Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12786 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 16/03/2011, dep. 10/06/2011), n.12786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33692/2006 proposto da:

M.V., titolare della omonima ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PREZIOSI Claudio con studio in AVELLINO VIA MATTEOTTI

22, (avviso postale), giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 352/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 28/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FREDA, per delega Avvocato

PREZIOSI, che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato GIACOBBE, che ha chiesto

preliminarmente l’inammissibilità e comunque il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1. Con sentenza n. 352/4/05, depositata il 28.10.05, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate di S. Angelo dei Lombardi avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto da M.V. nei confronti dell’avviso di accertamento, con il quale era stato elevato il reddito dichiarato del medesimo ai fini IRPEF ed IVA, per l’anno 1996.

2. La CTR, nella contumacia del contribuente, riteneva, invero, che fosse corretta la determinazione dei maggiori ricavi, operata dall’Ufficio sulla base dello studio di settore di appartenenza del M. – elaborato ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis, convertito in L. n. 427 del 1993 – come richiesto dallo stesso contribuente, sia pure con talune precisazioni apportate dall’Ufficio.

3. Per la cassazione della sentenza n. 352/4/05 ha proposto ricorso – nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – M.V., formulando un unico motivo, articolato in due censure.

L’amministrazione intimata non svolto attività difensiva.

Diritto

1. Il M. ha proposto, avverso l’impugnata sentenza emessa dalla CTR della Campania, un unico motivo di ricorso, ancorchè articolato in due censure.

1.1. Sotto un primo profilo, infatti, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione della L. n. 42 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies e degli artt. 116 e 290 c.p.c..

Il giudice di appello, invero, – a parere del ricorrente – non avrebbe fatto corretto uso dei criteri presuntivi di accertamento previsti dallo studio di settore (OMISSIS), elaborato ai sensi della L. n. 42 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, in violazione palese del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2. E ciò, sia in quanto il periodo di imposta in contestazione era precedente all’approvazione dello studio, che non sarebbe stato, pertanto, neppure applicabile alla fattispecie, sia in quanto la CTR avrebbe fondato la prova presuntiva in questione, non sul controllo degli elementi e dei calcoli suggeriti dallo studio di settore, bensì valorizzando esclusivamente la contumacia in appello del contribuente.

1.2. Sotto un secondo profilo, poi, il M. deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, che la CTR non avrebbe compiutamente assolto l’obbligo di motivazione, non avendo in alcun modo espresso le ragioni per le quali ha accordato la preferenza alla tesi dell’Ufficio sull’applicazione dello studio di settore, tralasciando di considerare le ragioni esposte dal contribuente nel ricorso di primo grado, e dando peso alla sola contumacia del medesimo nel giudizio di appello.

2. Premesso quanto precede, e prendendo le mosse dalla dedotta violazione di legge, osserva la Corte che la relativa censura si palesa del tutto infondata.

2.1. Va osservato, infatti, – in via di principio – che la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dal mero scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati. Ed invero, questi ultimi – sia con riferimento all’imposizione diretta, sia con riferimento all’IVA – legittimano, quando i valori ivi esposti superano il dichiarato dal contribuente, il ricorso all’accertamento analitico-presuntivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ponendosi in tal caso, detti “standards”, come uno strumento di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, che si affianca agli altri strumenti previsti dalle norme suindicate.

Ne discende che i suddetti parametri standardizzati devono, giocoforza, essere personalizzati con riferimento ai dati relativi all’attività in concreto svolta dal contribuente, sulla scorta degli elementi forniti da quest’ultimo in esito al contraddittorio, che va attivato obbligatoriamente con il medesimo, pena la nullità dell’accertamento analitico-presuntivo effettuato dall’amministrazione finanziaria. La motivazione dell’atto impositivo non può, pertanto, esaurirsi nel rilievo dello scostamento tra reddito dichiarato e parametri di riferimento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto, nonchè con l’indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese, dall’Ufficio, le contestazioni sollevate dal contribuente.

Su quest’ultimo, peraltro, incombe l’onere di muovere rilievi specifici ai coefficienti parametrici applicati, nonchè di provare – sia in sede amministrativa, che dinanzi al giudice tributario di merito – la sussistenza delle condizioni, anche con riferimento alla specifica realtà dell’attività economica esercitata, che giustifichino l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo “standard” prescelto dall’amministrazione finanziaria (cfr., in tal senso, Cass. S.U. 26635/09, Cass. 4148/09, Cass. 12558/10). In definitiva, dunque, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità dell’atto di accertamento fondato sui suddetti parametri, è tenuto a valutare, in primis, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, e solo una volta ritenuto che si sia formata una valida prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2727 c.c., e segg., dovrà dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, gravato da tale onere specifico (Cass. 9784/10).

2.2. Premesso quanto precede in via di principio, ritiene la Corte che, nel caso concreto, la CTR della Campania – contrariamente all’assunto del ricorrente – abbia fatto corretta applicazione delle norme concernenti l’utilizzazione degli “standards” elaborati a supporto dell’accertamento analitico-presuntivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54.

2.2.1. Al riguardo deve, infatti, anzitutto rilevarsi l’infondatezza dell’assunto del ricorrente, secondo il quale dovrebbe escludersi che lo studio di settore, prescelto dall’Ufficio nel caso concreto, abbia fondato validamente una presunzione ex art. 2727 e 2729 c.c., “trattandosi di periodo di imposta precedente rispetto a quello dell’approvazione”.

Ed invero, va rilevato in proposito che la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore, costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento egli strumenti di rilevazione della normale redditività, per categorie omogenee di contribuenti.

L’unitarietà del sistema giustifica – di conseguenza – la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente: applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, proprio perchè più affinato e, pertanto, più affidabile (Cass. S.U. 26635/09, 23602/08).

Se ne deve, dunque, necessariamente inferire, con riferimento al caso di specie, che del tutto legittimamente la CTR ha tratto materiale presuntivo da detto studio di settore, peraltro addirittura allegato, in prime cure, del medesimo contribuente, come si evince dallo stesso ricorso, oltre che dall’impugnata sentenza di appello.

2.2.2. Ciò posto, va rilevato che la CTR ha correttamente posto a fondamento della decisione lo studio di settore in questione, dando atto delle osservazioni che ad esso aveva apportato l’Ufficio, nonchè della mancanza di elementi di prova a sostegno delle proprie contestazioni da parte del contribuente. L’impugnata sentenza riporta, invero, condividendolo, il motivo di appello proposto dall’amministrazione e concernente la mancata produzione, da parte del M., della “documentazione contabile idonea per verificare la correttezza dei dati indicati”.

La decisione, dunque, men che basarsi esclusivamente su un preteso valore significativo, sul piano probatorio, della contumacia del contribuente nel giudizio di appello, appare, per contro, fondata sulla ben più pregnante inottemperanza all’onere della prova sul medesimo incombente, in ordine alle contestazioni mosse all’accertamento presuntivo effettuato dalla amministrazione.

Senza dire, poi, che in ogni caso anche la contumacia – contrariamente a quanto asserito dal ricorrente – non è del tutto sfornita di significato sul piano probatorio, ben potendo tale condotta processuale – ancorchè non equivalente ad ammissione dell’esistenza dei fatti dedotti dall’attore a fondamento della propria domanda – costituire un elemento liberamente apprezzabile dal giudice sul piano probatorio, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. (Cass. 3601/06, 7739/07).

3. Stando così le cose, è di tutta evidenza che nella specie non può neppure ritenersi sussistente, a giudizio della Corte, il dedotto vizio di motivazione.

La CTR ha, per vero, dato atto – sia pure in maniera sintetica – dei risultati del proprio giudizio, con riferimento allo studio di settore prescelto ed agli elementi presuntivi da esso desunti, nonchè alla mancanza di prove di segno contrario da parte del contribuente. Ebbene, siffatto giudizio non è certamente censurabile in cassazione in ordine al merito della valutazione operata dalla CTR, essendo sindacabile in questa sede soltanto per l’eventuale inadeguatezza o incongruità logica dei motivi addotti dal giudicante a sostegno del giudizio medesimo (Cass. 9784/10). E tuttavia, per tutte le ragioni suesposte, ritiene la Corte che tali vizi motivazionali siano del tutto insussistenti.

4. Il ricorso proposto dal M. non può, pertanto, che essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’amministrazione intimata nel presente giudizio, che liquida in Euro 800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 16 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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