Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1278 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 22/01/2021), n.1278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3473-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliatisi in ROMA, VIA SICILIA

66, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ESPOSITO, che lo,

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 121/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 14/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal RAFFAELE ROSSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con tre distinti avvisi di accertamento riferiti alle annualità d’imposta 2005, 2006 e 2007, l’Agenzia delle Entrate, disconosciuti i costi portati da fatture emesse in favore di M.M. da varie società (Consortium s.r.l., Cassiopea s.a.s. e Anthologia s.r.l.) in quanto relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, procedeva alla rettifica del reddito imponibile della M. ai fini IRPEF, IVA ed IRAP e recuperava a tassazione le imposte dovute e non versate, maggiorate di interessi e sanzioni.

Le separate impugnative spiegate da M.M. venivano, previa riunione delle controversie, parzialmente accolte in prime cure dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale annullava in toto gli accertamenti relativi all’IRAF per i tre periodi d’imposta nonchè gli accertamenti per IRPEF ed IVA per gli anni 2006 e 2007, confermando l’accertamento concernente IRPEF ed IVA per l’anno 2005 limitatamente alle prestazioni fatturate dalla s.a.s. Cassiopea.

I contrapposti appelli spiegati in via principale dall’Ufficio ed in via incidentale dalla contribuente sono stati disattesi dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano con la sentenza n. 121/20/13 resa in data 14 giugno 2013.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a due motivi; resiste, con controricorso illustrato da memoria, M.M..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta l’errore di diritto in cui è incorsa la sentenza impugnata con il ritenere – male applicando i criteri di riparto dell’onere probatorio – non sufficienti a fondare la rettifica delle dichiarazioni a fini IRPEF ed IVA le presunzioni semplici addotte dall’Amministrazione finanziaria, quantunque basate su indizi gravi, precisi e concordanti.

2. Con il secondo motivo, per omessa motivazione in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio e controverso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’impugnante denuncia come la C.T.R. abbia mancato di prendere posizione (omettendo di indicare il proprio convincimento) in ordine al fatto oggetto del contendere, ovvero se le prestazioni fatturate fossero state realmente rese in favore della M..

3. Le doglianze – avvinte da intrinseca connessione e quindi da vagliarsi congiuntamente – sono fondate.

3.1. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di nomofilachia che l’Amministrazione finanziaria, ove contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della cleducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.

Più in dettaglio, la dimostrazione a carico dell’amministrazione è raggiunta qualora siano forniti validi elementi – che, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. c), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi – per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino “in modo certo e diretto” la “inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati” ovvero la “inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione”.

Nell’ordinamento tributario, infatti, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati del D.P.R. n. 600 del 1973, citato art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, citato art. 54, sono idonee, di per sè sole considerate, a fondare il convincimento del giudice.

Assolto in tal guisa (ed anche attraverso verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti: espressamente, in tal senso, Cass. 13/07/2017, n. 17260) l’onere della prova incombente sull’Amministrazione, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate (sulla distribuzione dell’onere probatorio in fattispecie di operazioni oggettivamente inesistenti, cfr., tra le tantissime, Cass. 19/12/2019, n. 33915; Cass. 19/10/2018, n. 26453; Cass. 05/07/2018, n. 17619; Cass. 15/05/2018, n. 11873; Cass. 14/09/2016, n. 18118; Cass. 14/01/2015, n. 428; Cass. 05/12/2014, n. 25775; Cass. 06/06/2012, n. 9108).

Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697 c.c., comma 2 (specificamente, sul punto, Cass. 07/06/2017, n. 14237; Cass. 23/04/2010, n. 9784).

3.2. Del descritto percorso argomentativo, da seguirsi in giudizi come quello ora sottoposto all’esame di questa Corte, non si riscontra traccia alcuna nella sentenza impugnata.

Per dare conto di ciò, si riproduce testualmente la motivazione adottata dalla C.T.R. per disattendere l’appello dell’Ufficio: “Nel presente processo di appello non si evidenziano scostamenti rispetto a quanto deciso e deciso in prima istanza. La sentenza dei primi giudici è ritenuta adeguatamente motivata in ogni sua parte. Circa l’aspetto sostanziale, le pretese dell’Agenzia delle Entrate non hanno riscontro adeguato. Si poggiano esclusivamente su presunzioni di legge senza alcun richiamo alla realtà neanche in opposizione alle giustificazioni apportate dalla contribuente”.

3.3. Si tratta, in tutta evidenza, di una sorta di motivazione “per relationem”, che si esaurisce cioè in un rinvio adesivo alla decisione di prime cure, della quale non viene riportato (nemmeno in minima parte) l’iter logico-argomentativo.

Sennonchè, secondo l’insegnamento consolidato di questa Corte, la motivazione “per relationem” della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima unicamente se e in quanto il giudice d’appello, facendo propri gli argomenti del primo giudice, esprima, sia pure in modo conciso, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo appagante e concreto. All’inverso, deve essere cassata la sentenza d’appello allorquando – come nella specie – la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta di ritenere che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice di appello sia pervenuto attraverso la disamina e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive e degli elementi di prova addotti (sulla motivazione “per relationem”, vedi, ex plurimis, Cass. 23/07/2020,n. 15757; Cass. 05/08/2019,n. 20883;Cass.05/11/2018, n. 28139; Cass. 05/10/2018, n. 24452;Cass.21/09/2017, n. 22022; Cass. 06/05/2015, n. 9068).

In sostanza, nel caso de quo, era necessario che, sia pur sinteticamente, la C.T.R. fornisse una risposta alle censure formulate, nell’atto di appello, dall’Agenzia soccombente, concernenti la idoneità degli elementi addotti a provare l’inesistenza delle operazioni (la genericità, nelle fatture, dell’indicazioni delle prestazioni, la mancanza di un contratto tra la contribuente e la società emittente fattura e di altri documenti comprovanti l’effettuazione della prestazione; la mancata predeterminazione dei compensi), potendo risultare solo per questa via appagante ed effettivo il percorso argomentativo eventualmente desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle sentenze di primo e secondo grado.

Esame dei motivi di appello che risulta, per contro, del tutto mancante, talchè le innanzi trascritte asserzioni di adesione alla decisione di primo grado risultano del tutto acritiche, svincolate dal contenuto del gravame, indefinite ed in definitiva insignificanti, siccome astrattamente idonee ad attagliarsi a qualsivoglia ipotesi, con l’effetto di rendere la motivazione espressa puramente figurativa e sostanzialmente apparente.

4. Accolto il ricorso, la sentenza gravata va cassata limitatamente alle statuizioni attinte dalla presente impugnazione, cioè a dire l’accertamento relativo ad IRPEF ed IVA per le annualità 2006 e 2007 e quello relativo all’annualità 2005 scaturente dalle fatture emesse dalla s.r.l. Consortium, restando invece definitivamente coperta dal giudicato la pronuncia avente ad oggetto la non debenza, per tutti i periodi di imposta, dell’IRAP nonchè la legittimità dell’accertamento fondato sulle fatture emesse dalla s.a.s. Cassiopea.

Al giudice del rinvio, individuato nella Commissione Tributaria Regionale di Milano in diversa composizione, è altresì demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta Sezione Civile, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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