Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12778 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12778 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 6987-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA in persona del Procuratore
speciale, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA
SCROFA

57,

presso lo studio dell’avvocato PIZZONIA

GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente agli
avvocati RUSSO* CORVACE GIUSEPPE, ZOPPINI GIANCARLO
giusta delega a margine;
– ricorrente contro
COMUNE DI MASSA in persona del Sindaco in carica,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA LUDOVISI N.35,
presso lo studio dell’avvocato MARIO GIUSEPPE RIDOLA,

Data pubblicazione: 06/06/2014

rappresentato e difeso dall’avvocato MENCHINI SERGIO
giusta delega a margine;

controricorrente

avverso la sentenza n. 60/2007 della COMM.TRIB.REG. di
FIRENZE, depositata il 29/01/2008;

udienza del 16/04/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato RUSSO CORVACE che
ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato RIDOLA delega
Avvocato MENCHINI che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

6987-09

Svolgimento del processo
Il comune di Massa, contestando l’omessa denuncia, da
parte di Poste Italiane s.p.a., della variazione della
forma giuridica da ente pubblico economico in società per
azioni, pretese il pagamento della differenza tariffaria

in materia di Tarsu in virtù del passaggio dalla categoria
AO del regolamento locale (“locali e aree adibiti a enti
pubblici, ospedali” e simili) alla categoria DO (“uffici
commerciali e studi professionali, banche” e simili).
L’adita commissione tributaria provinciale di Massa
respinse le opposizioni proposte dalla società.
La sentenza venne confermata,

in appello,

dalla

commissione tributaria regionale della Toscana.
La commissione tributaria regionale, per quanto ancora di
interesse, ritenne l’atto tributario legittimo in quanto
doveva ascriversi a facoltà discrezionale del comune
organizzare la tariffa della Tarsu attribuendo rilievo
tanto alla modificazione subiettiva del contribuente,
quanto all’incontestabile mutamento del rapporto tra i
servizi in concessione e quelli offerti sul mercato in
condizione di concorrenza, quali dovevano ritenersi essere
i servizi bancari, o parabancari, percepibili dall’utenza
almeno come equivalenti al servizio postale, per modo da
determinare ricadute sull’afflusso degli utenti alle
diverse agenzie, con proporzionale produzione di rifiuti.

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La decisione di secondo grado è stata impugnata per
cassazione da Poste Italiane s.p.a., previa articolazione
di cinque motivi.
L’intimato comune di Massa si è costituito con
controricorso e ha depositato anche una memoria.
Motivi della decisione

I. – Con cinque motivi di ricorso, la ricorrente deduce
nell’ordine:
(i) l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in
cui ha respinto il motivo di appello afferente
l’illegittimità dell’atto impositivo perché viziato nella
motivazione,

con

violazione

conseguente

e

falsa

applicazione degli artt. 71, co. 2-bis, del d.lgs. n. 50793, 7, 1° co., della 1. n. 212 del 2000, 3, 1° e 3° co.
della 1. n. 241 del 1990, 24 cost.;
(ii) l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte
in cui ha confermato la pretesa fiscale sul presupposto
che la modificazione della natura giuridica di Poste
Italiane fosse rilevante ai fini della determinazione
della Tarsu,

con conseguente violazione o falsa

applicazione degli artt. 65 e 68 del d.lgs. n. 507-93
(nonché degli artt. 10 e 13 del regolamento Tarsu del
comune);
(iii) l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte
in cui ha confermato la pretesa fiscale a mezzo di
motivazione

contraddittoria

in

ordine

al

fatto

controverso, decisivo, inerente alla verifica della
tipologia di attività esercitata da Poste Italiane e della

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sua assimilabilità a quella di una banca o di un istituto
di credito;
(iv) l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte
in cui ha confermato la pretesa fiscale in ragione del
ritenuto

mutamento

dell’attività

esercitata,

con

conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 65

del d.lgs. n. 507-93 (e dell’art. 10 del regolamento Tarsu
del comune di Massa);
(v) la nullità dell’impugnata sentenza nella parte in cui
non si è pronunciata sul motivo di appello relativo alla
illegittimità delle sanzioni.
– Vanno prioritariamente esaminati il secondo, il
terzo e il quarto motivo di ricorso, che complessivamente
pongono una critica al merito della decisione con riguardo
alla legittimità della pretesa fiscale contenuta
nell’avviso di accertamento.
I motivi, tra loro connessi e suscettibili di unitaria
considerazione, sono fondati.
III. – Alla base della controversia è la questione se in
relazione agli uffici postali sia da considerare
legittima, ai fini della Tarsu, la classificazione operata
dall’ente accertatore riguardo a Poste Italiane s.p.a.
nella categoria D del regolamento locale, relativa alle
imprese commerciali, al posto della classificazione
anteriore, in categoria A, riservata agli enti pubblici e
alle istituzioni pubbliche non esercitate in forma di
impresa, in conseguenza della mera variazione della forma

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giuridica del soggetto contribuente, da ente pubblico
economico a società per azioni.
La risposta al riguardo è negativa.
Occorre premettere che questa corte ha affrontato una
questione per certi versi analoga laddove si è occupata
della tariffa da applicare a immobili aventi destinazione

di archivio di Stato.
In quel caso il problema riguardava l’alternativa tra
l’applicazione della tariffa della categoria relativa agli
uffici pubblici ovvero l’applicazione della tariffa della
categoria relativa ai magazzini di deposito senza vendita;
categoria nella quale l’immobile destinato ad archivio di
Stato era stato previamente inserito.
Ebbene la corte ha affermato il principio – da condividere
nelle sue linee generali – che in materia di Tarsu la
nozione di “ufficio pubblico”, alla quale faccia
riferimento una delle categorie di immobili previste dal
regolamento comunale ai sensi dell’art. 68, 2° co., d.lgs.
15 novembre 1993 n. 507, non può ritenersi riferita al
soggetto che usa le superfici, ma involge necessariamente
la considerazione del tipo di uso, desunto dalla
destinazione dei locali e/o delle aree tassabili ai sensi
dell’art. 65,

10 co., del d.lgs. n. 507 cit. (v. Cass. n.

24922-08). Tant’è che si è detto in quel caso che
all’immobile avente destinazione “archivio di Stato”
(nonostante la presenza di un pubblico ufficio a ogni
effetto di legge) doveva giustappunto applicarsi, tenuto
conto della destinazione dei locali, la tariffa

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corrispondente alla categoria “magazzini-deposito senza
vendita”, e non quella più onerosa relativa alla categoria
“uffici pubblici”.
IV. – Ora, la classificazione tariffaria in materia di
Tarsu impone di considerare nell’atto tributario il tipo
di uso desunto dalla destinazione dei locali e/o delle

aree tassabili, di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, art. 65,
10 co.; e quindi impone di fare riferimento, non al mero
fatto della veste subiettiva del soggetto passivo
detentore, quanto piuttosto alla oggettiva destinazione
dei locali o delle aree tassabili.
Simile aspetto non appare esser stato considerato dalla
commissione tributaria regionale, posto che l’avviso di
accertamento, il cui contenuto è riportato testualmente
nelle pagine iniziali del ricorso per cassazione, si era
limitato a porre l’accento sulla “non denunciata
variazione della forma giuridica deliberata con assemblea
straordinaria: da ente pubblico economico a società per
azioni”; e unicamente in guisa di tale circostanza aveva
recuperato “pertanto la differenza di tariffa da categoria
AO (locali ed aree adibiti a enti pubblici, ospedali,
ecc.) a DO (uffici commerciali e studi professionali,
banche, ecc.)”.
Non è allora pertinente, e non può essere condivisa, al
dunque, nella sua genericità, in base alla norma prima
citata, l’affermazione dell’impugnata sentenza secondo la
quale una simile variazione costituiva espressione di una
facoltà discrezionale del comune di organizzare la Tarsu.

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Né può essere ritenuta giuridicamente idonea a
giustificare la decisione la circostanza egualmente
generica, oltre che eccentrica rispetto alla motivazione
dell’avviso di accertamento – per cui vi sarebbe stato,
quanto a Poste Italiane, un “mutamento del rapporto tra i
servizi in concessione e quelli offerti sul mercato”, tale

da esser percepito dagli utenti con carattere di
equivalenza rispetto al servizio postale.
La commissione tributaria ha tratto la conclusione di
“inevitabili ricadute sull’afflusso degli utenti alle
diverse agenzie (..) con proporzionata produzione di
rifiuti”. Ma è da obiettare che la conclusione, oltre che
apodittica, è parziale dal momento che la questione
decisiva ineriva a quanto previamente evidenziato nella
motivazione dell’atto tributario, cui dovevasi parametrare
l’onere dimostrativo conseguente. E l’atto si era limitato
a esternare la questione del mutamento della veste
soggettiva delle Poste Italiane, da ente pubblico
economico in s.p.a., senza neppure prospettare che da ciò
fosse derivato un supposto significativo mutamento di
attività del soggetto accertato, né tanto meno l’incidenza
di tale supposto mutamento sulla destinazione dei locali
tassabili e sulla correlata capacità di produzione di
rifiuti.
Viceversa il profilo dirimente è che, in materia di tassa
per la raccolta dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), ai fini
del riferimento alle categorie d’immobili previste dal
regolamento comunale ai sensi dell’art. 68, 2° comma, del

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d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, non rileva la mera
considerazione della veste soggettiva assunta dall’ente
che usa le superfici – se cioè ente pubblico economico o
società per azioni – in quanto la tariffa suppone la
considerazione del tipo di uso desunto dalla destinazione
dei locali e/o delle aree tassabili, ai sensi dell’art.

65, 1° comma, del d.lgs. cit. E una simile considerazione
deve risultare dall’avviso di accertamento.
Ne consegue che, in difetto di elementi contrari,
all’immobile avente destinazione di ufficio postale deve
applicarsi la tariffa corrispondente alla categoria degli
“uffici pubblici”, e non quella relativa alla categoria
degli “uffici commerciali e studi professionali, banche” e
simili, giacché non è dubitabile che l’ufficio postale in
sé e per sé considerato resti asservito alla funzione
istituzionale propria dell’afferente servizio cd.
universale. Ciò equivale a dire che l’attività cui gli
uffici postali sono destinati si inserisce – essa in
quanto tale – all’interno della rete del corrispondente
servizio postale, che necessariamente deve essere
assicurato – al di là della veste giuridica dell’ente a
cui compete – in condizioni di accessibilità a tutti i
potenziali utenti, secondo i canoni dei servizi di
interesse generale garantiti e individuati anche a
livello della normativa europea [v. al riguardo l’art. 16
del Trattato CE e poi la direttiva 97-67/CE, attuata dal
d.lgs. n. 261 del 1997, concernente le “regole comuni per
lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali

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comunitari e il miglioramento della qualità del servizio”,
il cui art. 3, l° co., esplicitamente stabilisce che “Gli
Stati membri garantiscono che gli utilizzatori godano del
diritto a un servizio universale corrispondente ad
un’offerta di servizi postali di qualità determinata
forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a

V.

prezzi accessibili a tutti gli utenti” 1.
– L’impugnata sentenza non è coerente col citato

principio di diritto. Donde va cassata in accoglimento dei
citati tre motivi di ricorso, ogni altra questione
rimanendo assorbita.
VI. – La causa può essere dalla corte definita anche nel
merito.
Infatti dalla trascrizione dell’avviso di accertamento
(riportato – come detto sia nel ricorso che nel
controricorso) emerge che la pretesa fiscale era stata
sorretta dal solo riferimento alla modificazione
soggettiva di Poste Italiane, da ente pubblico a società
per azioni, senza alcuna verifica in ordine alle
caratteristiche dei locali in relazione alla asseritamente
mutata capacità di produzione di rifiuti.
Sicché in conclusione va accolta l’opposizione alla
pretesa così come originariamente proposta dalla società.
VII. – La particolarità della questione controversa, in
relazione alla quale non si registrano specifici
precedenti di questa corte, induce alla compensazione
delle spese dell’intero giudizio.
p.q.m.

8

MENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P.R. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5

MATERIA TRIBUTARIA
La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo
di ricorso, assorbiti gli altri; cassa l’impugnata
sentenza e, decidendo nel merito, accoglie l’impugnazione
di Poste Italiane s.p. . avverso l’avviso di accertamento;
compensa le spese dell’intero giudizio.

sezione civile, addì 16 aprile 2014.
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