Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12789 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6551-2019 proposto da:

KT&G CORPORATION, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI,67, presso

lo studio dell’avvocato ALBERTO IMPRODA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato RAFFAELLA ARISTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO – UFFICIO ITALIANO BREVETTI E

MARCHI, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

contro

SOCIEETE’ NATIONALE D’EXPLRATION INDUSTRIELLE DES TABACS ET ALUME ES

SASU;

– intimata –

avverso la sentenza n. 50/2018 della COMMISSIONE DEI RICORSI CONTRO I

PROVVEDIMENTI DELL’UFFICIO ITALIANO BREVETTI E MARCHI, depositata il

17/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’11 ottobre 2013 KT&G Corporation depositava la domanda di registrazione del marchio denominativo “Pine” (n. (OMISSIS)) per contraddistinguere prodotti rientranti nella classe 34 della classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai sensi dell’Accordo di Nizza.

Nei confronti della predetta domanda Societè Nationale d’Exploitation Industrielle des Tabacs et Allumettes SASU depositava un atto di opposizione basato su alcuni marchi comunitari anteriori diretti a contraddistinguere prodotti appartenenti alla medesima classe merceologica: marchi complessi, in cui compariva, come elemento denominativo, il termine “Fine”.

L’UIBM riteneva sussistere tra i segni un grado di somiglianza elevato sotto il profilo visivo e fonetico; accoglieva pertanto l’opposizione e negava la registrazione del marchio “Pine”.

2. – La successiva impugnazione della decisione era respinta dalla Commissione dei ricorsi con sentenza del 17 luglio 2018; in detta pronuncia veniva osservato come il segno denominativo “Fine” costituisse il cuore dei marchi della resistente e come, in conseguenza, ai fini dell’accertamento della somiglianza dei segni e del rischio di confondibilità, l’accertamento andasse effettuato ponendo a confronto i segni “Fine” e “Pine”. In proposito, la Commissione dei ricorsi reputava corretta la valutazione dell’UIBM che aveva rilevato l’alto livello di somiglianza, dal punto di vista visivo e fonetico, tra i due segni.

3. – Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione KT&G Corporation; resiste con controricorso il Ministero dello sviluppo economico. La ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Il Ministero ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per nullità della procura: ha contestato, in particolare, che il sottoscrittore della medesima fosse in possesso dei necessari poteri rappresentativi e che la procura stessa fosse stata “rilasciata ad un pubblico ufficiale dotato del potere di accertarne l’autenticità in conformità del diritto italiano”.

Tali eccezioni vanno disattese. Per un verso, la procura alle liti che – come nel caso in esame – è rilasciata da persona chiaramente identificabile, che abbia dichiarato la propria qualità di legale rappresentante dell’ente costituito in giudizio, è valida, incombendo su chi nega tale qualità l’onere di fornire la prova contraria (per tutte: Cass. 15 maggio 2020, n. 8987); per altro verso, la procura ad litem risulta certificata con regolare apostille (all. A al ricorso per cassazione): ed è appena il caso di rammentare che ai sensi della Convenzione sull’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l’Aja il 5 ottobre 1961 e ratificata dall’Italia con L. n. 1253 del 1966, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata proprio al rilascio, da parte dell’autorità designata dallo Stato di formazione dell’atto, di apposita apostille.

2. – Nel corso del giudizio di legittimità la ricorrente ha depositato un documento denominato “accordo di coesistenza tra marchi” con cui essa istante e Societè Nationale d’Exploitation Industrielle des Tabacs et Allumettes hanno reciprocamente riconosciuto ed accettato i diritti connessi ai marchi “Pine” e “Fine” e manifestato, ciascuna, la volontà di non opporsi alla registrazione del segno distintivo della rispettiva controparte. Correlativamente KT&G ha domandato che la Corte pronunciasse declaratoria di cessazione della materia del contendere.

Va disposto in tal senso, giacchè la specifica situazione di contrasto fra le parti è venuta meno in forza di tale nuovo assetto pattizio: questo costituisce superamento del provvedimento impugnato, regolante una interferenza tra i segni che gli stessi titolari reputano, oggi, insussistente. La definizione, in sede giurisdizionale, della detta interferenza, lungi dal passare in giudicato, resta quindi travolta dalla disciplina convenzionale contenuta nel richiamato accordo di desistenza.

3. – Quanto alle spese, esse sono regolate dal criterio della soccombenza virtuale. A tal fine occorre delibare il fondamento della domanda.

Con l’unico motivo di ricorso la società istante denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 12,20 e 25 c.p.i., assumendo l’erroneo svolgimento del giudizio di confondibilità tra marchi, in ragione di una non corretta individuazione e definizione del consumatore medio di riferimento, nonchè per l’erronea qualificazione del grado di percezione e attenzione delle persone alle quali i prodotti contrassegnati sono destinati. La ricorrente deduce che il parametro di riferimento, ai fini della comparazione tra i segni, non è l’astratta figura del consumatore medio, ma quella del consumatore medio di sigarette: la sentenza impugnata avrebbe invece impropriamente valorizzato il modello costituito dal consumatore medio italiano, in senso generico. E’ osservato che ove la Commissione dei ricorsi avesse preso in considerazione il consumatore di sigarette, con il suo specifico livello di attenzione e di competenza, che è particolarmente elevato, avrebbe attribuito rilievo alla spiccata fedeltà dello stesso al suo brand preferito.

Ebbene, tale motivo risulta essere inammissibile.

E’ senz’altro vero che la confondibilità tra i marchi in conflitto deve essere apprezzata avendo riguardo alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori interessati al genere dei prodotti contraddistinti dai segni in questione (Cass. 28 febbraio 2006, n. 4405; cfr. pure, in motivazione: Cass. 10 ottobre 2008, n. 24909; Cass. 27 maggio 2016, n. 11031; per la giurisprudenza comunitaria: Corte giust. 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer Co.; Corte giust. 12 gennaio 2006, causa C-361-04P, Picasso).

Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, tuttavia, la Commissione dei ricorsi non ha affatto disatteso tale principio. La sentenza impugnata ha preso infatti specificamente in esame la questione, posta dalla società ricorrente, vertente sulla circostanza per cui i consumatori di sigarette sarebbero “inclini ad utilizzare in genere la stessa marca”: e sul punto ha osservato che la rilevata confondibilità tra i segni sia comunque idonea ad indurre il consumatore ad acquistare i prodotti della ricorrente, che potrebbero essere quindi privilegiati rispetto a quelli della società che ha registrato il marchio “Fine”.

Viene dunque in questione un giudizio fattuale quanto alla confondibilità, in concreto, di segni in conflitto. Tale giudizio sfugge al sindacato di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. 13 marzo 2017, n. 6382; Cass. 5 febbraio 1979, n. 756). Nella fattispecie il vizio giuridico è escluso, in quanto, come si è detto, la Commissione ha operato il proprio accertamento prendendo in considerazione proprio la figura di consumatore interessato al prodotto che interessa, mentre il cosiddetto vizio logico (che nella disciplina processuale vigente può assimilarsi all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e all’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5) non è stato nemmeno dedotto.

Stante la soccombenza virtuale della ricorrente, il peso delle spese processuali grava, in conclusione, su di essa.

Il meccanismo sanzionatorio del raddoppio del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, è inapplicabile all’ipotesi, che qui ricorre, di cessazione della materia del contendere (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3542).

P.Q.M.

La Corte:

dichiara cessata la materia del contendere tra le parti; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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