Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12797 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12797 Anno 2014
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

Controlloregolarità
urbanistica Responsabilità

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13177/13) proposto da:
65’e-3E+103°
Ci lLiJ4
Notaio GRANESE GENEROSOrappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine
del ricorso, dall’Avv.to Prof. Francesco Fimmanò del foro di Napoli ed elettivamente domiciliato
presso il suo studio in Roma, via Tevere n. 48;
– ricorrente contro
CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI SALERNO, NOCERA INFERIORE, VALLO
DELLA LUCANIA e SALA CONSILINA, rappresentato e difeso dall’Avv.to Domenico De Martino
del foro di Salerno, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente
domiciliato presso lo studio Ass.to Amed, Marzano & Sediva PLLC in Roma, via Nazionale n. 69;
– controricorrente –

34

N

1

Data pubblicazione: 06/06/2014

e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI e
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE
– intimati –

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 30 gennaio 2014 dal
Consigliere dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Francesco Fimanò, per parte ricorrente, e Domenico De Martino, per parte
resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Francesca Ceroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decisione in data 8 giugno 2012, la Commissione amministrativa regionale di disciplina della
Campania e della Basilicata, su richiesta del Presidente del Consiglio notarile dei distretti riuniti di
Salerno, Nocera Inferiore, Vallo della Lucania e Sala Consilina, ha comminato al notaio Generoso
GRANESE la sanzione disciplinare della censura in applicazione dell’ad. 1, comma 2, dei principi
di deontologia professione di cui alla delibera del Consiglio Nazionale dei Notai n. 2/56 del 5
aprile 2008 e dell’ad. 147, comma 1, lett. A) della L.N. per avere in data 1°.4.2010 rogato atto di

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 39 depositata il 20 marzo 2013.

compravendita di abitazione con annesso appezzamento di terreno, nel quale la parte venditrice
dichiarava che il fabbricato era costruito in epoca antecedente al 1°.9.1967 laddove sia il
precedente titolo di provenienza (atto per notaio Malinconico del 22.10.2008), espressamente
richiamato nell’atto contestato, sia quello ad esso ancora anteriore (atto per notaio Loffredo del
4.2.2008), avevano avuto ad oggetto solo un appezzamento di terreno senza alcun riferimento a
fabbricati esistenti sull’area.

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rAti

La Corte d’appello di Napoli, con pronuncia depositata il 20 marzo 2013 e notificata dal Consiglio
notarile al reclamante in data 15.4.2013, ha respinto il reclamo, e, per l’effetto, ha confermato
integralmente la decisione impugnata, anche quanto alla sanzione disciplinare irrogata al notaio.

ricorrente di non avere avuto elementi per dubitare della buona fede delle parti, che nella specie
gli atti di provenienza del bene precedevano di soli due anni quello in contestazione (secondo
prassi limitata la verifica dei titoli di provenienza al successivo quinquennio), per cui l’indagine era
doverosa e dal solo esame degli stessi sarebbe emerso evidente il contrasto tra quanto dichiarato
nell’atto del venditore quanto all’anteriorità della costruzione rispetto alla data del 1°.9.1967 ed i
contenuti degli atti di provenienza che, invece, non davano conto dell’esistenza di un fabbricato
sull’appezzamento di terreno compravenduto.
Né al riguardo riteneva avere rilievo la dispensa del notaio dalle visure ipocatastali, autorizzata
dalle parti, giacchè la preventiva verifica delle risultanze dei pubblici registri, salvo espressa
dispensa per concorde volontà delle parti, costituiva obbligo del professionista derivante
dall’incarico conferitogli dal cliente, indiscusso il principio secondo cui l’opera professionale del
notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella
compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata
la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti,
restando comunque tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale
secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. e della buona fede.
Precisava che, alla luce di quanto riferito dallo stesso notaio in sede di sommarie informazioni
rilasciate avanti al Consiglio Notarile il 5.10.2010, risultava che l’atto era stato preparato in fretta,
richiesto dallo stesso professionista alle parti di essere dispensato dalle visure, tutto ciò in
evidente contrasto con il protocollo dell’attività notarile e senza alcuna rappresentazione dei
relativi rischi.

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La Corte territoriale — per quanto qui di interesse – ha rilevato, con riguardo alla difesa del

Aggiungeva che al reclamante era stata già comunicata in data 4.5.2007 la sanzione
dell’avvertimento, motivata anche sul rilievo di “una certa abitudine all’esecuzione della
prestazione professionale con modi superficiali”, con ciò smentendo l’assunto di una eccezionalità
nel suggerire la dispensa. Del resto apparivano del tutto inconferenti gli assunti dell’incolpato circa

dell’atto rogato che non potevano costituire una esimente.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli il notaio GRANESE ha proposto
ricorso, con atto notificato il 14/21 maggio 2013, sulla base di un unico motivo.
Ha resistito, con controricorso, il Consiglio notarile dei distretti di Salerno, Nocera Inferiore, Vallo
della Lucania e Sala Consilina.

MOTIVI DELLA DECISIONE
E’ preliminare l’esame dell’eccezione dedotta dal controricorrente ai sensi dell’art. 366,
comma 1, nn. 3 e 6 c.p.c.: il ricorso è ammissibile nei limiti appresso indicati, dato che,
contrariamente a quanto assume il CONSIGLIO NOTARILE, espone sommariamente i fatti dì
causa, sotto i profili occorrenti per la soluzione delle questioni sollevate in questa sede, ed inoltre,
attraverso una lettura globale, consente con sufficiente specificità di cogliere le ragioni per le quali
si sollecita l’annullamento del provvedimento impugnato.
Infatti il ricorrente pur avendo confezionato il ricorso con la riproduzione dell’intero, letterale
contenuto degli atti processuali, tuttavia detto dato è contemperato dall’illustrazione, in termini
argomentativi, delle domande e delle difese hinc inde, esponendo, nella parte dedicata allo
svolgimento dei motivi di ricorso, le considerazioni alla luce delle quali í giudici del merito sono
pervenuti alla conclusione oggetto di critica.
Deve, contemporaneamente, ritenersi incongruo il rilievo altrettanto preliminare contenuto in
controricorso, secondo il quale le doglianze sarebbero inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., perché

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il mancato rilievo dell’omissività o meno dell’atto di provenienza ovvero la nullità solo formale

non riconducibili a una violazione dei principi regolatori del giusto processo. L’interpretazione fin
qui prevalsa ha confinato la portata limitatrice di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 2 alla materia
processuale, senza intaccare le facoltà previste in ordine alla denuncia del vizio di violazione e
falsa applicazione di specifiche norme, la cui corretta formulazione implica comunque il rispetto

settembre 2010, n. 19051, hanno stabilito che “il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c.,
n. 1 deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la
sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono
prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti
idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe
trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve
essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la
prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata”.
L’eccezione di inammissibilità nei termini sopra precisati va, dunque, rigettata, salvo quanto si
andrà a precisare di seguito con riferimento all’unico articolato mezzo.
Premesso quanto sopra ed affermata la ammissibilità del ricorso, con l’unico ed articolato
motivo il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, comma 2,
c.c., 147, comma 2, L.N. e 1, comma 2, del codice deontologico dei notai, nella sostanza lamenta
che il giudice del reclamo non abbia tenuto adeguatamente conto del fatto che le parti avevano
esonerato il notaio dalle visure ipotecarie e catastali, per cui egli non aveva alcun obbligo di
esaminare l’atto di provenienza. Aggiunge il ricorrente dì non essere venuto meno al dovere di
correttezza in quanto la violazione dei canoni di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. prevede che il
professionista prospetti alle parti un risparmio di spesa allorchè assuma l’iniziativa della
dispensa. Inoltre i giudici di merito non avevano provveduto ad acquisire gli atti dello stesso
professionista da cui sarebbe risultata l’eccezionalità di tale dispensa. Infine evidenzia che

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dei canoni da tempo individuati. È noto che le Sezioni unite di questa Corte, con ordinanza 6

dall’aerofotogrammetria del Comune di Agropoli risultava che anteriormente all’atto notaio
Malinconico esisteva già un fabbricato rurale, del quale però non veniva fatta menzione.
La censura è infondata sotto tutti i profili prospettati.
Al riguardo, rileva questa Corte che bisogna, anzitutto, premettere che costituisce principio

Cass. n. 10493 del 1999; Cass. n. 5946 del 1999) che rientra tra gli obblighi del notaio, cui sia
richiesta la stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, lo svolgimento delle attività
accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti ed, in
particolare, il compimento delle cosiddette “visure” catastali ed ipotecarie allo scopo di individuare
esattamente il bene e verificarne la libertà, salvi espresso esonero da tale attività per concorde
volontà delle parti per motivi di urgenza o per altre ragioni.
Detto obbligo, inoltre, deriva dalla disciplina di cui all’art. 4 del DPR n. 640 del 1972, che richiede
che alle domande di voltura siano acquisiti i certificati catastali, e dall’art. 14 della stessa legge,
che fa obbligo al notaio di chiedere la voltura. L’obbligatorietà delle visure, consistenti nell’attività dì
verifica catastale ed ipotecaria per accertare la condizione giuridica ed il valore di un immobile,
richiede che il notaio acceda ai registri pubblici per esaminarne tutti i dati relativi, e la suddetta
attività necessariamente deve tenersi distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la
stipulazione dell’atto, indagine questa che, perché sia coerente ed accuratamente compiuta,
logicamente suppone che siano già avvenute le indispensabili e strumentali visure, sui cui dati
essa viene prevalentemente a fondarsi. La sua opera, infatti, non può ridursi al mero compìto di
accertamento della volontà, delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma deve
estendersi a quelle attività, preparatorie e successive, necessarie in quanto tese ad assicurare la
serietà e certezza dell’atto giuridico posto in essere, e ciò, in conformità, allo spirito della legge
professionale (art. 1 l. n. 89/1913).

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indiscusso nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 8470 del 2002; Cass. n. 547 del 2002;

Ne consegue che al notaio – richiesta la preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento
immobiliare — spetta la preventiva verifica della libertà, e disponibilità del bene e, più in generale
delle risultanze dei registri immobiliari, che costituisce, salva l’espressa dispensa degli interessati,
un obbligo derivante dall’incarico conferito dal cliente e quindi ricompreso nel rapporto di

assicurare la serietà e la certezza degli atti giuridici ( Cass. 24 ottobre 1987 n. 7827; Cass. n. 982
del 1981; Cass. n. 6073 del 1980).
Ne consegue che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la responsabilità
disciplinare del notaio GRANESE che ha rogato l’atto di compravendita di abitazione con annesso
appezzamento di terreno senza verificare la giuridica esistenza della costruzione, non risultante
dagli atti di trasferimento precedenti.
Né è condivisibile l’assunto di parte ricorrente secondo cui il giudice del reclamo non avrebbe
tenuto in debito conto la dispensa data dalle parti per esonerarlo dalle visure ipotecarie e catastali,
giacchè la giurisprudenza ha al riguardo precisato, che la responsabilità del professionista rimane
esclusa solamente in caso di espresso esonero – per motivi di urgenza o per altre ragioni – per
concorde volontà delle parti, con clausola inserita nella scrittura (v. Cass. 16 marzo 2006 n. 5868;
per l’ammissibilità di una dispensa anche in forma verbale v. peraltro Cass. 1 dicembre 2009 n.
25270), da considerarsi pertanto non già meramente di stile bensì quale parte integrante del
contratto (v. Cass. 12 ottobre 2009 n. 21612), sempre che appaia giustificata da esigenze concrete
delle parti. Si è ulteriormente sottolineato che quand’anche sia stato esonerato dalle visure, il
notaio che sia a conoscenza o che abbia anche solo il mero sospetto della sussistenza di
un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita deve in ogni caso
informarne le parti, essendo tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera
professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, e della
buona fede (v. Cass. 2 luglio 2010 n. 15726; Cass. 11 gennaio 2006 n. 264; Cass. 6 aprile 2001 n.

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prestazione di opera professionale (artt. 1176 e 2230 e segg. c.c.), specialmente tesa ad

5158).
Orbene, a parte il rilievo che nella specie la corte di merito dà conto che dalle sommarie
informazioni rilasciate dal notaio avanti al Consiglio Notarile, risulta che era stato lui stesso a
richiedere alle parti di essere dispensato dalle visure, tutto ciò in evidente contrasto con il

nell’adempimento dell’obbligazione, e della conseguente responsabilità per il caso di relativa
mancanza o inesattezza, non può farsi in ogni caso discendere da detta dispensa, giacchè
l’indagine doverosa del solo esame degli atti di provenienza — prodotti dalle medesime parti
contraenti – rendeva evidente il contrasto tra quanto dichiarato nell’atto dal venditore relativamente
all’anteriorità della costruzione rispetto alla data del 1°.9.1967 ed i contenuti degli atti di acquisto
precedenti, nei quali non si faceva alcun cenno all’esistenza di un fabbricato sull’appezzamento di
terreno compravenduto. Ciò in assoluta difformità alla diligenza esigibile dal professionista
nell’adempimento delle obbligazioni assunte nell’esercizio delle sua attività, che è speciale e
rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione
richiesta (cfr., da ultimo, Cass., 25 settembre 2012 n. 16254).
Con adeguata motivazione la sentenza impugnata osserva, altresì, che al professionista era stata
già comunicata nell’anno 2007 la sanzione dell’avvertimento, motivata dal rilievo di ‘una certa
abitudine all’esecuzione della prestazione professionale con modi superficiali’, circostanza che
peraltro non ha formato oggetto di specifica censura, per cui l’assunto di una eccezionalità nel
suggerire la dispensa, che ad avviso del ricorrente avrebbe potuto trovare ingresso attraverso
l’acquisizione — negata – di ulteriori atti messi a disposizione della Commissione, si palesa di
nessuna rilevanza, al pari del mancato esame di detti documenti, dovendosi tenere conto che il
concetto di diligenza è quello previsto dall’art. 1176 c.c., che impone di valutare la colpa con
riguardo alla natura dell’attività esercitata. Infatti il notaio nell’adempimento delle obbligazioni
inerenti alla propria attività professionale è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon

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protocollo dell’attività notarile, una limitazione della misura dello sforzo diligente dovuto

padre di famiglia, come richiesto dall’art. 1176,comma 1, cc.c., ma è quella specifica del debitore
qualificato, come indicato dall’ad. 1176, comma 2, c.c. la quale comporta il rispetto di tutte le
regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione.

attribuite secondo il criterio della soccombenza.
Inoltre poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 (notificato il ricorso
in data 21 maggio 2013) ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’ad. I,
corna 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater
all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115- della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
Cassazione, che liquida in complessivi €. 3.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’ad. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’ad. I, comma 17,
della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 30 gennaio 2014.

Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese processuali, liquidate come in dispositivo,

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