Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12792 del 21/06/2016

Cassazione civile sez. trib., 21/06/2016, (ud. 01/06/2016, dep. 21/06/2016), n.12792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22344-2010 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 146,

presso lo studio dell’avvocato ERNESTO MOCCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato EUGENIO BRIGUGLIO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI SONDRIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 28/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 18/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/06/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato BRIGUGLIO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito della verifica eseguita in data 18.10.1993 dalla G. di F. presso la società “Bresaole P. SNC”, veniva emesso anche l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) per IRPEF relativa all’anno di imposta 1992 nei confronti del socio P.P., impugnato dal contribuente con esito favorevole sia in primo che in secondo grado. Avverso questa decisione la Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione.

2. La Corte di cassazione con la sentenza n. 27067/2007, depositata il 21.12.2007, accoglieva il ricorso per “l’estrema genericità della motivazione ed il malgoverno dei principi giurisprudenziali in ordine alle regole che disciplinano la disamina dell’appello” e disponeva la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla CTR della Lombardia in altra composizione per il riesame.

3. Il giudizio, riassunto dall’Agenzia, veniva definito con la sentenza n.28/01/2010, depositata il 18.02.2010, che accoglieva l’appello dell’Amministrazione.

Il giudice del rinvio confermava l’avviso di accertamento; in proposito osservava che in pari data aveva deciso la controversia riguardante la società, confermando il maggior reddito accertato e, in base a ciò, riconosceva anche la legittimità dell’accertamento del maggior reddito imputato per trasparenza al socio.

4. Pi.Pa. ricorre per cassazione avverso questa sentenza su tre motivi, corredati da memorie ex art. 378 c.p.c.. L’Agenzia replica con controricorso.

5. La causa perviene alla udienza pubblica a seguito di trasmissione disposta all’esito dell’adunanza camerale del 18.04.2012, per eventuale riunione con altri procedimenti pendenti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. La controversia in esame si collega in una pluralità di autonomi processi, pendenti tra la società o i singoli soci e l’Agenzia delle entrate, scaturiti tutti dal verbale di constatazione della G. di F. del 18.10.1993, fondato sulla contestazione di omessa registrazione di ricavi, a seguito del quale furono notificati avvisi di rettifica o di accertamento, ai fini ILOR, IVA ed IRPEF, sia nei confronti della società che dei singoli soci P.P. e P. R. per gli anni di imposta 1991 e 1992.

1.2. Tutti questi atti impositivi sono stati impugnati in separati giudizi che, a seguito di una prima pronuncia di cassazione con rinvio, sono nuovamente giunti dinanzi alla Corte di legittimità a seguito dell’impugnazione delle sentenze pronunciate dalla CTR in sede di rinvio.

2.1. Primo motivo – Si denuncia la violazione del principio del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 e dell’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 2, e la nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), lamentando che i giudici del rinvio non avevano rilevato d’ufficio la violazione del principio del contraddittorio, di cui all’art.14 cit., essendosi svolto il giudizio senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari, cioè dei soci: a parere della parte privata i giudici del rinvio avrebbero dovuto rimettere il giudizio dinanzi al giudice di primo grado affinchè fossero chiamati in causa i soci.

2.2. Secondo motivo – La medesima censura è svolta anche sotto la prospettazione del vizio per violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Con riferimento ad entrambi i motivi, la parte privata assume che tale vizio originario non era stato rilevato dalla Corte di cassazione in sede di giudizio rescindente con la sentenza n.1147/2008, poichè la sentenza delle Sezioni Unite n. 14815/2008, che aveva riconosciuto una situazione di litisconsorzio necessario tra società e soci nel contenzioso vertente sull’attività accertativa svolta dall’Amministrazione finanziaria, fattispecie sovrapponibile a quella in esame, era stata emessa in epoca di poco successiva.

2.3. I motivi sono connessi, possono essere trattati congiuntamente e risultano infondati.

2.4. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare nel “giudizio di rinvio è inibito alle parti prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione, così come non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento, e tale preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa” (Cass. nn. 327/2010, 22885/2015).

In particolare “Il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poichè il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità, con la conseguenza che deve escludersi la possibilità per il giudice del rinvio di sindacare la improponibilità della domanda, dipendente da qualunque causa, anche da inosservanza di modalità o di termini, pur essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del processo.” (Cass. SSUU n. 13676/2014, Cass. n. 26200/2014, prec. conf. Cass. n. 9539/2002).

2.5. Va considerato altresì che la Corte già si è espressa in fattispecie analoghe ed ha affermato che, ove il difetto di integrità del contraddittorio non sia stato eccepito dalle parti con il primo ricorso per Cassazione o rilevato di ufficio dalla Corte di Cassazione in sede di giudizio rescindente, non può più essere eccepito o rilevato nel giudizio di rinvio; ciò perchè si deve presumere che la Corte abbia ritenuto integro il contraddittorio con l’effetto di rendere necessaria la partecipazione alle successive fasi di rinvio del giudizio dei soli soggetti che hanno partecipato al giudizio di Cassazione (cfr. Cass. nn. 5131/1996, 6384/2001, 5061/2007).

2.6. Sulla scorta di tali principi si deve rilevare che, nel caso in esame, la questione del contraddittorio risulta essere stata implicitamente definita, in assenza di statuizioni in merito all’integrazione del litisconsorzio con i soci, all’esito del giudizio rescindente di cassazione e la circostanza che la richiamata sentenza delle SSUU n. 14815/2008 sia stata emessa solo dopo la decisione rescindente, non interferisce con tali principi, in quanto, comunque il giudice del rinvio non avrebbe potuto esorbitare dal perimetro segnato dalla sentenza di annullamento, nel quale non rientrava la questione del contraddittorio e del litisconsorzio, questione sulla quale – come già chiarito – si ravvisa un giudicato implicito interno.

2.7. La censura non coglie nel segno nemmeno laddove invita a prendere le distanze dall’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’enunciazione del principio di diritto “vincola il giudice del rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche se nel frattempo sono intervenuti mutamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità” (Cass. SSUU n. 17442/2006, cfr. Cass. anche n. 6086/2014), perchè detto principio non risulta pertinente e calzante con il presente caso: la richiamata sentenza delle SSUU infatti prende in esame l’effetto dei mutamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione sul principio di diritto dettato al giudice del rinvio, laddove, nel caso in esame, la questione del litisconsorzio necessario, implicitamente esclusa, non ha costituito oggetto di alcun principio di diritto, in quanto il rinvio al merito è stato disposto per difetti motivazionali.

2.8. Invero l’argomento proposto appare errato in quanto la parte ricorrente dimentica che, come già rimarcato, è proprio il principio di diritto indicato dalla Corte al giudice del rinvio che circoscrive lo spazio della materia giustiziabile, al di fuori della quale il giudice del rinvio non può assumere statuizioni, e trascura di considerare che gli effetti definitori del giudizio rescindente si consolidano per tutto ciò che, implicitamente o esplicitamente, si colloca al di fuori del principio di diritto sul quale è disposto il rinvio, come, nel presente giudizio, è la questione sul litisconsorzio necessario che non risulta ricompresa nel principio di diritto, e, al contrario, è coperta da un giudicato interno implicito.

2.9. Tale conclusione non è revocabile in dubbio nemmeno alla luce dei più recenti arresti della Corte secondo i quali, quando il principio di diritto al quale deve uniformarsi il giudice del rinvio, nelle more dello stesso, viene superato da una pronuncia della Corte di Giustizia o della Corte Costituzionale che abbiano immediata efficacia, il giudice del rinvio ne deve tenere conto, trattandosi di jus superveniens (Cass. nn. 19301/2014, 6086/2014, 13873/2012). Anche in questo caso, la questione riguarda solo i profili della decisione interessati dal principio di diritto e non tutti gli altri profili che esorbitano dall’oggetto specifico del rinvio.

2.10. A ciò consegue che la sentenza in esame appare immune dal vizio denunciato.

2.11. Quanto ai procedimenti riguardanti il socio P.R., che – secondo quanto riferito dal ricorrente – con diversa sorte, sarebbero stati rimessi dalla Corte di Cassazione dinanzi al giudice di primo grado per l’integrazione del contraddittorio in ragione del litisconsorzio necessario, va considerato che tale situazione trova agevole tutela e soluzione attraverso l’applicazione del consolidato orientamento delle sezioni unite della Corte, desumibile proprio dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 14815/2008, secondo cui “nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento dei redditi di società ed associazioni, ove, in violazione dei principi del litisconsorzio necessario, si formino giudicati “parziali” relativi a singole posizioni, i rapporti fra il giudicato parziale e le posizioni dei soggetti nei cui confronti non si sia formato il giudicato debbono essere risolti in base ai principi del contraddittorio e del diritto di difesa, per cui il terzo può trarre beneficio dal giudicato inter alios, ma non esserne pregiudicato”. Con la conseguenza, ulteriormente puntualizzata dalla Corte (Cass. n.12793/2014), che la formazione di un giudicato a carico di uno dei litisconsorti impedisce la concreta attuazione del litisconsorzio processuale, e tale giudicato – ove sia sfavorevole – non pregiudica la posizione degli altri litisconsorti (Cass. n. 12793/2014, conf. n. 17360/2014).

3.1. Terzo motivo – Si denuncia la omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e la violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Va premesso che la vicenda in esame riguarda l’accertamento di un più elevato volume di vendite, fondato sulla circostanza che i verificatori avevano ritenuto, in base al quantitativo di materie prime immesse in lavorazione in proporzione ai cali ed agli sfridi, la produzione di maggiori quantitativi di prodotto finito.

Sostiene la ricorrente che la Commissione nel motivare manifestando adesione alla sentenza emessa in pari data, sulla medesima vicenda nei confronti della società non avrebbe soddisfatto i suoi obblighi motivazionali.

3.2. Il motivo, così come eccepito dalla controricorrente, va respinto perchè inammissibile.

3.3. In prima battuta va considerato che la censura avrebbe dovuto essere svolta quale error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.4. Anche a voler superare questo aspetto, va ricordato che, come questa Corte ha già affermato, nel processo tributario, la motivazione di una sentenza può essere redatta “per relationem” rispetto ad un’altra sentenza non ancora passata in giudicato, purchè resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa, anche se connessa, causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico – giuridica (Cass. SSUU n 14814/2008, sez. 5 n. 107/2005).

Orbene nel caso in esame la CTR ha dato atto della esistenza della decisione resa contestualmente sulla medesima vicenda e vi ha prestato adesione, ed inoltre ha svolto una specifica valutazione circa la posizione del contribuente Pi.Pa., affermando che l’accertamento compiuto nei suoi confronti era derivato da quello compiuto nei confronti della società e che, in ragione di ciò, andava confermato.

3.5. Ciò posto va rilevato che la censura non solo non coglie nel segno, ma è anche astratta e non indica gli specifici e rilevanti elementi sui quali la CTR avrebbe omesso la motivazione o la avrebbe resa in modo non sufficiente.

4.1. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto, infondati i motivi primo e secondo ed inammissibile il terzo.

4.2. Le spese seguono la soccombenza per la fase di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – rigetta il ricorso per infondatezza dei motivi primo e secondo, inammissibile il terzo;

– condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 5.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 giugno 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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