Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12798 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 26/06/2020), n.12798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 245-2012 proposto da:

C.L., C.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BENACO 5, presso lo urlio dell’avvocato MARIA CHIARA MORABITO,

rappresentati e difesi dall’avvocato UMBERTO SANTI giusta delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

DIREZIONE PROVINCIALE AGENZIA DELLE ENTRATE DI (OMISSIS);

– intimata –

sul ricorso 10076-2016 proposto da:

C.F., C.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BENACO 5, presso lo studio dell’avvocato MARIA CHIARA MORABITO,

rappresentati e difesi dall’avvocato UMBERTO SANTI giusta delega a

margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI (OMISSIS);

– intimata –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 49/2011 depositata il 15/03/2011 e avverso la

sentenza n. 1581/2015 depositata il 21/10/2015 della COMM. TRIB.

REG, di VENEZIA;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2020 dal Consigliere Dota. MILENA BALSAMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

STANISLAO MATTEIS che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito per i ricorrenti l’Avvocato SANTI che si riporta agli atti;

udito per r.g. 245/2012 controricorrente l’Avvocato TIDORE che si

riporta agli atti.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 49/22/2011, depositata il 15 marzo 2011 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto respingeva l’appello proposto da C.L. e C.F. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Padova, affermando la congruità della motivazione dell’atto impositivo (avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro e successiva cartella di pagamento notificata al solo C.L.) sul presupposto che, a tal fine, era sufficiente l’indicazione del criterio astratto, sulla base del quale era stato rideterminato il maggior valore del bene immobile; il che rendeva legittimo il ricorso alla consulenza di ufficio, avendo il giudice tributario ampi poteri istruttori anche sostitutivi al fine di acquisire aliunde gli elementi di decisione, anche prescindendo dall’accertamento dell’ufficio e dall’eventuale difetto di prova del suo assunto.

In particolare, la CTR del Veneto – fondandosi sulle conclusioni della consulenza tecnica di ufficio – stimava il terreno permutato inserito nel PRG in zona edificabile, in Euro 603.000, per ciascuno dei contribuenti. C.L. e C.F. ricorrono sulla base di nove motivi per la cassazione della sentenza citata.

L’agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Successivamente alla pubblicazione della sentenza n. 49/22/2011, l’Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione dell’imposta calcolata sulla base imponibile rettificata (pari a Euro 603.000 ciascuno) dalla C.T.R. del Veneto con sentenza n. 49/2011 – e irrogazione delle sanzioni per insufficiente dichiarazione di valore; atto che veniva opposto dai contribuenti sul presupposto della illegittimità parziale delle sanzioni applicate che andavano a colpire anche il recupero di imposta non derivante dalla correzione dell’insufficiente dichiarazione di valore, dovendo le sanzioni essere calcolate sul recupero dell’imponibile e non già sul recupero dell’aliquota ordinaria. In particolare, sostenevano i ricorrenti Cullo che le maggiori imposte erano state calcolate sia in base al mutamento dell’imponibile a causa del maggior valore dovuto alla natura edificabile dei terreni – questione sottoposta alla Corte dinanzi alla quale è stata impugnata la sentenza delle CTR del Veneto n. 49/22/11 – sia sulla scorta del mutamento dell’aliquota applicata al momento della tassazione dell’atto (al quale era stata applicata l’aliquota dell’1% per la piccola proprietà contadina -PPC), argomentando che la legittimità dell’applicazione delle sanzioni relative al mutamento dell’imponibile erano sub iudice, mentre le altre, concernenti la ripresa per l’applicazione di una maggiore aliquota, non erano dovute, in quanto la revoca delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina non comporta l’irrogazione di sanzioni.

I giudici di primo grado prima e la CTR del Veneto poi – quest’ultima con sentenza n. 1581/25/15 – respingevano le eccezioni svolte dai contribuenti, affermando la legittimità delle sanzioni applicate dall’ufficio con il secondo avviso.

I contribuenti propongono ricorso per cassazione avverso la predetta decisione dei giudici di appello, svolgendo tre motivi, illustrati nelle memorie difensive.

L’ufficio ha depositato nota con la quale dichiara di voler pirtecipare all’udienza pubblica.

Il P.G. ha concluso per il rigetto dei ricorsi di entrambi i giudizi.

Diritto

ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI DIRITTO

2. I ricorsi, seppur relativi a sentenze diverse, riguardano l’impugnazione di due avvisi di rettifica e liquidazione avente ad oggetto la rideterminazione del valore dell’imponibile sulla base della natura edificabile dellè aree oggetto della permuta e le conseguenti sanzioni; più precisamente il primo ricorso ha ad oggetto la sentenza n. 49/11/12 che, nel respingere l’appello dei contribuenti, ha confermato la decisione di primo grado che aveva quantificato il valore dei fondi in Euro 1.206.000,00, come da c.t.u. disposta durante il giudizio, annullando la cartella notificata nei confronti di C.F. e ordinando l’emissione di altra cartella di pagamento sulla base del valore così rideterminato.

Il secondo ricorso ha ad oggetto la sentenza n. 1581/25/2015, relativa all’avviso di liquidazione emesso a seguito di detta precedente decisione della CTR, rispetto al quale i contribuenti versavano le imposte, gli interessi e le sanzioni che ritenevano dovute, impugnando l’atto impositivo per le sanzioni calcolate in base al maggior imponibile conseguente alla differenza tra l’aliquota agevolata e quella ordinaria applicata dall’Ufficio.

Alla luce della evidente connessione tra le cause, si dispone la riunione ex art. 274 c.p.c., dei ricorsi nn. 245/2012 e n. 10076/2016 sotto il numero più antico di ruolo, in base al principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre che nei casi espressamente previsti, anche ove ravvisi in concreto – come nella specie appare del tutto evidente – elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass. Sez. un., n. 18050 del 2010; Cass. n. 201514/2016; Cass. n. 8766/2017).

3. Con le prinie due censure del ricorso n. 245/2012, i ricorrenti lamentano violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 112 e 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, eccependo l’illegittimità della consulenza di ufficio disposta in assenza di prove prodotte o indicate dalla parte sulla quale gravava il relativo onere probatorio; deducono, in particolare, che la CTR ha deciso erroneamente il processo secondo il principio inquisitorio – e non secondo quello dispositivo che regola il processo civile e che trova applicazione anche al processo tributario – avendo acquisito di ufficio le prove in forza dei poteri istruttori riconosciuti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, i quali, invece, sono meramente integrativi dell’onere probatorio principale.

In tal modo violando il principio dell’onere della prova la cui ripartizione tra le parti deve modellarsi sulla struttura del rapporto giuridico formalizzato nel provvedimento impositivo. Onere che, secondo l’assunto dei ricorrenti, grava sull’amministrazione finanziaria in qualità di attrice sostanziale e che si trasferisce sul contribuente solo allorquando l’ufficio abbia fornito indizi sufficienti per affermare l’esistenza dell’obbligazione tributaria, con la conseguenza che è precluso al giudice di sopperire alle carenze istruttorie sovvertendo i relativi oneri probatori nel processo a connotato sostanzialmente dispositivo, incorrendo altrimenti il decidente in un error in procedendo.

4. Il terzo ed il quarto motivo recano denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, di violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., sul rilievo che i giudici regionali avevano respinto il ricorso nonostante l’assenza di elementi per dimostrare la maggiore base imponibile ai fini dell’imposta di registro, reiterando le precedenti argomentazioni poste a fondamento del primo articolato motivo.

5. Con la quinta censura, che prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., nonchè la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, i ricorrenti si dolgono dell’omessa pronuncia della CTR in ordine all’istanza (proposta a pagina 8 del ricorso introduttivo e reiterata alla pagina 5 dell’atto di appello) di acquisire le prove dei fatti addotti dall’ufficio a base della rettifica del valore dei fondi.

6. Con il sesto mezzo, si denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 97 Cost., per la carente produzione in giudizio degli atti posti a base della rettifica.

7. Con la settima censura, che lamenta la violazione dell’art. 197 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti deducono l’illegittimità dell’audizione del perito in assenza delle parti.

8. Con l’ottava censura si lamenta l’omessa pronuncia sulla non debenza delle sanzioni per obiettivi condizioni di incertezza ex art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

9. Con la nona censura sì ribadisce la non debenza delle sanzioni applicate anche alla luce dell’entrata in vigore della legge interpretativa emessa dopo tre anni la stipula del rogito e quindi la violazione dello statuto del contribuente, art. 10, ex art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo i contribuenti che solo con la L. n. 248 del 2005, è stato introdotto l’art. 11 quaterdecies, comma 16, che stabilisce in via interpretativa che “ai fini ICI si interpreta nel senso che un’area è da considerarsi fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

10. Con l’unico motivo del ricorso n. 10076/2016, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 71, sostenendo che per la ripresa che deriva dall’applicazione dell’aliquota dell’11% in luogo di quella dell’1% applicata in sede di tassazione principale al momento della registrazione, non sono dovute le sanzioni, trattandosi di una implicita revoca delle agevolazioni PPC, giacchè l’art. 71 cit., sanziona l’insufficiente dichiarazione di valore non già l’insufficiente dichiarazione di aliquota. Sostengono, altresì, i contribuenti che nella sentenza di primo grado confermata dalla CTR del Veneto con decisione n. 49/11/12, i giudici provinciali avevano stabilito il valore di Euro 552.000 per le aree agricole, con la conseguenza che sul 50% di detta somma deve applicarsi la tassazione per la PPC, vale a dire l’aliquota dell’1%, mentre sulle altre aree edificabili l’aliquota dell’11% (sull’imponibile complessivo di Euro 603.000,00), con consequenziale riduzione delle sanzioni.

11. Le prime due censure, che sono fra loro connesse e possono essere congiuntamente esaminate, sono destituite di fondamento.

I ricorrenti, muovendo dall’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata secondo cui “l’art. 7, prevede la possibilità per le Commissioni tributarie di disporre consulenza tecnica estimativa anche sostitutiva, avvalendosi dei larghi poteri istruttori ad esse attribuite e possono acquisire aliunde gli elementi di decisione, anche prescindendo dall’accertamento dell’Ufficio e dall’eventuale difetto di prova del suo assunto”, lamentano la violazione del principio secondo il quale il potere istruttorio delle Commissioni tributarie è meramente integrativo non potendo sostituirsi all’onere probatorio gravante sulle parti.

12. Ebbene, l’avviso di rettifica e liquidazione, che indica quali elementi “a fondamento del dedotto aumentato valore sia l’inserimento nel PRG del terreno sito in (OMISSIS) classificato in parte in zona (OMISSIS), in parte in zona (OMISSIS) ed in parte come zona di rispetto stradale, sia “la media dei prezzi praticati in loco per beni aventi medesime caratteristiche”, è corretto solo in parte.

Se, difatti, l’inserimento dell’area nella zona edificabile del PRG determina un aumento del valore di mercato degli immobili, la congruità del valore dichiarato va accertato secondo il combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, (Testo unico imposta di registro), art. 43, comma 1, lett. a), e art. 51, commi 1 e 2, che, per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, stabilisce che la base imponibile alla quale commisurare le imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale è rappresentata dal valore indicato in atto dalle parti. Tuttavia, se il valore non è indicato, ovvero se il corrispettivo pattuito risulta superiore, la base imponibile è pari a quest’ultimo. Successivamente, in sede di eventuale accertamento di valore, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate devono controllare la congruità del valore indicato in atto dalle parti, che deve riflettere il valore venale in comune commercio del bene compravenduto.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, detta le linee guida per il controllo sulla congruità dell’imposta per l’ufficio del registro, ora inglobato nell’ufficio delle Entrate.

L’articolo suddetto stabilisce che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, ai fini dell’eventuale rettifica, l’ufficio controlla il valore di cui al comma 1 (ovvero il valore indicato in atto dalle parti) avendo riguardo “ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonchè ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni” (del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3).

Ne consegue che l’accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate del “valore venale in comune commercio”, non può ritenersi assolto operando un generico quanto indefinito. riferimento al criterio comparativo, con un mero rinvio “alla media dei prezzi praticata in loco”, atteso che, diversamente, secondo il disposto di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 2, ai fini della determinazione della base imponibile di un contratto di compravendita immobiliare, si deve tenere conto, come chiarito, della natura, consistenza ed ubicazione dei beni in considerazione delle caratteristiche oggettive delle aree, tenuto conto della collocazione nello strumento urbanistico nonchè dello stato delle opere di urbanizzazione, avendo riguardo ai trasferimenti avvenuti non oltre tre anni prima che abbiano avuto per oggetto immobili con analoghe caratteristiche e condizioni (Cass. n. 21569/2016; n. 25707/2015).

13. Tuttavia, la parte della sentenza che ha ritenuto la idoneità della motivazione dell’atto impositivo non risulta attinta dalle censure formulate dai contribuenti.

14. Ciò posto, è principio consolidato della giurisprudenza di legittimità che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, proprio a seguito dell’abrogazione del comma 3, Che attribuiva “alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia” ovvero di disporreò ctu, interpretato alla luce del principio di terzietà sancito dall’art. 111 Cost., non consente al giudice di sopperire alle carenze istruttoriè delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma gli attribuisce solamente un potere istruttorio in funzione integrativa, e non integralmente sostitutiva, degli elementi di giudizio (Cass. n. 673 del 2007; e n. 955 del 2016; n. 16171/2018); potere integrativo, quello consentito al giudice di merito, che, come questa Corte ha chiarito (Cass. da ultimo citata) “può essere esercitato soltanto ove sussista un’obiettiva situazione di incertezza, al fine di integrare gli elementi di prova già forniti dalle parti e non anche nel caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (cfr. Cass. Civ., Sez. 5, n. 24464 del 17/11/2006; n. 14960 del 22/06/2010) e sempre che la parte su cui ricade l’onere della prova non abbia essa stessa la possibilità di integrare la prova già fornita ma questa risulti piuttosto ostacolata dall’essere i documenti in possesso dell’altra parte o di terzi (v. Cass. Civ., Sez. 5, n. 7078 del 24/03/2010; Sez. 5, n. 10970 del 14/05/2007)”.

15. Nella specie, l’Agenzia aveva indubbiamente fornito – a fondamento del prospettato maggior valore dei fondi solo taluni elementi di prova, desumibili dall’inserimento nel PRG di alcune aree oggetto della permuta in questione; nonostante ciò, i giudici di merito hanno disposto consulenza estimativa per accertare il valore in comune commercio dell’area di proprietà C..

Sennonchè, il dedotto vizio processuale derivante dall’illegittimo esercizio, da parte del giudice, del potere istruttorio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, (ora modificato dalla L. n. 203 del 2005), integra una nullità relativa che avrebbe dovuto, quindi, essere eccepito, nella prima udienza o nel primo atto difensivo utile, dalla parte, che non vi avesse rinunciato espressamente o tacitamente. Tale risulta essere stato, infatti, il comportamento processuale concludente dei ricorrenti che, in seguito all’ordinanza istruttoria emessa dalla CTP di Padova, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, e della conseguente ammissione di “c.t.u. estimativa”, anzichè eccepire tempestivamente la nullità dell’atto istruttorio, hanno inteso depositare memoria difensiva, con la quale hanno preso posizione sulle risultanze dell’elaborato peritale, accettando quindi il contraddittorio con la parte pubblica sul materiale probatorio acquisito e rinunciando, pertanto, per facta concludentia a far valere l’originario vizio di legittimità (Cass. nn 20972 e 14244 del 2015; Cass. n. 27851/2017).

16. Il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo che sono connessi tra loro e possono essere scrutinati congiuntamente, sono del pari da respingere.

La dedotta carenza degli elementi probatori a supporto del maggior valore commerciale degli immobili accertato dall’ufficio finanziario risulta superata dalla disposta consulenza tecnica di ufficio – la cui illegittimità non risulta essere stata eccepita nei termini sopra indicati – la quale ha determinato in Euro 1.206.000,00 (pari ad Euro 603.000 per la quota del 50%) il valore commerciale attribuito alle aree oggetto di permuta.

17. Anche la quinta censura è da respingere.

Con essa, lamentano i ricorrenti l’omessa pronuncia in ordine alla istanza di acquisizione degli elementi probatori su cui si sarebbe fondata la decisione della CTR del Veneto.

L’art. 112 c.p.c., dispone che il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti (Cass. n. 6642/2013).

E’ chiaro, pertanto, che la norma attiene esclusivamente alle domande attinenti al merito e non riguarda le istanze istruttorie, onde il mancato esame di un’istanza istruttoria non può integrare il dedotto vizio di omessa pronuncia.

Peraltro, il giudice tributario non è tenuto all’acquisizione d’ufficio delle prove, salvo la necessità di integrare l’onere probatorio allorquando alla parte interessata – in questo caso, l’ente finanziario su cui gravava l’onere probatorio del maggior valore commerciale dei beni immobili sia difficile o impossibile fornire le prove richieste; nè tantomeno il giudice tributario è tenuto a dare giustificazione, nella propria decisione, del mancato uso dell’utilizzo dei poteri istruttori.

Al giudice tributario d’appello non è consentito, peraltro, ordinare il deposito di documenti nella materiale disponibilità di una delle parti che non abbia tempestivamente assolto al proprio onere della prova, non potendosi considerare indispensabili, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, quelle prove che non siano state prodotte in giudizio per inadempienza (Cass. n. 16528/2018; n. 25464/2015).

18. Il settimo motivo risulta inammissibile per difetto di specificità.

I ricorrenti avevano l’onere di allegare sia quando sarebbe stata disposta l’audizione informale del c.t.u. – che non risulta dalla sentenza impugnata, bensì solo dalla pronuncia di primo grado (forse per un refuso) – sia l’avvenuta deduzione della eccezione nel giudizio di primo grado, e in quello di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente era stata formulata l’allegazione, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (n. 907/2018; Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 25319/2017; Cass. n. 11738/2017; Cass. n. 22880 /2017; Cass. n. 2771/2017; Cass. n. 9138/2016; Cass. n. 17041/2013).

Risulta, dunque, che i ricorrenti hanno sollevato per la prima volta nel presente giudizio di legittimità una questione che non risulta essere compresa nel tema del decidere del giudizio d’appello, così violando il principio per cui non sono prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. n. 194/2002; più di recente, v. Cass. n. 17041/2013; Cass. n. 25319/2017; Cass.n. 907/2018). –

Del resto, l’omesso rispetto del contraddittorio determina una nullità a carattere relativo soggetta al limite preclusivo di cui all’art. 157 c.p.c.; pertanto, nel caso di mancata partecipazione delle parti all’audizione del c.t.u. (di cui i ricorrenti avrebbero dovuto fornire la prova), tale nullità è sanata se non viene eccepita nella prima istanza o difesa, successiva al deposito (Cass. n. 21984/2018).

19. L’ottavo ed il nono motivo sono fondati relativamente alle sanzioni. “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuaziò nè delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente”. (vedi Cass. n. 15452 del 2018).

L’incertezza normativa oggettiva costituisce, dunque, ai sensi del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, una causa di esenzione dalla responsabilità amministrativa, del contribuente; il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni sussiste certamente, per quanto qui rileva, quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni di difficile coordinamento per l’equivocità del loro contenuto (cfr. Cass. civ. sez. 6-5 ord. 24 luglio 2013, n. 18031; Cass. civ. sez. 5 14 marzo 2012, n. 4031), ovvero quando si sia in presenza di un orientamento giurisprudenziale solo successivamente superato, a maggior ragione quando tanto avvenga a seguito dell’intervento di norma di interpretazione autentica.

– Venendo al caso in esame, nel 2002 sussisteva indubbiamente un certo contrasto di giurisprudenza quanto meno sul problema dello strumento urbanistico al quale fare riferimento per valutare se un terreno fosse edificabile.

Alcune pronunce della S.C., invero, ritenevano che un suolo potesse essere considerato edificabile soltanto sulla base di strumenti urbanistici perfetti, ossia giunti a completamento del loro iter approvativo, in quanto non solo adottati dal comune competente, ma anche sottoposti al controllo tutorio da. parte, solitamente della regione (v. Cass., Sez. 1, n. 10406 del 03/12/1994; Sez. 5, n. 15320 del 29/11/2000, Rv. 542282; Sez. 5, n. 13969 del 12/11/2001, Rv. 550161; id., n. 467 del 15/01/2003); altre, invece, consideravano sufficiente, a tal fine, la mera circostanza che il suolo risultasse inserito in una zona di edificazione di un piano anche soltanto adottato dal comune e non ancora approvato dalla regione (Cass., Sez. 5, n. 4120 del 22/03/2002, Rv. 553198; Sez. 5, Sentenza n. 4381 del 27/03/2002, Rv. 553320; Sez. 5, n. 17762 del 12/12/2002, Rv. 559199). Per dirimere tale contrasto si è resa necessaria una norma interpretativa, adottata due anni dopo ed applicabile retroattivamente (D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, conv. in L. 4 agosto 2006, n. 248), la quale – come noto – ha chiarito che “ai fini dell’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 2 dicembre 1986, n. 917, e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. Le Sezioni Unite di questa Corte, solo con la nota pronuncia del 30 novembre 2006, n. 25506, a composizione del contrasto tra il cd. indirizzo sostanzialistico e quello formalistico, hanno poi affermato il principio secondo cui “l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, nel contesto peraltro del quadro normativo modificato in forza delle norme d’interpretazione autentica di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni, in L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito, con modificazioni, in L. n. 248 del 2006”.) (v. Cass. n. 7797/2019)

Rileva ancora che i contrasti giurisprudenziali si sono di seguito appuntati sulla stessa legittimità costituzionale della portata retroattiva di tale ultima disposizione, pronunciandosi quindi la Corte costituzionale solo nel 2008 (cfr. Corte Cost. ord. 27 febbraio 2008, n. 41), nel senso dell’inammissibilità della prospettata questione (vedi Cass. n. 4092 del 2015 e n. 8925 del 2018).

Ebbene il giudice d’appello ha negato, implicitamente, le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della norma tributaria senza tener conto di tale contesto normativo e giurisprudenziale, affermando che erano state applicate le sanzioni nella misura minima, senza considerare che la controversia aveva ad oggetto violazioni contestate con avviso di accertamento e cartella esattoriale(notificate nell’anno 2005) per l’anno 2002 ed irrogazione delle relative sanzioni, mentre la disposizione di legge interpretativa era intervenuta nel 2005, con efficacia retroattiva, volta proprio a dirimere un dubbio interpretativo circa il regime fiscale concretamente applicabile alla fattispecie (vedì in termini Cass. n. 23845 del 2016); norma che è stata anche oggetto di dubbi di legittimità costituzionale fugati solo nel 2008 a seguito dell’intervento del definitivo delle Giudice delle leggi.

20. L’annullamento, per incertezza normativa oggettiva del D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 6, delle sanzioni applicate dall’Agenzia con il primo avviso di liquidazione dell’imposta e di irrogazione delle sanzioni n. (OMISSIS) – e la conseguente riforma parziale della sentenza della CTR del Veneto n. 49/2011 – comporta l’annullamento anche delle sanzioni applicate con l’avviso n. prot. (OMISSIS), opposto dai contribuenti nonchè la cassazione della sentenza n. 1581/25/2015, emessa dalla CTR del Veneto (a sua volta impugnata con ricorso per cassazione n. RG 10076/2016).

21. Per tutto quanto sopra esposto, vanno accolti l’ottavo ed il nono mezzo del ricorso n. 245/2012 limitatamente al riconoscimento del diritto all’esenzione dalle sanzioni – respinte le altre censure – nonchè il ricorso n. Rg. 10076/2016; le sentenze impugnate vanno pertanto cassate e decidendo nel merito, non essendo necessari sul punto ulteriori accertamenti di fatto, accoglie, con riguardo al ricorso n. 245/2012, l’originaria opposizione dei contribuenti limitatamente alle sanzioni che si dichiarano non dovute, confermando nel resto la sentenza impugnata n. 49/2011; e, con riferimento al giudizio n. 10076/2016, accoglie l’originario ricorso dei contribuenti.

In considerazione del parziale accoglimento del ricorso dei contribuenti e tenuto conto dell’evoluzione normativa, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese processuali di entrambi i giudizi riuniti nonchè dei giudizi di merito.

PQM

La Corte:

– Dispone la riunione del ricorso n. 10076/2016 a quello recante n. RG 245/2012;

– Accoglie l’ottavo ed il nono motivo del ricorso n. 245/2012, respinte le altre censure, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso dei contribuenti, limitatamente alla non debenza delle sanzioni, confermando nel resto la sentenza di secondo grado n. 49/2011; accoglie altresì il ricorso n. 10076/2016, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso dei contribuenti;

– compensa le spese di entrambi i giudici riuniti e dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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