Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12778 del 25/05/2010

Cassazione civile sez. I, 25/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 25/05/2010), n.12778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.F., con domicilio eletto in Roma, P.le Belle Arti n.

1, presso l’Avv. de Paola Gabriele che lo rappresenta e difende come

da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione del decreto della corte d’appello di Palermo n.

7/07 Rep. depositato il 9 gennaio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.F. ricorre per Cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 2000,00 per tre anni di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale e’ stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, dal 7 agosto 1998 fino al 22 aprile 2005.

Resiste la sola Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso.

La causa e’ stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Luigi Salvato con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

I ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente essere rilevata d’ufficio l’inammissibilita’ del ricorso proposto nei confronti del ministero dell’Economia e delle Finanze.

Giova osservare, in proposito, che alla data di presentazione della domanda (maggio 2006) la legittimazione passiva, per i procedimenti ex L. n. 89 del 2001 in cui il giudizio presupposto si era svolto avanti la Corte dei Conti, apparteneva in via esclusiva alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per espressa previsione della L. n. 89 del 2001, art. 3 e che la modifica intervenuta con la L. n. 296 del 2006 (c.d. Finanziaria 2007) che invece ha attribuito la legittimazione al solo Ministero dell’Economia e delle Finanze si applica, per puntuale dettato normativo (art. 1, comma 1225), ai procedimenti iniziati dopo l’entrata in vigore della legge citata. Si configura pertanto l’inammissibilita’ del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che tale ente, che non era parte nel giudizio di primo grado, e’ legittimato per i giudizi de quibus a far tempo dalla data indicata e nessuna successione si verifica nel diritto controverso per i procedimenti anteriori per i quali permane a pieno titolo la esclusiva legittimazione della Presidenza del Consiglio.

La relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente letterale tenore:

“1.- Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24 e 101 Cost., art. 6, par. 1, CEDU, L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 96 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). In sintesi, il ricorrente censura la quantificazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale e, richiamando alcune sentenze di questa Corte, deduce che, considerando 3 anni di durata ragionevole residuano comunque 3 anni e mezzo di durata irragionevole, e pone la seguente questione: la fonte del diritto in questione va rinvenuta anche nella CEDU ed il parametro da rispettare sarebbe di Euro 2.000,00 per ogni anno di durata del procedimento.

Il mezzo si chiude con quesito diretto ad ottenere l’affermazione che la valutazione equitativa del danno costituisce violazione di legge, dovendo il giudice nazionale conformarsi alle liquidazioni della Corte EDU che, per le cause in materia pensionistica, avrebbe stabilito il parametro di Euro 2.000,00 per ogni anno di durata del procedimento e, comunque, il parametro di Euro 1.500,00, e in linea subordinata, di Euro 1.000,00 per anno di durata irragionevole, avrebbe dovuto essere tenuto presente dal giudice del merito.

Il ricorrente, con il secondo motivo, denuncia omessa ed insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto controverso rilevante (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui: a) il decreto non ha considerato i parametri della Corte EDU nella liquidazione del danno; b) erroneamente la Corte territoriale considera nel caso di specie un ritardo complessivo di anni 6, laddove il ritardo dal 7 agosto 1988 recte, 1998 al 22 aprile 2005 e’ di anni 6, 8 mesi e 15 giorni, avendo il decreto operato un arrotondamento che si configura come palese travisamento dei fatti.

Il mezzo si chiude con quesito che pone la seguente questione: in riferimento ai giudizi in materia pensionistica il danno non patrimoniale non potrebbe essere liquidato in via equitativa e dovrebbe osservarsi almeno il parametro minimo della Corte EDU di Euro 1.000,00 per anno di ritardo e, in mancanza di adeguata motivazione il parametro, in materia pensionistica, non potrebbe essere arrotondato in peius.

1.1.- Il ricorrente, con il terzo motivo (indicato come 1 relativo alla compensazione delle spese) denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 92 c.p.c., secondo 2, nel testo novellato dalla L. n. 263 del 2005, della L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 4 come modificato dalla L. n. 51 del 2006 (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che non sarebbero stati indicati i giusti motivi della compensazione delle spese del giudizio e si chiude con quesito di diritto diretto ad ottenere l’enunciazione di principio in virtu’ del quale, in caso di compensazione totale delle spese di lite non supportata da adeguata motivazione, sara’ sempre possibile esperire impugnazione sul punto (…), essendo comunque irrilevante l’adesione del convenuto alla domanda.

Il quarto motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, nella parte in cui il giudice del merito ha motivato la compensazione delle spese con la mancata opposizione della convenuta e con il parziale accoglimento della domanda, senza considerare che questa era stata formulata avendo riguardo la giurisprudenza della Corte EDU, con conseguente illogicita’ della motivazione ed in tali termini e’ formulato quesito di diritto.

2,- In linea preliminare, va osservato che, in relazione ai quesiti di diritto formulati nei mezzi che denunciano il vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in considerazione della lettera dell’art. 366 bis c.p.c., gli stessi vanno apprezzati esclusivamente quale momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) strumentale al fine di circoscrivere puntualmente i limiti della censura (Cass. S.U. 20603 del 2007; Cass. n. 8897 e n. 4309 del 2008).

I primi due motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto giuridicamente e logicamente connessi, sembrano manifestamente fondati, entro i limiti di seguito precisati.

Nella giurisprudenza di questa Corte sono consolidati i seguenti principi:

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte Europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, considerando che detta Corte ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo (per tutte, Cass. S.U. n. 1340 del 2004; Cass. n. 30571 e n. 29554 del 2008; n. 23844 de 2007), che segna l’ambito della ponderazione affidata al giudice del merito, la cui osservanza esonera da una specifica motivazione, vieppiu’ in difetto della prospettazione di specifici elementi, relativi alla fattispecie controversa, dedotti dalla parte e ragionevolmente espressivi delle circostanze che consentano di non osservarlo;

i giudici Europei hanno affermato che l’attribuzione di un indennizzo piu’ elevato va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha, quindi, fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali; tuttavia, cio’ non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, e’ probabile che siano di una certa importanza, e non significa affatto che per esse il parametro sia di Euro 2.000,00 per anno (tra le molte, Cass. n. 30571 e n. 18012 del 2008);

il danno non patrimoniale va quantificato in applicazione del citato parametro, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entita’ della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 30571, n. 30570 e n. 29494 del 2008) e la deroga, purche’ motivata e non irragionevole, esclude il vizio di violazione di legge (tra le molte, Cass. n. 6898 del 2008;

n. 23844 del 2007);

la Corte EDU ha, infatti, affermato che la somma concessa dipende dall’apprezzamento del giudice nazionale (sentenza 5 luglio 2007, ricorso n. 62157 c. Italia), che puo’ essere svolto anche in via equitativa, in quanto lo stesso giudice Europeo ha indicato di avere privilegiato un approccio che ha reso necessaria la fissazione di parametri secondo principi di equita’ per i risarcimenti di danni non patrimoniali (sentenza della Grande Camera 29 marzo 2006, sul ricorso n. 64886/01 C. Italia), censurando il discostamento dal parametro minimo da essa fissato soltanto qualora sia manifestamente irragionevole (per tutte sentenza della Grande Camera 29 marzo 2006, sul ricorso n. 65102/01 v. Italia); in particolare, dalla giurisprudenza della Corte EDU e da nove sentenze della Grande Camera del 29 marzo 2006 ( S. n. 1, A., C., M., Mu. 1 e 2, P., R.P., Z.) si desume che e’ reputato adeguato un indennizzo non inferiore al 45% di quello, di regola, ottenibile dal giudice Europeo, evidentemente avendo riguardo anche al parametro di Euro 1.000,00;

la precettivita’, per il giudice nazionale, non concerne il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo, in quanto, sul punto, e’ vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a, non incidendo la modalita’ di calcolo da questo stabilita sulla complessiva attitudine di detta legge ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (tra le tante, Cass. n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007).

In questi termini, dando continuita’ a detta giurisprudenza, sono i principi di diritto che possono essere enunciati in relazione ai motivi 1 e 2, che ne dimostrano la manifesta fondatezza, nei termini che seguono.

La Corte d’appello, diversamente da quanto accaduto in altri provvedimenti concernenti una vicenda sostanzialmente omologa a quella qui in esame, ha indicato il termine ragionevole di durata in tre anni, reputando la violazione per anni tre e fissando l’equa riparazione nella misura di Euro 2.000,00. A conforto della quantificazione in detta misura dell’indennizzo, il giudice del merito si e’, tuttavia, limitato ad osservare che l’importo andava cosi’ determinato tenuto conto del periodo temporale eccedente la ragionevole durata del processo, della natura e dell’oggetto specifico del procedimento. Si tratta di motivazione evidentemente incongrua ed insufficiente, poiche’ svolta in difformita’ dei principi sopra richiamati e tale da non dare conto della sussistenza delle ragioni che avrebbero potuto giustificare il discostamento in misura superiore ad 1/3 rispetto al parametro minimo stabilito dalla Corte EDU in Euro 1.000,00, per anno, anche perche’, una volta fissato il termine di ragionevole durata in tre anni, la violazione ascende ad anni 3 e mesi otto (il giudizio e’ stato promosso con ricorso del 7 agosto 1998 e definito con sentenza del 22 aprile 2005), come sul punto ha osservato l’istante, con censura implicita, eppure chiara.

In relazione alle censure accolte, cassato il decreto – con conseguente assorbimento dei restanti motivi, dovendo comunque essere effettuata la riliquidazione delle spese del giudizio – la causa puo’ essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, dato che e’ incontestata la fissazione del termine di ragionevole durata in anni tre.

Pertanto, ritenuto il periodo di irragionevole durata del giudizio in anni 3 e mesi 8, ed individuato, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius – nella somma di Euro 1.000,00 ad anno il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale, va riconosciuta all’istante la somma di Euro 3.670,00 (per il periodo di anni 3 e mesi 8), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese potranno seguire la soccombenza quanto al giudizio di merito e per la meta’ quanto alla presente fase, dichiarandosi compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso”.

Ritiene il Collegio di non poter condividere la relazione nella parte in cui ritiene implicitamente criticata la quantificazione del periodi di irragionevole durata in quanto le censure sono ammissibili solo nella misura in cui trovino corrispondenza nei quesiti ed in questi, nella fattispecie, si enunciano principi solo in ordine alla quantificazione dell’indennizzo in ragione d’anno, ne’ nella parte in cui conclude per l’avvenuta violazione dei parametri relativi alla quantificazione dell’indennizzo. Deve invero rilevarsi che alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo puo’ essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte Europea (che e’ pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, l’importo che dovrebbe essere liquidato in linea di massima sarebbe di poco superiore (Euro 2.250,00) a quello in concreto riconosciuto e che la differenza e’ giustificata dai margine di discrezionalita’ che compete al giudice del merito in relazione alla specifica fattispecie.

Dovendosi dunque procedere anche all’esame delle censure relative all’integrale compensazione delle spese operata dal giudice del merito in base alla sola considerazione che l’Amministrazione resistente non si e’ opposta alla domanda se deve rilevare la manifesta fondatezza, essendo gia’ stato affermato dalla Corte in un’ipotesi analoga che i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, proposti ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non si sottraggono all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dall’art. 91 c.p.c. e segg., trattandosi di giudizi destinati a svolgersi dinanzi al giudice italiano, secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito. Ne consegue che la mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione convenuta, non implicando acquiescenza alla pretesa dell’attore, non e’ sufficiente di perse a giustificare la compensazione delle spese processuali, la quale postula che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione in tal senso, dal momento che e’ pur sempre da una colpa organizzativa dell’Amministrazione della giustizia che dipende la necessita’ per il privato di ricorrere al giudice (Sez. 1, Sentenza n. 1101 del 22/01/2010).

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito e pertanto condannata l’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo.

Tenuto conto dell’accoglimento solo parziale del ricorso, le spese del giudizio di legittimita’ possono essere compensata per un mezzo e poste a carico per la differenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri resistente. Non si deve provvedere in ordine al rapporto tra ricorrente e Ministero in considerazione dell’assenza di attivita’ difensiva da parte di quest’ultimo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, accoglie nei limiti di cui in motivazione quello nei confronti della presidenza del Consiglio dei Ministri; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito che liquida in complessivi Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti, Euro 445,00 per onorari e Euro 50,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge; compensa per un mezzo le spese del giudizio di legittimita’ e condanna l’Amministrazione alla rifusione in favore del ricorrente del 50% delle spese che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese del giudizio di merito distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2010

 

 

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