Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12780 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2011, (ud. 08/03/2011, dep. 10/06/2011), n.12780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31576-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

P.A., C.R., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA NICOTERA 24, presso lo studio dell’avvocato CAPUA CARLO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAPUA ALBERTO, giusta

delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 134/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 26/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento notificato per l’anno d’imposta 1990, l’amministrazione finanziaria rettificò la dichiarazione dei redditi dei coniugi P.A. e C.R. in ragione di maggiori redditi desunti da contratti di sublocazione immobiliare.

I contribuenti proposero impugnazione deducendo di aver dichiarato le relative somme, sebbene inserendole tra i redditi di fabbricati, e di aver fruito della definizione di cui al D.L. n. 564 del 1994, conv.

con mod. in L. n. 656 del 1994. La commissione tributaria provinciale accolse parzialmente il ricorso, osservando che in effetti il corrispettivo della locazione, pur dichiarato, doveva essere denunciato tra i redditi diversi, donde andavano riliquidati gli importi ancora da versare tenendo conto di quanto già pagato a diverso titolo.

La sentenza venne gravata dall’agenzia delle entrate con appello principale e dai coniugi P. con appello incidentale.

La commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza qui impugnata, osservato che in verità l’amministrazione appellante non aveva formulato specifiche censure alla decisione di primo grado, essendosi limitata a effettuare una esegesi della medesima culminata in una seria mera di interrogativi senza risposta, dichiarò cessata la materia del contendere sulla assorbente considerazione che il contribuente aveva aderito al concordato ex D.L. n. 564 del 1994 e che tale definizione, in base alla documentazione in atti, era stata ritenuta valida dall’ufficio finanziario, con correlata liquidazione e successivo pagamento delle relative imposte.

Per la cassazione di questa sentenza, l’agenzia delle entrate propone ricorso affidato a un motivo. Gli intimati resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con l’unico motivo suddetto, l’agenzia delle entrate, seppure asserendo di dedurre “violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 564 del 1994, art. 2-bis conv. in L. n. 656 del 1994, del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. h) Tuir nonchè contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)”, si limita a una testuale affermazione di esistenza di un error in iudicando.

E’ dunque estraneo alla devoluzione, siccome riscontrato da argomentazione veruna, il vizio genericamente evocato col riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2. – L’errore di giudizio, in effetti denunciato, sarebbe dato dal fatto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla commissione territoriale, i contribuenti, avendo fruito dell’accertamento con adesione nella versione originaria, conseguente al D.L. n. 564 del 1994, non potevano rivendicare l’estensione degli effetti alla materia imponibile che qui rileva, essendo questa riconducibile nel novero dei cd. redditi diversi, a fronte della praticabilità del concordato di massa (anteriormente al D.Lgs. n. 218 del 1997) ai soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili;

e dunque ai soli titolari di redditi d’impresa o di redditi di lavoro autonomo.

3. – Il ricorso va rigettato per l’assorbente considerazione che il succitato motivo si basa su un’allegazione che non risulta essere stata dall’amministrazione consegnata all’ambito dei motivi spesi con 1′ appello.

L’impugnata sentenza al riguardo testualmente evidenzia che “l’ufficio nel proprio appello non formula specifiche censure alla decisione di I grado ma si limita a effettuare, come egli stesso dichiara, una “esegesi della medesima” ponendo una serie di interrogativi ai quali non da risposta”. L’assunto che caratterizza l’esposizione in fatto di cui al ricorso per cassazione – della legittima inclusione tra i cd. “redditi diversi” del reddito scaturente dal rapporto di sublocazione – oltre a non apparire supportato da autosufficienza non contenendo, il ricorso, la riproduzione del contenuto dell’atto invocato con riguardo alla sede processuale afferente, non supera in ogni caso il necessario livello di pertinenza e di specificità che si imponeva in forza dell’argomentazione ritenuta in sentenza. Giacchè il problema, già all’esito della decisione di primo grado, atteneva al comunque distinto (e solo in parte collegato) profilo della efficacia della incontroversa adesione dei contribuenti al concordato di massa.

D’altronde può osservarsi che l’amministrazione ricorrente non muove critica al punto della decisione di merito che evidenzia che la proposta di concordato, nella specie formulata su iniziativa del contribuente, venne ritenuta valida dall’ufficio; sì che, liquidata l’imposta, il contribuente procedette al relativo pagamento.

Pertanto va ritenuta l’inammissibilità del motivo di ricorso, nella misura in cui esso si incentra su una questione (della inefficacia dell’adesione al concordato) che non risulta sollevata nei gradi di merito.

Tanto sorregge il rigetto del ricorso per cassazione, rimanendo assorbiti gli ulteriori profili di diritto.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 8 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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