Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12780 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 13/05/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12591-2020 proposto da:

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 137,

presso lo STUDIO MONTEFIORI-CUCINA, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO GARDINI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

08/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Paola

Vella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Bologna ha rigettato le domande di protezione internazionale o umanitaria proposte dal cittadino bengalese F.R., nato a (OMISSIS), di religione musulmana, il quale ha dichiarato: di essere unico figlio maschio, con tre sorelle non sposate che vivono coi genitori nel villaggio natale; di aver dovuto interrompere gli studi a causa dell’estrema povertà della sua famiglia; di essere stato costretto a lasciare il Bangladesh quando il padre, nel 2016, contrasse una grave malattia ai reni, che richiedeva un trapianto, e i soldi guadagnati dalla madre come domestica non bastavano per le sue costose cure ospedaliere (circa 30-35mila taka al mese per dialisi e trasfusioni); non riuscendo a trovare lavoro, egli aveva ottenuto un prestito di 4 lak da un trafficante (tale S.S.), per recarsi in Libia, dove era stato catturato da uomini libici che lo avevano tenuto prigioniero senza cibo nè acqua, riuscendosi poi a liberare, con l’aiuto di connazionali, e a trovare un lavoro nel settore delle pulizie; di essere poi partito per l’Italia nel 2017, quando in Libia la situazione era precipitata; di temere, in caso di rimpatrio, di non poter più sostenere economicamente la famiglia per le cure mediche del padre; di aver saputo che il suddetto trafficante si era recato dalla sua famiglia, aveva distrutto i mobili e li aveva minacciati che avrebbe venduto la sorella più piccola per recuperare i suoi soldi; che la madre in quell’occasione non si era rivolta alla polizia sentendosi nel torto, visto che il prestito non era stato onorato.

1.1. Avverso la decisione del Tribunale il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, corredato da memoria datata 4 gennaio 2021; il Ministero intimato non ha svolto difese.

2. A seguito di deposito della proposta ex art. 380 bis c.p.c. è stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2.1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1A, Conv. Ginevra 1951; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e art. 14, lett. b), nonchè “omesso esame di fatti decisivi” e “motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria”, “ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”;

2.2. il secondo mezzo prospetta la “illegittimità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 23 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27; artt. 16 e 46 dir. 2013/32/UE; artt. 6 e 13 Conv. EDU; art. 47 Carta diritti fondamentali UE” nonchè “violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria”;

2.3. il terzo denunzia “violazione ed errata applicazione D.Lgs. 25 novembre 2007, art. 14, lett. b) – Illegittimità per il mancato esame degli elementi relativi all’integrazione del richiedente”, ai fini della protezione umanitaria.

3. I primi due motivi presentano vari profili di inammissibilità.

3.1. Innanzitutto, essi veicolano vizi eterogenei senza trattarli separatamente, in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 30019/2020, 29100/2020, 28791/2020, 6734/2020, 32952/2019, 16756/2019, 26874/2018, 26790/2018, 27458/2017, 19133/2016).

3.2. In secondo luogo, le censure motivazionali sono formulate senza l’osservanza dei canoni imposti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5), per cui il ricorrente è tenuto a indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nonchè la sua “decisività” (ex multis Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020).

3.3. Infine, entrambi i motivi difettano di specificità e attengono a valutazioni di merito, rispettivamente in punto di credibilità e C.O.I.

4. Merita invece accoglimento il terzo motivo, con riguardo alla protezione umanitaria – misura astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019), non trovando immediata applicazione in questa sede la nuova disciplina introdotta dal D.L. 22 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173 (Cass. 28316/2020) – stante la necessità di soppesare le vulnerabilità personali e familiari non solo prospettate, ma anche documentate dal ricorrente (v. referti medici del padre, fotografie dei genitori, certificati di nascita e di nazionalità), nella misura in cui l’aspetto meramente economico, di cui egli si è fatto responsabilmente carico, ridonda su diritti fondamentali e inviolabili dei suoi stretti familiari, come la salute e il sostentamento economico essenziale, nell’assunto che le cure mediche necessarie non risultino possibili presso le strutture sanitarie pubbliche del paese di provenienza.

4.1. Invero il Tribunale non ha escluso la credibilità del ricorrente quanto al prestito ottenuto, alle minacce provenienti dal creditore e alla estrema povertà della famiglia, nè ha messo in discussione che il denaro sia necessario per fornire al padre le costose cure necessarie per sopravvivere alla grave patologia sofferta (che richiederebbe un trapianto), ma ha rifiutato la protezione umanitaria in ragione della contingenza di tale situazione – la quale però è del tutto compatibile con la natura temporanea della tutela invocata – nonchè del possesso di una “sufficiente educazione per poter reperire una sistemazione lavorativa in Bangladesh”, nonostante il ricorrente abbia dichiarato di non essere riuscito a trovare lavoro nel suo Paese, di aver tentato di lavorare in Libia e di aver infine trovato un’occupazione lavorativa in Italia, debitamente documentata.

4.2. Ai fini della protezione umanitaria occorre quindi tener conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, 29459/2019) in base ai quali: i) la norma che prevede tale misura va collegata ai diritti fondamentali che l’alimentano; ii) gli interessi così protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicchè l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni (ex multis, Cass. 13079/2019, 13096/2019); l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell’art. 8 della Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione; iv) va dato seguito all’orientamento di legittimità (inaugurato da Cass. 4455/2018 e seguito ex plurimis, da Cass. 11110/2019, 12082/2019) e alla prevalente giurisprudenza di merito che assegnano rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 Cedu, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (cfr. inter alia, Cass. nn. 2563, 2964, 3780, 5584, 7675, 7809, 8232, 8020, 26148 del 2020).

5. Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio, per una compiuta motivazione sulla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, alla luce dei principi sopra riepilogati, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il terzo motivo, rigetta i primi due, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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