Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12796 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 12796 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 28834-2007 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITAL SPA, IN PERSONA DEL LEGALE
RAPP.TE IN CARICA, P.I.01585570581, elettivamente
domiciliata in ROMA, P.ZA MARTIRI DI BELFIORE

2,

presso lo studio dell’avvocato D’AMARI° PALLOTTINO
BRUNA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DE MARCHI ORIO;
– ricorrente contro

COM TRIESTE IN PERSONA DEL SINDACO IN &ICA,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO DE’

Data pubblicazione: 06/06/2014

CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato VICINI
DOMENICO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIRALDI MARIA SERENA;
j ACEGAS-APS SPA, IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE P.T.,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL FIORITA

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
SADAR GIANNI, ZGAGLIARDICH GIANNI;
– controri correnti –

avverso la sentenza n. 608/2006 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 11/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/10/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
ROSARIA SAN GIORGIO;
udito l’Avvocato D’Amaro Pallottino Bruna difensore
della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento delle
proprie difese;
udito l’Avv. Lilli Francesco difensore della Soc.
ACEGAS che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. Aldo Fontanelli con delega depositata in
udienza dell’Avv. Maria Serena Giraldi difensore del
Comune di Trieste che si riporta agli atti
depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione.

90, presso lo studio dell’avvocato LILLI FRANCESCO,

Ritenuto in fatto
1.

L’oggetto della controversia è costituito dalla domanda di

accertamento dell’intervenuta sdemanializzazione tacita degli immobili
costituenti il “Comprensorio di Aurisina Sorgenti” –

realizzato nel 1855

S. Croce al fine di fornire l’acqua necessaria all’esercizio della

Ferrovia Trieste-Vienna e alla città di Trieste –

e dell’avvenuta

usucapione degli stessi da parte del Comune di Trieste.
I beni in questione, al momento della proposizione della domanda in tal
senso da parte del Comune di Trieste, risultavano inseriti nell’elenco

del Bene Pubblico – Demanio dello Stato – Ramo Ferrovie: né il Comune in
primo grado aveva contestato le risultanze tavolari, affermando invece
l’avvenuta sdemanializzazione tacita del complesso, con relativa

dismissione e conseguente usucapione tramite la sua municipalizzata
ACEGA, e

facendo

valere i comportamenti delle Ferrovie rivolti alla

dismissione del complesso ed il possesso dello stesso da parte del
Comune.
2. – In primo grado la domanda del Comune era stata respinta ed era stata

per l’utilizzo delle sorgenti in riva al mare e ai piedi della Collina di

ordinata la restituzione dei beni alla s.p.a. Ferrovie dello Stato.
Il Comune aveva proposto gravame, e la s.p.a. appello incidentale. Si era
costituita anche l’A.C.E.G.A.
3. – La Corte d’appello di Trieste, con sentenza depositata 1’11 febbraio

2006, accolse il gravame principale, rigettando quello incidentale.
Osservò il giudice di secondo grado che la c.t.u. aveva indicato le parti
del comprensorio occupate dall’A.C.E.G.A., poi A.C.E.G.A.S., con i propri

3

ti

impianti di captazione e sollevamento dell’acqua, distinguendoli dalle
parti occupate dal Consorzio per la gestione del Laboratorio di Biologia
Marina (in virtù del contratto di comodato in data 15 giugno 1993,
stipulato con l’A.C.E.G.A.), e dalla “Casa operaia” eretta sula
50/1,

i cui alloggi erano stati in parte locati

dall’A.C.E.G.A. a terzi ed in parte utilizzati quali alloggi di servizio
per il personale, e che il comprensorio non era attraversato da alcuna
strada ferrata.
Ciò posto, rilevò la Corte triestina che, a seguito dell’entrata in
vigore dell’art. 15 della legge n. 210 del 1985, i beni mobili ed
immobili, già dell’Azienda Autonoma, di proprietà del neocostituito Ente
Ferrovie dello Stato erano stati sottratti all’originaria condizione
giuridica propria del patrimonio indisponibile degli enti pubblici non
territoriali ed assoggettati ad un regime di piena disponibilità
negoziale di diritto privato.
Nella fattispecie, non essendo decorsi venti anni dall’entrata in vigore
della legge n. 210 del 1985 alla data di proposizione della domanda,
rilevava, peraltro, anche il regime giuridico cui i beni del comprensorio
erano sottoposti prima del 1985. Rilevò al riguardo la Corte di merito
che la perdita della qualità di bene pubblico può aversi sia in base ad
una dichiarazione espressa dell’autorità competente, sia attraverso un
comportamento concludente della stessa autorità (c.d. sdemanializzazione
tacita).
Nella specie,

sin dal primo grado del giudizio era stata allegata la

circostanza che l’elettrificazione della linea ferroviaria Vienna-Trieste

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particella n.

era stata eseguita nel 1937, data a partire dalla quale era
conseguentemente venuta meno la necessità di approvvigionamento idrico
per il funzionamento delle motrici a vapore dei convogli ferroviari.
Detta circostanza non era stata contestata dalla convenuta. Inoltre, il

di dismissione di impianti non più utilizzabili a fini ferroviari, erano
stati ceduti al Comune di Trieste i diritti di comproprietà della
Compagnia Ferrovie Danubio-Sava-Adriatico sull’acquedotto di Aurisina
(pur con l’esclusione dei beni di cui si tratta a seguito del rilievo
della loro intavolazione in proprietà piena della Compagnia) – confermava
che le ragioni che avevano determinato l’allora Società della Ferrovia
Meridionale alla stipula del contratto del 14 aprile 1990

(recte: 1900) –

con il quale l’Amministrazione dello Stato, il Comune di Trieste, la
Società Acquedotto di Aurisina e la Società della Ferrovia meridionale
avevano stabilito l’ampliamento dell’acquedotto ed il trasferimento dal
1909 del comprensorio di Aurisina in proprietà indivisa del Comune di
Trieste e della Società Ferrovia Meridionale – erano venute meno. In
quest’ottica, la lettera in data 11 dicembre 1970, con la quale l’Azienda

complessivo tenore del contratto n. 44 del 1942 – con cui, in un’ottica

Autonoma delle Ferrovie dello Stato aveva precisato che i diritti di
comproprietà dell’Azienda stessa sui beni del comprensorio “dovranno
essere quanto prima definiti”, e la lettera in data 22 novembre 1979,
inviata dalla Azienda Autonoma al Comune di Trieste, con la quale questo
veniva informato che ” la superiore sede ha disposto affinchè siano
avviate con codesto Comune le operazioni per la cessione della titolarità
dell’opificio al prezzo fissato dall’UTE”.> costituivano conferma di una

5
CZ

sdemanializzazione tacita già da tempo intervenuta come conseguenza
dell’elettrificazione della linea ferroviaria, comportante definitiva
rinuncia delle Ferrovie all’utilizzo dell’acqua captata dal comprensorio
per il funzionamento delle motrici a vapore.

comprensorio di cui si tratta era stato affidato nel 1929 dal Comune di
Trieste alla neo costituita A.C.E.G.A.T., Azienda che aveva gestito per
oltre mezzo secolo, e gestiva all’epoca della instaurazione della lite, i
relativi beni a mezzo di proprio personale, provvedendo alla loro
manutenzione ordinaria e straordinaria, e stipulando con riferimento a
parte di essi contratti di comodato e locazione.
Né l’appellata ed i suoi danti causa avevano esercitato alcun potere di
fatto sui beni. Dunque il possesso esercitato dal Comune di Trieste a
mezzo della sua azienda municipalizzata era idoneo alla usucapione del
comprensorio, essendo stato pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto
per oltre venti anni.
4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Rete Ferroviaria
Italiana s.p.a., succeduta alle Ferrovie dello Stato s.p.a., sulla base

Quanto al possesso da parte del Comune, la Corte di merito osservò che il

di nove motivi. Resistono con controricorso sia il Comune di Trieste sia
l’A.C.E.G.A.S. – A.P.S. s.p.a., già A.C.E.G.A.S.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 818, 822, 823, 826, 828, 829, 2697, 2727 e 2729
cod.civ. e dell’art. 116 cod.proc.civ. nonchè dell’art. 15 della legge n.
210 del 1985. Rileva la ricorrente che, trattandosi di beni tavolarmente

6

g

iscritti nel Demanio dello Stato – Ramo Ferrovie, il trasferimento degli
stessi ad altri soggetti a titolo dominicale e, in particolare, quello
conseguente al possesso prolungato nel tempo postula imprescindibilmente
la cessazione della demanialità e la collocazione del bene nel patrimonio

sdemanializzazione, la controparte aveva fatto ricorso, seguita in modo
acritico dalla Corte di merito, all’istituto della sdemanializzazione
tacita, senza considerare che tale istituto presuppone una inequivoca
condotta positiva e concludente del proprietario pubblico che evidenzi,
mediante circostanze oggettive, la chiara volontà del proprietario di non
utilizzare più il bene per scopi pubblici, non essendo sufficiente la
mera circostanza che il bene non sia più adibito, anche da lungo tempo,
all’uso pubblico originario. Era stata, così, individuato nella
intervenuta elettrificazione delle linee ferroviarie l’elemento di per sé
sufficiente a far venir meno la necessità di approvvigionamento idrico
delle motrici a vapore, laddove esso costituirebbe semplicemente un
elemento fattuale inidoneo di per sè a supportare l’affermazione di
intervenuta sdemanializzazione. Ed infatti, per un verso, il comprensorio

disponibile. Nella specie, in mancanza di atti amministrativi formali di

comprende beni con destinazioni del tutto diverse (i beni detenuti da
ACEGAS con gli impianti di captazione e sollevamento dell’acqua, quelli
utilizzati dal Consorzio per la gestione del Laboratorio di Biologia
marina, nonchè dalla c.d. “Casa Operaia”, questi ultimi non correlati al
servizio idrico); per l’altro, pur volendosi identificare l’interesse
pubblico ferroviario connesso alla proprietà dell’intero comprensorio
nell’unico elemento costituito dal rifornimento di acqua per le motrici a

7

(-i

vapore, si dovrebbe comprendere che la società ricorrente, in ipotesi di
emergenza derivante da calamità naturali ovvero da eventi non ordinari,
potrebbe trovarsi nella necessità di ripristinare i locomotori a vapore,
mantenuti in perfetto stato di efficienza presso la Stazione di Campo

La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod.proc.civ.,
applicabile nella specie

ratione temporis: .
2. – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 822,823,826,828,829,2697,2700,2702,2727,2729 cod.civ. e
dell’art. 116 cod.proc.civ. sarebbe affetta da incongruità ed illogicità
la interpretazione che del contratto n. 44 del 1942 è stata operata dalla
Corte di merito, secondo la quale il tenore di quest’ultimo costituirebbe
ulteriore elemento per sostenere l’avvenuta sdemanializzazione, laddove
sarebbe risultato documentalmente provato che successivamente alla
elettrificazione delle linee, proprio con detto contratto, come

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Marzio.

modificato ed integrato dall’all. 5, si sarebbe reso evidente il
permanere dell’interesse ferroviario alla proprietà del comprensorio.
La illustrazione del motivo si completa con la formulazione del seguente
quesito di diritto: .
3. – I motivi, da esaminare congiuntamente avuto riguardo alla evidente
connessione logico-giuridica che li avvince, sono privi di fondamento.
La sentenza impugnata, premesso che il compendio oggetto della
controversia era di proprietà esclusiva delle Ferrovie, in quanto
escluso, in virtù dell’all. 5 al contratto n. 44 del 1942, dalla cessione
al Comune da parte della Compagnia Danubio Sava Adriatico di tutti i
diritti in comproprietà sui beni immobili della Società Acquedotto di
Aurisina e non era attraversato da alcuna strada ferrata, e che
appartengono al demanio ferroviario il suolo e le strutture necessarie al
funzionamento della linea ferroviaria ed al patrimonio indisponibile gli
immobili destinati al pubblico servizio ferroviario, ha affermato che la
volontà delle

F.S.

di non destinare ulteriormente i beni all’uso

ferroviario cui erano stati inizialmente parzialmente adibiti
(approvvigionamento idrico per il funzionamento delle motrici a vapore
dei convogli ferroviari) risultava: 1) dalla elettrificazione, realizzata
nel 1937, della linea ferroviaria Vienna- Trieste, sulla quale operavano

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beni demaniali, il disuso da tempo immemorabile ovvero l’inerzia nell’uso

le locomotive a vapore che utilizzavano l’acqua captata nel comprensorio;
2) dalla successiva mancata

utilizzazione di detta acqua per

l’alimentazione di locomotori a vapore; 3) dalla volontà, manifestata nel
tempo dalle Ferrovie, di dismissione degli impianti di cui si tratta,

operazioni per la cessione al Comune della titolarità dell’opificio.
In proposito, deve osservarsi, per un verso, che correttamente la
sentenza impugnata ha sottolineato che la sdemanializzazione di un bene
può essere anche tacita, può prescindere, cioè, da un formale atto di
sdemanializzazione, purchè risulti da atti univoci e concludenti,
incompatibili con la volontà dell’amministrazione di conservarne la
destinazione all’uso pubblico, e da circostanze tali da rendere non
configurabile un’ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino
della funzione pubblica del bene; per l’altro, che la relativa indagine è
rimessa al giudice del merito.
Nella specie l’accertamento di cui si tratta non risulta censurabile
in sede di legittimità, in quanto immune da vizi logici e giuridici.
Al riguardo deve aggiungersi a quanto già chiarito che l’impianto di

come risultava da ultimo dalla lettera del 22 novembre 1979 di avviare le

captazione dell’acqua costituiva bene demaniale in forza del suo rapporto
pertinenziale con la strada ferrata e che la sua demanialità era
suscettibile di venir meno non solo in conseguenza della
sdemanializzazione del bene principale, ma anche per effetto della
cessazione del vincolo pertinenziale, che è desumibile da qualsiasi
elemento ritenuto idoneo a tal fine con accertamento di mero fatto,
insindacabile se adeguatamente e correttamente motivato.
10

4

4. – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 822,1140,1158,2697,2727,2943,2944 cod.civ., dell’art. 116
cod.proc.civ., del r.d.l. 9 ottobre 1919, n. 2161 e del r.d. 11 dicembre
1933, n. 1775. In modo illogico la Corte di merito avrebbe ritenuto che

avesse posseduto pubblicamente, pacificamente, ininterrottamente per
oltre venti anni il compendio immobiliare, che sarebbe stato, pertanto.
Usucapito dall’Amministrazione comunale. Tale convincimento si sarebbe
fondato esclusivamente sulla valutazione di elementi documentali, non
essendo stata ammessa la prova testimoniale richiesta sul punto, né
accolta la istanza di R.F.I. s.p.a. volta alla nomina di c.t.u. ai fini
della determinazione della indennità di occupazione in relazione al

valore ed al periodo di effettivo utilizzo del bene e all’ordine di
esibizione,

ex

art. 210 cod.proc.civ., degli atti concessori

eventualmente intervenuti a regolamentare il rapporto giuridico tra
Comune di Trieste ed ACEGAS per i beni in questione, nonché il deposito
di copia dei contratti di locazione stipulati dall’ACEGAS con gli
occupanti degli alloggi della “Casa Operaia”. Sicchè l’accertamento dei
presupposti inerenti al

corpus possessionis

ed

all’animus possidendi

sarebbe stato operato su base esclusivamente documentale, riferita al
solo primo grado di giudizio, con argomentazioni che porrebbero in
evidenza la denunciata violazione e falsa applicazione delle norme sopra
indicate nonché una motivazione manifestamente erronea, insufficiente e
contraddittoria. La corte di merito avrebbe omesso di accertare
l’effettivo protrarsi del possesso da parte del Comune per il prescritto

11

il Comune di Trieste, per il tramite della sua ex municipalizzata ACEGAS,

ventennio, mentre lo stesso Comune e l’ACEGAS avrebbero omesso ogni

indicazione inerente al periodo in cui ritenevano che si fosse verificato
detto possesso, in particolare al termine iniziale del decorso del
periodo ventennale del possesso, utile ai fini del maturarsi della

esibiti da controparte si riferivano esclusivamente alle spese sostenute
per la manutenzione, ordinaria e straordinaria, dei beni relativi alla
captazione dell’acqua, che ACEGAS deteneva in forza della concessione di
derivazione di acqua stipulata nel 1933 tra il Ministero LL.PP. ed il
Comune di Trieste. Al riguardo osserva la ricorrente che il
concessionario è mero detentore dei beni concessi, che continuano ad
essere posseduti dalla P.A. per suo tramite, e, pertanto, non può in
alcun modo rivendicarne il possesso, che viene specificamente negato
dallo stesso titolo che lo ha legittimato a gestire detti beni.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto:< Dica l'Ecc.ma Corte se la situazione di fatto in cui si trova il titolare di una concessione di grande derivazione di acqua pubblica facente parte del demanio necessario idrico usucapione. Né il giudice di merito si sarebbe avveduto che i documenti dello Stato, che lo vincola alla manutenzione dei relativi beni ed impianti in buono stato di efficienza ed alla restituzione degli stessi al soggetto concedente alla scadenza del rapporto, si possa qualificare come possesso utile al fini dell'acquisto ad usucapionem, ovvero mera detenzione>.

5.- La doglianza è inammissibile.
Essa, invero,

non attinge il

decisum.

12

La sentenza impugnata non ha,

6

infatti, qualificato come possesso la detenzione degli impianti di
captazione dell’acqua, ma quella dei cinque edifici compresi
nell’opificio e degli spazi ad essi accessori.
6. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione

cod.proc.civ. Dalla relazione del c.t.u., svolta nel corso del primo
grado del giudizio, era emerso che ACEGAS aveva utilizzato, con riguardo
alle parti del comprensorio destinate agli impianti di sollevamento e
captazione, solo parte del comprensorio ed in modo saltuario. E dunque,
secondo la ricorrente, l’affermazione da parte della Corte di merito
della perdita della natura demaniale dei beni in questione sarebbe stata
effettuata a fronte di un utilizzo parziale e meramente potenziale da
parte del possessore ( anzi, mero detentore), e, come tale, inidoneo a
determinare l’effetto dell’acquisto per usucapione.
La illustrazione della censura si completa con la formulazione del
seguente quesito di diritto:< Dica l'Ecc.ma Corte se, al fini della configurabilità di un possesso ad usucapionem di un compendio immibiliare, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri inequivocabilmente l'intenzione di esercitare il potere corrispondente a quello del proprietario su tutti i beni ivi compresi, e quindi una signoria sugli stessi che permanga senza interruzione per tutto il tempo indispensabile per usucapirli, sia per quanto riguarda l'animus che il corpus>.
7. – Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione
degli artt. 1140, 1158, 2697, 2729 cod.civ. e degli artt. 116 e 210

13

degli artt. 1140,1158,2697,2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 116

cod.proc.civ. Per quanto concerne la parte del compendio immobiliare
costituita dall’edificio sede del Laboratorio di Biologia Marina,

con

contratto del 1993 concesso in uso gratuito all’Università degli Studi di

Trieste, e dagli alloggi siti nella c.d. “Casa Operaia”, in parte

servizio per il proprio personale, secondo la ricorrente nessun elemento
era stato

fornito

dall’amministrazione comunale e dall’ACEGAS per

attestare il possesso ad usucapionem,
riparazione

o

né alcuna opera di manutenzione,

miglioramento risultava essere stata dagli stessi

effettuata. Quanto al primo edificio, il relativo contratto concerneva un
periodo limitato

a

soli quattro anni, dal 1993 al 1997, e mancava,

quindi, la prova del possesso per il tempo utile ai fini della
usucapione. Inoltre, il rapporto di comodato era stato debitamente
autorizzato

sin

dal 1970 dalle FF.SS. in qualità di proprietario

dell’edificio, cui il Comune si era rivolto, come risulterebbe dalla

lettera del Sindaco del 29 dicembre 1970, che costituirebbe l’esplicita
attribuzione della titolarità del bene in capo alle FF.SS. Quanto alla
“Casa Operaia”,

in condizioni fatiscenti, l’ACEGAS avrebbe percepito i

canoni di locazione solo dal 1993, e, quindi, da un tempo insufficiente
ai fini della maturazione della usucapione. La Corte di merito aveva,
invece, illogicamente dedotto il possesso dell’ACEGAS utile ai fini della

usucapione dal semplice rifiuto delle FF.SS. di stipulare i contratti di
locazione con i terzi interessati e di ricevere i canoni (correlato agli
obblighi incombenti sul locatore, in presenza di una situazione oggettiva
dei luoghi di sostanziale inagibilità), ritenendo superfluo l’ordine di
14

locati dall’ ACEGAS a terzi, ed in parte utilizzati quali alloggi di

esibizione dei relativi documenti richiesto dalla attuale ricorrente.
La illustrazione ella censura si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto:.

8. – Con il settimo motivo, da esaminare congiuntamente al quarto ed
al quinto, attesa la evidente connessione logico-giuridica tra gli
stessi, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1102,
1140,1141,1158,2697,2729 cod.civ. e dell’art. 116 cod.proc.civ.

Si rileva

che la sentenza impugnata, dopo aver sottolineato che il Comune avrebbe
riconosciuto la comproprietà – e non la proprietà – dei beni di cui si
tratta in capo alle FF.SS., avrebbe poi omesso ogni considerazione di
tale elemento, trascurando che il comproprietario, per poter usucapire la
quota degli altri comproprietari, deve aver goduto della

res communis in

modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, evidenziando
una inequivoca volontà di possedere

uti dominus

e non più

uti

condominuds. La valenza di tali principi assumerebbe rilievo determinante

ove si consideri che il comprensorio di cui si tratta era diviso in tre
tipologie di beni. Gli unici documenti forniti dall’ACEGAS per provare il
possesso dei beni in questione erano costituiti dalle fatture inerenti
alle spese

di

mantenimento in buono stato dei beni relativi alla

concessione di derivazione d’acqua ed alle sue pertinenze ed impianti. Al

15

continuativo, ininterrotto e non clandestino, del possesso per il periodo

riguardo, ribadisce la ricorrente che, trattandosi di concessione
amministrativa, il Comune di Trieste e l’ACEGAS non potevano essere
considerati possessori, ma solo detentori di tali beni in forza di un
titolo concessorio rilasciato all’Amministrazione comunale dal Ministero

riferiti alla concessione configuri un possesso idoneo ai fini della
usucapione, l’amministrazione comunale avrebbe usucapito solo quella
parte del comprensorio e non i rimanenti beni.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto:

.
9. – Le censure si appalesano prive di fondamento.
La sentenza impugnata ha, infatti, affermato che la gestione ACEGAS
del comprensorio, protrattasi per decenni, non aveva in alcun modo
carattere saltuario o limitato. La Corte di merito ha richiamato la
stipula del comodato e della locazione quale mera esemplificazione dei
poteri, esclusivi, illimitati, continui ed incontestati, esercitati dal
1929

uti dominus dalla azienda comunale sui beni rivendicati, senza la

prova di una tolleranza da parte delle Ferrovie.
10. – Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione
16

dei LL.PP. Comunque, anche a voler ammettere che la detenzione dei beni

degli artt. 1140,1144,1158,1165,2697,2729,2944 cod.civ. e dell’art. 116
cod.proc.civ. La Corte di merito sarebbe incorsa in errore in relazione
all’elemento della tolleranza, che rende inidoneo il possesso al fine
della prescrizione acquisitiva. Nella specie, la corrispondenza tra il

di queste ultime, nella prospettiva di una definizione dell’assetto
patrimoniale, mentre la citata lettera del Comune del 1970 riconosceva
esplicitamente la titolarità del bene in questione in capo alle Ferrovie,
ed era idonea ad interrompere il periodo utile per l’usucapione.
La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto:.
11. – La doglianza è destituita di fondamento.
E’ decisivo, al riguardo, il rilievo che, successivamente alla
interruzione, era maturato, alla data della citazione, il termine utile
alla usucapione.
12. – Con l’ottavo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 818 e 822 cod.civ., 1 e 28 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775,
art. 116 cod.proc.civ. Posto che la sentenza impugnata aveva affermato

17

Comune e le Ferrovie attestava inequivocabilmente la tolleranza da parte

l’esistenza di due concessioni, una riguardante i beni acquedottistici
concessi dal Comune, e l’altra relativa alla derivazione dell’acqua dalle
sorgenti, proveniente dal Ministero, osserva la ricorrente che tale
situazione, anche ove corrispondente al vero, riguarderebbe solo il

ministeriale di derivazione idrica era unica, e si riferiva non solo alle
sorgenti, ma anche a tutte le pertinenze ed impianti correlati al
sollevamento ed alla captazione dell’acqua.
La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del
seguente quesito di diritto:.
13. – La censura è inammissibile per difetto di interesse, sol che si
consideri quanto già chiarito
Corte

di

merito,

sub 3 in ordine al convincimento della
motivato,

congruamente

circa

la

avvenuta

sdemanializzazione del compendio di cui si tratta.
14. – Con il nono motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt.116 e 210 cod.proc.civ. Premesso che l’unico documento
f.

prodotto dalle controparti è la concessione di derivazione d’acqua

18

periodo successivo al 1997, mentre sino ad allora la concessione

rilasciata dal Ministero nel 1933, ritenuta inammissibile dal giudice
perché prodotta solo in grado di appello, con rigetto della istanza di
esibizione formulata da R.F.I. per la superfluità del documento,
immotivatamente ritenuta, osserva la ricorrente che solo la lettura di

fosse in presenza di una concessione afferente al solo modulo d’acqua
ovvero anche dei relativi impianti di captazione.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del
seguente quesito:

.

15. – Il motivo è inammissibile per difetto di decisività.
La sentenza impugnata ha affermato il possesso

ad usucapionem

dell’intero complesso di beni in relazione ad un’attività di gestione di
esso nella integralità e non con riferimento al solo impianto di
captazione di acqua.
16.

– Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Nella

peculiarità della controversia e nelle alterne vicende processuali il
Collegio ravvisa le ragioni della compensazione integrale delle spese del
giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Dispone la compensazione integrale tra le
19

tale documento avrebbe consentito di accertare se nel caso di specie si

parti delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

civile, il 23 ottobre 2013.

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