Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12788 del 21/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 21/06/2016, (ud. 01/06/2016, dep. 21/06/2016), n.12788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22331-2010 proposto da:

BRESAOLE P. SRL, in persona dell’Amministratore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA GERMANICO 146, presso lo studio

dell’avvocato ERNESTO MOCCI, rappresentato e difeso dall’avvocato

EUGENIO BRIGUGLIO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI SONDRIO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 31/2010 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 18/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/06/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato BRIGUGLIO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito della verifica eseguita in data 18.10.1993 dalla G. di F. presso la società “Bresaole P. SNC”, veniva emesso l’avviso di rettifica n. (OMISSIS) relativa ad IVA per l’anno di imposta 1992, impugnato dalla società con esito favorevole sia in primo che secondo grado. Avverso questa decisione la Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione.

2. La Corte di cassazione con la sentenza n. 1145/2008 accoglieva il ricorso per “l’estrema genericità della motivazione ed il malgoverno dei principi giurisprudenziali in ordine alle regole che disciplinano la disamina dell’appello” e disponeva la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in altra composizione per il riesame.

3. Il giudizio, riassunto dall’Agenzia, veniva definito con la sentenza n.31/O1/2010, che accoglieva l’appello dell’Amministrazione.

Il secondo giudice affermava che l’avviso di rettifica si fondava su presunzioni gravi, precise e concordanti ed era conforme al dettato del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; quindi ripercorreva i vari elementi posti a fondamento dell’accertamento, segnatamente la disamina della documentazione reperita presso la società, ritenendo corrette le percentuali di scarto e sfridi determinate in base alla stessa, e, dopo aver considerato che la correttezza formale della contabilità non rispecchiava la realtà dei fatti, alla luce delle divergenze emerse in sede di ricostruzione, concludeva confermando l’avviso di rettifica.

4. La società Bresaole P., ora in forma di SRL, in persona del legale rapp. p.t. ricorre per cassazione avverso questa sentenza su un motivo, corredato da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Preliminarmente la società ricorrente ricorda che per effetto del verbale di constatazione della G. di F. del 18.10.1993, furono notificati, oltre l’avviso di rettifica IVA. oggetto del giudizio, anche l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società ai fini ILOR, nonchè l’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio P.P., ai fini IRPEF; segnala, quindi che le sentenze con le quali la CTR si è pronunciata sui suddetti avvisi di accertamento, a seguito di altro rinvio disposto dalla Cassazione, sono oggetto di altri separati ricorsi pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, nell’ambito dei quali è stata sollecitata l’integrazione del contraddittorio del giudizio instaurato dalla società mediante la chiamata in causa dei soci P. e P.R. e viceversa nel giudizio instaurato dal socio. La ricorrente, ipotizzando un potenziale conflitto tra giudicati qualora la richiesta di integrazione del contraddittorio venisse accolta, sollecita la Corte a valutare la possibilità di sospendere, ai sensi dell’art. 296 c.p.c., questo processo fino alla definizione dei processi relativi agli accertamenti ILOR ed IRPEF. 1.2. Unico motivo – Si denuncia la omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e la violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Va premesso che la vicenda in esame riguarda l’accertamento di un più elevato volume di vendite, fondato sulla circostanza che i verificatori avevano ritenuto, in base al quantitativo di materie prime immesse in lavorazione, la produzione di maggiori quantitativi di prodotto finito.

Sostiene la ricorrente che la Commissione, nel ritenere che dalle schede di lavorazione della società potessero desumersi i cali e gli sfridi in adesione alla tesi dei verificatori, aveva trascurato del tutto l’eccezione proposta dalla società secondo la quale i cali non potevano risultare dalle schede di magazzino (stese all’inizio del periodo di stagionatura), visto che gli stessi venivano rilevati alla fine della stagionatura.

1.3. In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” (Cass. SSUU n. 9936/2014, Sez. L. n.12002/2014) che consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., l’esame della richiesta di sospensione va posticipata rispetto all’esame del motivo, di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinato.

1.4. L’unico motivo, così come eccepito dalla controricorrente, va respinto per inammissibilità.

1.5. La doglianza, volta a contestare la decisione in merito alla valutazione della fondatezza dell’accertamento nel giudizio di rinvio, è inammissibile in quanto con essa la ricorrente si limita a sostenere che la Commissione Regionale non avrebbe speso alcun argomento valutativo sulle eccezioni svolte dalla società ed invoca a riprova, da un lato la favorevole pronuncia di primo grado, alla quale tuttavia, sicuramente non può ascriversi alcuna valenza probatoria, e dall’altro la perizia del dott. C. che, a dire della ricorrente sarebbe stata recepita nella sentenza penale definitiva n. 1949/1999 della Corte di Appello, con un argomento che si palesa come nuovo, atteso che non è chiarito se e quando la perizia sia stata depositata nel corso del giudizio di merito e non ve ne è cenno nella sentenza impugnata.

1.6. Quindi la società richiama sempre genericamente i pregressi atti processuali ed i documenti probatori, senza tuttavia specificare di quali documenti si tratti e quale ne sia la specifica rilevanza nel processo; al riguardo, consolidato orientamento della Suprema Corte ritiene inammissibile il ricorso ove il ricorrente non abbia adempiuto al rituale onere impostogli dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza (tra tante: Cass. nn.8490/2015, 22607/2014, 4220/2012).

1.7. In ragione dell’inammissibilità del motivo, risulta pertanto privo di specifica incidenza il richiamo alla recente giurisprudenza della Corte secondo la quale, qualora l’Agenzia abbia contestualmente proceduto, sia pur con distinti atti impositivi, all’accertamento di IVA e di ILOR, fondati su elementi anche solo in parte comuni, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA, che non sia suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario del simultaneus processus, attesa l’inscindibilità delle due situazioni e l’esigenza, alla luce dell’art. 111 Cost., di evitare decisioni irragionevolmente contrastanti (Cass. nn. 21340/2015, 2094/2015).

1.8. Ne consegue che la declaratoria di inammissibilità dell’unico motivo assorbe anche la richiesta di sospensione del processo.

2.1. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto per inammissibilità del motivo.

2.2. Le spese seguono la soccombenza per la fase di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso per inammissibilità del motivo;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 giugno 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2016

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