Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12785 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. I, 25/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 25/05/2010), n.12785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2265/2008 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIA DI

COLLEREDO 46, presso lo studio dell’avvocato DE PAOLA Gabriele, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 395/06 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

PALERMO del 9/11/06, depositato il 19/12/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che F.F., con ricorso del 10 gennaio 2008, ha impugnato per cassazione – deducendo cinque motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Palermo depositato in data 19 dicembre 2006, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del F. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei ministri – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la somma di Euro 2.000,00 a titolo di equa riparazione, oltre accessori, ed ha compensato per intero tra le parti le spese del grado, “non avendo l’Amministrazione convenuta formulato opposizione al riconoscimento del diritto all’equa riparazione e tenuto conto del solo parziale accoglimento della domanda (sotto il profilo dell’entità del danno richiesto)”;

che resistono, con controricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 13.333,33 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 5 maggio 2 006, era fondata sui seguenti fatti: a) il F., che assumeva di essere creditore di differenze pensionistiche quanto ad aumenti retributivi concessi al personale in servizio, aveva proposto – con ricorso del 7 agosto 1998 – la relativa domanda dinanzi alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana; b) la Corte adita aveva deciso la causa con sentenza del 22 aprile 2005;

che la Corte d’Appello di Palermo, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto in due anni, anzichè in tre anni ed otto mesi, per l’elevato numero delle parti (1058) e per le novità delle questioni trattate, ed ha liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 2.000,00 calcolata sulla base di un importo annuo di Euro 1.000,00.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

preliminarmente, che il ricorso proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze è inammissibile, per carenza di legittimazione passiva di quest’ultimo;

che infatti, nella specie – trattandosi di processo presupposto celebrato dinanzi alla Corte dei Conti, e di processo per equa riparazione promosso anteriormente al 1 gennaio 2007 – legittimato passivo nel giudizio a quo e, conseguentemente, nel presente grado del giudizio è esclusivamente il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, terzo periodo, nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1224, comma efficace appunto, ai sensi del comma 1225 dello stesso art. 1, dal 1 gennaio 2007; che le relative spese del presente grado del giudizio possono essere compensate per intero tra le parti, in ragione del jus superveniens, che ha ingenerato alcune incertezze interpretative;

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la considerazione del solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto (tre anni), anzichè l’intera durata dello stesso; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) il mancato riconoscimento del diritto al supplemento di indennizzo per il danno non patrimoniale, in relazione al bonus forfetario dovuto in ragione della materia previdenziale trattata nel processo presupposto; d) la disposta compensazione integrale delle spese di giudizio, nonostante che la parte ricorrente fosse risultata – sia pure solo parzialmente – vittoriosa;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, in particolare, la censura sub a) è infondata, perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), con una chiara scelta non incoerente rispetto alle finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di correlare l’indennizzo al solo periodo eccedente la ragionevole durata di tale processo, eccedente cioè il periodo di tre anni per il giudizio di primo grado, quale quello di specie (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8714 del 2006, 14 del 2008, 10415 del 2009); che la censura sub b) è infondata, perchè i Giudici a quibus non si sono discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, ciò sulla premessa che il periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto andava determinato in due anni, anzichè in tre anni ed otto mesi, per l’elevato numero delle parti (1058) e per le novità delle questioni trattate, premessa non censurata dal ricorrente, dal momento che tutti i motivi sulla determinazione del danno non patrimoniale vertono sull’entità di tale danno rapportata ad anno, come si desume dal tenore dei quesiti di diritto e dall’enunciazione del fatto controverso;

che la censura sub c) è infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la liquidazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale possa giungere fino a 2000,00 Euro per anno, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo, potendo il giudice del merito tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 17684 del 2009);

che la censura sub d) è, invece, fondata in quanto, se la mancata opposizione dell’Amministrazione che ha dato causa all’azione non può giustificare la integrale compensazione delle spese di lite, non è neppure sufficiente a supportare tale pronuncia il parziale accoglimento della domanda, permanendo comunque una sostanziale soccombenza della stessa Amministrazione, che deve essere adeguatamente riconosciuta anche sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese processuali;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate, sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – previa compensazione delle stesse nella misura di due terzi dell’intero, in ragione dell’accoglimento della domanda per una minima entità -, per l’intero, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Gabriele De Paola, che le spese del presente grado di giudizio – compensate per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze e compensa per intero tra le parti le spese del presente grado del giudizio; accoglie il ricorso proposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Presidente del Consiglio dei ministri al rimborso, in favore della stessa parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Gabriele De Paola, dichiaratosene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

 

 

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