Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12786 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso

gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è

rappresentata e difesa.

– ricorrente –

contro

R.G.G.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza n. 102/04/11 della Commissione

tributaria regionale della Liguria, depositata in data 11 agosto

2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15.01.2020 dal Consigliere Roberta Crucitti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Umberto De Augustinis che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito per la ricorrente l’Avv. Alfonso Peluso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione Tributaria regionale della Liguria, nella controversia avente ad oggetto l’impugnazione da parte di R.G.G. di avviso di accertamento relativo a iperf e irap dell’anno 2003, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal contribuente, riformava la decisione della Commissione di prima istanza (di rigetto del ricorso introduttivo), riducendo il reddito di impresa accertato, con la detrazione di una somma che era stata, erroneamente, accreditata sul conto corrente bancario del contribuente da una Banca estera.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso, su tre motivi, l’Agenzia delle entrate.

Il contribuente non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la nullità della sentenza per non avere la C.T.R. dichiarato inammissibile l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale, perchè non depositato presso la Segreteria di quel Giudice.

La censura è fondata, con assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso. Dagli atti del fascicolo d’ufficio dei gradi di merito non risulta, infatti, il deposito dell’atto di impugnazione presso la segreteria della C.T.P. come richiesto, a pena di inammissibilità, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, nel testo vigente ratione temporis.

Trova, quindi, applicazione il principio consolidato di questa Corte (v., tra le altre, Cass. n. 22627 del 27/09/2017) per cui ” in tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, comma 7, introdotta dalla L. di conversione n. 248 del 2005, che ha aggiunto, alla fine del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, del la previsione secondo cui, ove il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, è conforme non solo a Costituzione (come statuito da Corte Cost. n. 43 del 2010) ma anche alla CEDU, art. 6, in quanto norma che regola l’accesso alla tutela giurisdizionale limitatamente alla fase di appello e non a quella di legittimità, ultimo grado del giudizio ove la parte può sempre far valere le proprie difese; parimenti non contrastante con la CEDU, art. 6, per il quale il legislatore può legittimamente applicare alle norme di procedura il principio “tempus regit actum”, è il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, che ha abrogato il detto art. 53, comma 2, con effetto limitato agli appelli spediti in epoca successiva alla sua entrata in vigore”.

Ne consegue la cassazione, senza rinvio ex art. 382 c.p.c., u.c., della sentenza impugnata perchè il processo non poteva essere proseguito.

La peculiarità della vicenda processuale induce a compensare integralmente tra le parti le spese del grado di appello.

In ossequio al principio di soccombenza l’intimato va condannato al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese liquidate come in dispositivo.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa senza rinvio la sentenza impugnata;

compensa integralmente tra le parti le spese del grado di appello;

condanna l’intimato alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 6.000,00 (seimila), oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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