste carattere decisorio e non deve essere motivata, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per quest’ultimo, all’esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o di non condividerla, con conseguente rinvio alla pubblica udienza della sezione semplice, in base all’art. 391 bis c.p.c., comma 4” (tra le tante da ultimo Cass. n. 2720/2020). L’art. 380-bis c.p.c., come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis (conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016), non prevede che la proposta del relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell’individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto (così Cass. n. 4541/2017).

5.1. Alla stregua dei suesposti principi, sono privi di fondamento i rilievi di “ermeticità” della proposta del relatore e di violazione del diritto di difesa svolti nella memoria illustrativa dal ricorrente, il quale, peraltro, nel suddetto atto difensivo non solo ha puntualmente argomentato in ordine alle indicazioni di cui alla proposta, così dimostrando di averle ben comprese, ma ha anche individuato i segnalati temi di discussione, che ha illustrato focalizzando la disamina sulle questioni di diritto di rilevanza nella specie.

6. Passando all’esame delle censure, il primo motivo, avente ad oggetto il riconoscimento dell’assegno divorzile, è in parte infondato e in parte inammissibile.

6.1. Secondo il più recente e innovativo orientamento di questa Corte, consolidatosi a seguito della pronuncia n. 18287/2019 delle Sezioni Unite di questa Corte, citata nella sentenza impugnata, la sproporzione economica di non modesta entità tra le situazioni patrimoniali complessive degli ex coniugi si configura come prerequisito fattuale e non è più il fattore primario per l’attribuzione dell’assegno divorzile (cfr. Cass.n. 32398/2019). La rilevanza dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente va accertata considerando che l’assegno è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti – assistenziale, perequativa e compensativa-, alla pregressa storia coniugale e familiare, senza che sia consentito travalicare nell’indebita locupletazione ai danni dell’altro coniuge. In quest’ottica, deve valutarsi il contributo di ciascuno degli ex coniugi alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali eventualmente sacrificate.

6.2. Nel caso di specie, la Corte di merito si è attenuta ai suddetti principi, motivando in modo adeguato (Cass. S.U. n. 8053/2014) il proprio convincimento ed esaminando compiutamente i fatti storici di rilevanza, dal che consegue l’infondatezza delle censure nella parte in cui si lamenta la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e il vizio di omesso esame di fatti decisivi.

Occorre premettere che la Corte d’appello ha affermato, con statuizione non specificamente censurata in ricorso, che “l’essenza del gravame resta circoscritta alla misura dell’emolumento” (pag. n. 8 sentenza impugnata), rilevando che il F. aveva chiesto nelle note conclusive del 31-3-2015 la revoca dell’assegno divorzile per avere l’ex moglie intrapreso una stabile convivenza con un altro uomo e che non era stata fornita la prova di tale circostanza, nonostante l’ammissione delle richieste istruttorie articolate dall’appellante.

Ciò posto, la Corte territoriale ha accertato la notevole disparità economico-patrimoniale delle parti, che risulta palese anche in base alle allegazioni di cui al ricorso relative al reddito della M. (a titolo esemplificativo il reddito di quest’ultima per l’anno 2009 è pari all’importo lordo di Euro140.551, comprensivo dell’importo complessivo versato nello stesso anno dall’ex marito per l’assegno divorzile – cfr. pag. nn. 10 e 11 ricorso -, a fronte del reddito lordo per lo stesso anno del F. di Euro 677.501 – cfr. pag. 5 sentenza). La Corte palermitana ha dato atto della mancanza di documentazione fiscale utile riferibile al ricorrente per gli anni 2014 e 2015 e per i successivi, ha considerato il suo reddito lordo solo al fine di verificare se vi fosse o meno la dedotta riduzione del suo reddito (pag. 5 sentenza) ed ha ritenuto, da un lato, che le potenzialità economiche del F. fossero di gran lunga maggiori di quelle risultanti dalle delibere societarie, e ciò in base alle risultanze della C.T.P. prodotta dallo stesso F., e, dall’altro lato, che le delibere dirette a dimostrare i compensi a lui spettanti, asseritamente ridotti a causa della crisi economica, non avessero valenza probatoria perchè prive di firma, considerando irrilevante anche la costituzione di un nucleo familiare da parte dell’ex marito in ragione della sua situazione patrimoniale particolarmente florida.

La Corte di merito ha, di seguito, ritenuto, con motivazione adeguata, sussistente il nesso causale tra la sproporzione economico-patrimoniale delle parti e il contributo prestato dall’ex moglie, che, pur laureata in lingue e letteratura straniera (cfr. pag. n. 4 ricorso), non aveva svolto una propria autonoma attività per ragioni legate alle dinamiche familiari, rimarcando che l’ex marito, facoltosissimo imprenditore, aveva “inserito la moglie, ancora priva di autonoma occupazione, nelle società di famiglia, per cui, cessate le cariche sociali, sono venuti meno anche gli emolumenti che da esse derivavano alla M.” (pag. 10 sentenza). La Corte d’appello ha, infine, tenuto conto, quale causa di mitigazione dello squilibrio economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, del fatto che la situazione così florida del F. fosse “sostanzialmente” derivata dalla sua famiglia di origine, ritenendo, anche per tale motivo, congrua la determinazione dell’assegno di divorzio in Euro 6.000 mensili, considerati conglobati in detto importo i benefit riconosciuti alla M. in sede di separazione e di seguito elisi.

6.3. Il percorso motivazionale appena sintetizzato si è, dunque, sviluppato facendo corretta applicazione del nuovo orientamento di cui si è detto sulla base di accertamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità, al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non ricorrenti nella specie. L’omesso esame di elementi istruttori (in tesi, principalmente, le dichiarazioni dei redditi dell’ex moglie e le esposizioni debitorie del ricorrente) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa (nella specie la disparità economico-patrimoniale tra le parti e il contributo dell’ex moglie nelle dinamiche familiari), siano stati presi in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 27415 del 2018).

6.4. Neppure può valorizzarsi nel senso diffusamente rimarcato dal ricorrente nella memoria illustrativa il passaggio motivazionale della sentenza impugnata in cui si afferma che “nella situazione de qua, nella quale la finalità assistenziale è minima, sarà la funzione perequativa ad incidere sulla sua quantificazione”. Per un verso, la frase è espressamente riferita alla fase decisoria inerente alla quantificazione dell’assegno, necessariamente rapportata alle circostanze del caso specifico e funzionale al riconoscimento in favore dell’ex coniuge richiedente di un livello reddituale in concreto adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate e della situazione di squilibrio che ne deriva quando il vincolo matrimoniale si scioglie; per altro verso, anche la finalità perequativo-compensativa discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà ed è compito del Giudice di merito apprezzarne e modularne la rilevanza nel caso concreto in combinazione con quella assistenziale (cfr. Cass. n. 18681/2020; Cass. n. 24934/2019; Cass. n. 10084/2019, in ipotesi in cui è stata attribuita alla funzione assistenziale una rilevanza prevalente, a determinate condizioni).

6.5. Sono infondate anche le censure riferite alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 18092/2020 e Cass. n. 1229/2019), il che non è nella specie.

6.6. Sono inammissibili le doglianze nella parte in cui si risolvono in una critica alla valutazione delle risultanze istruttorie (sulla consistenza della disparità tra le situazioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, sul contributo dell’ex moglie alla vita matrimoniale e sul sacrificio delle sue aspettative professionali) ed in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito, riportando il F. nel ricorso una serie di elementi fattuali, di richiami alla C.T.U. e di rilievi involgenti la valutazione probatoria (cfr. da pag. 10 a pag. 13 del ricorso).

Con le suddette censure, prospettate sub specie del vizio di violazione di legge, è allegata un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge, poichè il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054/2017; Cass., Sez. U., n. 34476/2019).

7. Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

7.1. La censura è inammissibile nella parte in cui il ricorrente lamenta che il contributo di mantenimento per i figli debba porsi anche a carico dell’ex moglie.

In disparte il rilievo della sostanziale mancata illustrazione della doglianza, espressa, nell’ultima frase del ricorso (pag. 19), solo con il mero riferimento alle norme asseritamente violate e al “cospicuo patrimonio” e ai “rilevanti redditi” di cui si assume titolare la M., nella motivazione della sentenza d’appello non si fa cenno a domanda del F. di concorso dell’altro coniuge al mantenimento dei figli oppure di ripartizione tra i coniugi del relativo assegno, nè vi è, ovviamente, statuizione alcuna al riguardo. A ciò si aggiunga che lo stesso ricorrente, nell’esposizione dello svolgimento del giudizio d’appello, afferma di aver chiesto solo la riduzione degli assegni di mantenimento per i figli, non anche l’attribuzione di parte del suddetto mantenimento alla madre, sicchè trattasi di domanda nuova, non formulata nel giudizio di merito, la cui proposizione è all’evidenza preclusa in sede di giudizio di legittimità (Cass. n. 15196/2018).

7.2. La censura è inammissibile anche nella parte in cui riguarda la pretesa di riduzione dell’assegno di mantenimento per i figli in relazione al periodo successivo alla data della sentenza impugnata, che ha disposto il versamento diretto ai figli maggiorenni, non più conviventi con la madre, del suddetto assegno. Per effetto di detta statuizione, è, infatti, venuta meno l’autonoma legittimazione iure proprio della madre, già affidataria, che è destinata a permanere, di norma, fino a quando perdura la convivenza con il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e la madre riceve dall’altro genitore il contributo per il figlio con cui vive (cfr. Cass.n. 18869/2014) e che, nella specie, per il periodo de quo, non sussiste più in capo alla madre, ai sensi dell’art. 337 septies c.c., essendo detta legittimazione divenuta incompatibile con il diritto dei figli non più con lei conviventi al versamento diretto in loro favore dell’assegno di mantenimento da parte del padre.

7.3. E’ in parte infondata e in parte inammissibile la doglianza concernente la richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento per i due figli (da Euro6.000 a Euro3.500 per ciascuno) in relazione al periodo anteriore alla data della sentenza impugnata, durante il quale alla madre era versato dal padre detto assegno (invero solo in parte per il primo figlio), sussistendo, in allora, la legittimazione autonoma iure proprio della M. ad azionare detta pretesa, in base al richiamato orientamento di questa Corte.

Il ricorrente si duole, in buona sostanza, dell’insostenibilità degli esborsi posti a suo carico, riproponendo le censure sulla soprastima della propria situazione economico-patrimoniale svolte con il primo motivo e sull’errata considerazione degli effetti conseguenti alla formazione, da parte sua, di un nuovo nucleo familiare, al quale assume di non poter destinare risorse economiche congrue.

La denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non ricorre, in base alle considerazioni espresse nel p. 6.5., da intendersi integralmente richiamate.

Neppure è fondata la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo in dettaglio la Corte di merito scrutinato i dati fattuali di rilevanza e compiutamente argomentato il convincimento espresso. Inoltre, come già precisato, l’omesso esame di elementi istruttori (in tesi, principalmente, le esposizioni debitorie del ricorrente) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa (nella specie l’insussistenza della lamentata contrazione reddituale in capo al ricorrente, la sua piena capacità economica idonea ad assicurare ai figli il mantenimento del pregresso elevatissimo tenore di vita e l’ininfluenza, a tale riguardo, della costituzione di un nuovo nucleo familiare), siano stati presi in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 27415 del 2018).

Sono inammissibili tutti gli altri profili di censura, richiamate le considerazioni espresse nel p. 6.6, risolvendosi le doglianze in una critica alla valutazione delle risultanze istruttorie (sulla consistenza del suo patrimonio e sull’incidenza del nuovo nucleo familiare) ed in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito, riportando il F. nel ricorso una serie di elementi fattuali e di rilievi involgenti la valutazione probatoria (cfr. da pag. 17 a pag. 19 del ricorso), nonchè allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge.

8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 7.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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