Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12783 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 16/03/2011, dep. 10/06/2011), n.12783

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33513-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 197/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LECCE, depositata il 13/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIACOBBE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 25.11.2006 è stato notificato a V.M. un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata 13.10.2005). che ha respinto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecce n. 758/02/1995 che aveva accolto il ricorso dello stesso contribuente avverso avviso di accertamento del reddito d’impresa per l’anno d’imposta 1990.

Non si è costituita la parte intimata.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 16.3.2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con il menzionato avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate ha rettificato il reddito d’impresa di V.M. mediante procedimento induttivo ai sensi del D.L. n. 69 del 1989, artt. 11 e 12 e del D.P.C.M. 23 dicembre 1992 avvalendosi dei coefficienti presuntivi ivi determinati.

Il ricorso del contribuente avverso detto provvedimento (incentrato sull’assunto che il provvedimento stesso risultava fondato sulla sola valenza probatoria dei coefficienti presuntivi) è stato accolto dal l’adita CTP di Lecce e l’appello promosso dall’Agenzia contro la sentenza di primo grado è stato disatteso dalla CTR di Bari.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che anche in presenza dei presupposti di fatto necessari all’applicazione dello strumento presuntivo di determinazione del reddito non è consentito – pena la violazione della disciplina dettata dall’art. 53 Cost. un automatismo vincolante in ordine agli effetti di detta applicazione, imponendosi comunque la valutazione della situazione effettiva del contribuente e l’analisi della conlabilità d’impresa onde identificare incongruenze che consentano all’Ufficio di avvalersi delle modalità induttive dell’accertamento.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con unico motivo d’impugnazione e – dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 50.000.00 circa – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo ed unico motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 69 del 1999, art. 11, commi 1 e 2 comma; art. 12 conv. L. n. 154 del 1989;

del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4; dell’art. 97 c.c. del D.P.C.M. 23 dicembre 1999 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il predetto motivo di impugnazione la ricorrente Agenzia si duole del fatto che i giudice di secondo grado abbia ritenuto insufficiente il riferimento ai coefficienti previsti nel menzionato DPCM, in difetto di ulteriori elementi utili a sorreggere la determinazione induttiva del reddito, e ciò in contrasto con gli indirizzi giurisprudenziali di legittimità, che esonerano l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei “fattori-indice” della capacità contributiva individuati nel predetto decreto e prevedono un meccanismo di inversione probatoria a carico del contribuente, onerato della dimostrazione che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Anche nella specie di causa il contribuente non aveva fornito detta prova, sicchè sarebbe dovuto risultare soccombente.

Il motivo è fondato e deve essere accolto.

Questa Corte ha infatti chiarito in numerose occasioni che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla procedura di determinazione induttiva dell’ammontare dei ricavi e dei compensi sulla base di coefficienti presuntivi, disciplinata dal D.L. 2 marzo 1989, n. 69, artt. 11 e 12 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 154 del 1989), il principio della flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento nell’art. 53 Cost., non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere dalla capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ne consegue che, anche in ipotesi di legittima utilizzazione dei coefficienti presuntivi da parte dell’amministrazione, è sempre ammessa a carico del contribuente la prova della inapplicabilità dei parametri at caso concreto; tale prova può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il giudice nel suo prudente apprezzamento può configurare e valutare” (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19163 del 15/12/2003 che è proprio la pronuncia richiamata dalla sentenza qui impugnata a sostegno della contraria conclusione).

E’ corretto quindi l’assunto di parte ricorrente secondo cui una siffatta modalità di determinazione induttiva del ricavo d’impresa (pur senza costituire un automatismo vincolante in ordine agli effetti) implica l’esonero dell’Amministrazione da qualunque ulteriore prova vuoi della non corretta tenuta della contabilità d’impresa vuoi della capacità contributiva in concreto riferibile alla parte contribuente, sicchè resta infine a carico di quest’ultima di fornire la prova che il reddito presuntivamente determinato non esiste o esiste in misura inferiore. Ed è proprio questa facoltà di prova contraria che ovvia al rischio dell’automatismo di cui si è fatto carico il giudice del merito.

peraltro giungendo a conclusioni esuberanti e contraddittorie.

Ed insomma, erroneamente il giudicante di secondo grado ha ritenuto soccombente l’Amministrazione Finanziaria per non avere quest’ultima fornito la prova di specifiche incongruenze o di altri fatti che inducano a ritenere non veritieri i dati dichiarati, siccome condizione per procedere poi alla determinazione induttiva del reddito.

Nè potrebbe valere nella specie di causa il riferimento che il giudicante ha fatto alla necessità che non si pretermetta il “confronto con la situazione concreta”.

Infatti è ben vero che questa Corte ha posto in evidenza (nella nota pronuncia a sezioni unite n. 26635 del 18/12/2009) che vi è per la Amministrazione obbligo di attivazione del contraddittorio a pena di nullità, proprio finalizzato a consentire di raggiungere una piena conclusione circa la questione dell’applicabilità in concreto degli standards normativi prescelti (oltre che per consentire al contribuente di formulate eventuali specifiche contestazioni della sussistenza dei presupposti di legge), ma è pur vero che nella specie di causa non risulta contestato che il contraddittorio sia stato debitamente attivato, sicchè non vi è ragione di supporre che il confronto con la situazione concreta del contribuente sia stato eluso o dimenticato.

Poichè non necessitano ulteriori accertamenti di fatto che giustifichino la rimessione della questione al giudice del merito, e la omessa costituzione della parte contribuente determina che non siano state riproposte eventuali questioni non esaminate nel corso dei precedenti gradi di giudizio, questa Corte ritiene di decidere la controversia anche nel merito (in applicazione dell’art. 384 c.p.c.) e perciò rigetta integralmente l’impugnazione del provvedimento impositivo proposta dalla parte contribuente.

La regolazione delle spese di lite di tutti i gradi del processo è informato al criterio della soccombenza.

PQM

la Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e decidendo nel merito, rigetta il ricorso avverso il provvedimento impositivo proposto dalla parte contribuente. Condanna la parte intimata a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 2.500.00 per onorario, oltre spese prenotate a debito, e le spese dei pregressi gradi di giudizio, liquidate in Euro 1.800.00 per ciascun grado, di cui Euro 1.300,00 per onorario ed il resto per diritti.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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