Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12776 del 19/06/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12776 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 9749 – 2011 proposto da:
AGENZIA DELLE

ENTRATE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015
1423

UNIONE BANCHE ITALIANE PER IL FACTORING UBI FACTOR SPA

in persona del Presidente e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANDREA
VESALIO 22, presso
IRTI,

lo studio dell’avvocato

che lo rappresenta e

NATALE

difende unitamente

Data pubblicazione: 19/06/2015

all’avvocato ENZO BARAZZA con procura notarile del
Not. Dr. PAOLO MENCHINI in MILANO rep. n. 71006 del
22/04/2011;
– controrícorrente avverso la sentenza n. 31/2010 della COMM.TRIB.REG. di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/04/2015 dal Consigliere Dott. LAURA
TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato MELONCELLI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato ARNAUD per
delega dell’Avvocato IRTI che ha chiesto
l’inammissibilità o il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

TRIESTE, depositata il 25/02/2010;

RITENUTO IN FATTO
1. Con avviso n. R55030501152 per IVA per l’anno di imposta 2001, l’Agenzia delle
entrate, a seguito di processo verbale di constatazione redatto da un funzionario
dell’ufficio, aveva accertato nei confronti di Veneta Factoring SPA maggiori imposte e
sanzioni conseguenti ad una serie di rilievi.

2. La ripresa, come si evince dall’avviso di accertamento trascritto nel ricorso
introduttivo del giudizio di cassazione, era stata motivata dal fatto che le operazioni
relative al faetoring erano state considerate dalla società, nella loro totalità, esenti ex
art.1 O del DPR n.633/1972. Secondo l’Ufficio, invece, la causa del contratto non
andava identificata solo nell’operazione di finanziamento o nel recupero dei crediti del
cedente, ma andava individuata nel rapporto concreto e tipizzato nei singoli accordi, ove
vi erano elementi costanti di gestione dei crediti del fornitore, attuati attraverso la
cessione dei crediti e, in alcuni casi, ma non necessariamente, con l’assunzione del
rischio contrattuale (cessione pro soluto). Sempre nella prospettazione dell’Ufficio,
nell’ambito di questa complessa operazione, la società, da un lato, percepiva un
compenso caratterizzato da “commissioni” per le attività svolte nell’ambito della
gestione e dell’incasso dei crediti e, dall’altro, la remunerazione sotto forma di
“interessi” dei capitali eventualmente anticipati: tali caratteristiche, a parere
dell’Ufficio, si ritrovavano nelle condizioni generali di contratto dove la società si
impegnava a svolgere una serie di attività a favore del fornitore, cedente dei crediti, ed
eventualmente provvedeva altresì a finanziare il cedente attraverso anticipazioni,
sull’incasso dei crediti, produttive di interessi.
Sosteneva l’Ufficio che l’unicità giuridica della prestazione del factor, individuata nel
sinallagma, non comportava necessariamente l’univoco assoggettamento al medesimo
regime fiscale. Mentre non poteva dubitarsi sulla esenzione dalla applicazione del
tributo per quanto riguardava gli “interessi”, ai sensi dell’art.10, comma 1 n.1, del DPR
n.633/1972, in quanto operazioni di finanziamento vero e proprio, non poteva
concludersi negli stessi termini anche per le “commissioni”, le quali costituivano di
fatto il corrispettivo di un’attività economica svolta dal factor e caratterizzata
essenzialmente dal sollevamento del cedente da tutte le attività di gestione,
contabilizzazione ed incasso del credito ceduto.
Secondo l’Ufficio la prestazione di servizio remunerata dalla “commissione” come
attività economica era imponibile ai fini IVA, non rientrando, nell’ambito delle
operazioni “esenti”, costituite principalmente da operazioni di finanziamento, previste
dall’art.10 citato, norma eccezionale e di stretta interpretazione.
3. Il ricorso proposto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pordenone
veniva accolto con la sentenza n. 71/05/07. Nelle more del giudizio la società Veneta
Factoring SPA aveva cessato la propria attività per effetto della incorporazione nella
società Compagnia di Banche Italiane per il Factoring SPA.

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Cons. est. Laura Tricorni

Per quanto interessa il presente giudizio, l’Agenzia aveva contestato ai fini IVA la
emissione di fatture per prestazioni senza applicazione dell’imposta per un imponibile
di £.7.370.211,00, con conseguente ripresa a tassazione.

Con tale decisione, per quanto interessa il presente processo, il giudice di appello, nel
confermare la motivazione della sentenza di primo grado, affermava che, ai fini
dell’applicazione dell’IVA, era necessario distinguere, alla luce della sentenza della
Corte di Giustizia C-305/01 del 26.06.03, tra operazioni di recupero dei crediti tassabili
ed operazioni di natura finanziaria esenti e che nel caso di specie ricorrevano le
seconde, come si desumeva dalla documentazione contrattuale depositata dalla società
dalla quale si evinceva che le prestazioni erano tutte funzionali al finanziamento e che
l’attività di recupero crediti era solo eventuale, contrariamente a quanto asserito
dall’Ufficio.
5. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo. La
società contribuente resiste con controricorso, che illustra-con memoria ex art.378 cpc.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Con l’unico motivo l’Agenzia lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.10,
comma 1 n.1, del DPR n.633/1972, in relazione all’art.13, parte B, lett. D), punto 3
della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE per come interpretato
dalla Corte di Giustizia delle Comunità euopee nella sentenza n 26 giugno 2003, causa
C-305/01 , MKG — Kraftfahrzeuge — Factoring, nonché dell’art.12, comma 1, del DPR
n.633/I972 (art.360, comma 1 n.3, cpc), che sintetizza proponendo l’affermazone del
seguente prncipio di diritto “Nel caso di una società che eserciti l’attività di factoring,
rendendosi cessionaria, in alcuni casi pro solvendo, in altri pro soluto, di crediti
trasferitile dai propri fornitori ed erogando ad essi, in un certo numero di casi
(corrispondenti circa al 60%) delle anticipazioni finanziarie sui crediti trasferiti, tuttavia
percependo, indipendentemente dall’assunzione del rischio di insolvenza e dalla
corresponsione di anticipazioni, commissioni — che la stessa società stima in misura pari
a ca. il 21%- del fatturato del factoring — a fronte dell’impegno, contrattualmente
pattuito a:
– registrare i crediti oggetto di cessione su apposite evidenze, dandone periodica
informazione al fornitore ai fini del riepilogo dei crediti accettati in cessione nonché
all’aggiornamento sulle posizioni relative ai singoli debitori;
– incassare i crediti, inviando i solleciti ai debitori che presentino ritardi o irregolarità
nei pagamenti;
deve escludersi che alle commissioni medesime risulti applicabile la norma di esenzione
dall’IVA di cui all’art.10, comma 1, n.1) del DPR n.633/1972, in ragione del fatto che
tratterebbe del corrispettivo di operazioni strumentali, o comunque meramente
accessorie, a quella principale (esente) di finanziamento”.
In buona sostanza la Agenzia sostiene che la CTR ha errato nel ritenere che le
prestazioni fornite dal factor ed indicate nella sintesi, remunerate con “commissioni”,
erano soggette al regime fiscale dell’esenzione applicabile all’attività di factoring, in
quanto le stesse non erano strumentali o accessorie al factoring.
1.2. Il motivo è inammissibile sotto molteplici profili.

R.G.N. 9749/2011
Cons. est. Laura Tricorni

4. Avverso la decisione di primo grado proponeva appello l’Agenzia delle entrate e la
società contribuente conrodeduceva. L’appello veniva respinto con la sentenza della
Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia n. 31/10/10 depositata il
25.02.10 e non notificata.

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•••■••-

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1.3.2. Il richiamato art. 10 del DPR n.633/1972, dedicato a “Operazioni esenti
dall’imposta”, al comma 1 prevede “Sono esenti dall’imposta: 1) le prestazioni di servizi
concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte
dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l’assunzione di impegni di natura
finanziaria, l’assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di
crediti da parte dei concedenti; le dilazioni di pagamento, le operazioni, compresa la
negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti e
ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di crediti; la gestione
di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al decreto legislativo 21
aprile 1993, n. 124, le dilazioni di pagamento e le gestioni similari e il servizio
bancoposta;
Tale disposizione trae la sua fonte dall’art.13 della sesta direttiva del Consiglio 17
maggio 1977, 77/388/CEE, intitolato «Esenzioni all’interno del paese», che fa parte del
capo X, intitolato «Esenzioni», e che così dispone nella parte B, titolata “Altre
esenzioni” “Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle
condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle
esenzioni sottoelencate e per prevenire ogni possibile _frode, evasione ed abuso: (.),
d) le operazioni seguenti: 1. la concessione e la negoziazione di crediti nonché la
gestione di crediti da parte di chi li ha concessi; (..) 3. le operazioni, compresa la
negoziazione, relative ai depositi di fondi, ai conti correnti, ai pagamenti, ai giroconti,
ai crediti, agli assegni e ad altri effetti commerciali, ad eccezione del ricupero dei
crediti; (…)”.
1.3.4. L’art. 12 del DPR n.633/1972 titolato “Cessioni e prestazioni accessorie” quindi
dispone che “(1.)(…) le altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o
ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per
suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra
le parti dell’operazione principale. (2) Se la cessione o prestazione principale e’
soggetta all’imposta, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie imponibili
concorrono a formarne la base imponibile. “.
1.3.5. In ragione di questo quadro normativo le operazioni di factoring, connotate da
una causa di finanziamento, sono state considerate in Italia esenti.
1.3.6. Orbene, sul tema della esenzione di imposta, proprio con riferimento al contratto
di factoring, la Corte di Giustizia CE si è pronunciata con la decisione, citata dalla
ricorrente, del 26 giugno 2003, causa C-305/01, con la quale è pervenuta ad una
interpretazione della sesta direttiva che ha escluso l’applicabilità dell’esenzione al
contratto di factoring, affermando i seguenti principi “1)La sesta direttiva del Consiglio
17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armoniz7Azione delle legislazioni degli
Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari ( Sistema comune di imposta sul
valore aggiunto: base imponibile uniforme, dev’essere interpretata nel senso che un
operatore che acquisti crediti assumendo il rischio d’insolvenza dei debitori e che, come
corrispettivo, fatturi ai propri clienti una commissione esercita un’attività economica ai
sensi degli artt. 2 e 4 della stessa direttiva, di modo che lo stesso ha la qualità di

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Cons. est. Laura Tricorni

1.3.1. E’ opportuno premettere brevemente il quadro normativo di riferimento, integrato
dagli interventi della Corte di Giustizia e dalla successiva elaborazione della prassi
amministrativa.

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1.3.7. Tale decisione sostanzialmente ha equiparato il contratto di factoring al “recupero
crediti” e lo ha, quindi, escluso dal campo delle operazioni esenti, sulla base della
ricostruzione causale del contratto stesso; la sentenza non ha tuttavia esaminato, né
distinto specifiche prestazioni nell’ambito del contratto di factoring, né,
conseguentemente, ha individuato regimi fiscali differenti a seconda del tipo di
prestazione, come suggerisce la ricorrente nel caso di cui ci si occupa.
1.3.8. Questa sentenza della Corte di Giustizia non ha avuto una diretta ricaduta sul
sistema fiscale italiano in ragione delle differenze esistenti tra il contratto di diritto
tedesco esaminato dalla Corte di Giustizia e la disciplina contrattualistica italiana del
factoring, differenze evidenziate dalla Agenzia delle entrate, che ha colto l’occasione,
proprio a seguito della richiamata sentenza in causa C-305/01, per fare il punto sulle
questioni fiscali sottese al factoring.
1.3.9.1. L’Agenzia è infatti intervenuta fornendo alcuni chiarimenti in ordine al
trattamento fiscale da riservare alle operazioni di factoring ed alle distinte attività di
recupero del credito con la Risoluzione 139/E del 17 novembre 2004 e con la
Risoluzione n.32/E dell’11.03.2011.
1.3.9.2. Con la prima Risoluzione 139/E del 17 novembre 2004 ha escluso che le
conclusioni raggiunte dai giudici comunitari, in base alle quali l’attività di factoring è
assimilabile all’attività di recupero crediti, siano automaticamente estensibili
all’ordinamento giuridico nazionale, sulla considerazione che il factoring ha avuto
un’evoluzione non uniforme a livello europeo e sovra-europeo e, più in particolare, che
la figura del factoring interno, pur non espressamente regolata in via normativa, non è
comunque assimilabile alla fattispecie esaminata dalla Corte, riferita all’ordinamento
tedesco. La Agenzia ha altresì convenuto, sulla scorta della prevalente ricostruzione del
factoring da parte di dottrina e giurisprudenza, che l’attività in questione ha natura
eminentemente finanziaria, tenuto conto tanto dei soggetti legittimati ad esercitarla
quanto della causa del negozio, ossia il finanziamento, con la conseguenta che la stessa
rientra tra le operazioni esenti di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1 del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633. 1.3.9.3.
Con la più recente Risoluzione l’Agenzia ha affermato che tale conclusione è stata
corroborata dalla successiva sentenza del 28 ottobre 2010 causa C-175/09 della Corte di
Giustizia ove è puntualizzato che, ai fini della qualificazione di un servizio quale
“recupero crediti” non rileva il fatto che esso sia fornito al momento della scadenza dei
crediti in questione. Ciò in quanto la formulazione della norma comunitaria — vale a dire
l’articolo 13, parte B, lettera 4, d), punto 3, della Direttiva 77/388/CEE, vigente
all’epoca dei fatti oggetto della causa, poi trasfuso nell’articolo 135, paragrafo 2, lettera
d) della Direttiva 2006/112/CE — “riguarda il recupero dei crediti di qualsivoglia natura,
senza restringere il suo campo di applicazione a crediti che non erano soddisfatti al
momento della loro scadenza. Peraltro il factoring, che in tutte le sue forme rientra nella

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soggetto passivo ed ha quindi diritto alla deduzione in forza dell’art. 17 di tale direttiva.
2)Un’attività economica, con cui un operatore acquisti crediti assumendo il rischio
d’insolvenza dei debitori e, come corrispettivo, fatturi ai propri clienti una commissione,
costituisce un “ricuperò dei crediti” ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. d), punto 3, in fine,
della sesta direttiva 77/388 e, pertanto, è esclusa dall’esenzione stabilita dalla stessa
disposizione.”.

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1.3.9.3. Ed infatti l’Agenzia delle entrate conclude “Non può, pertanto, ritenersi
aderente all’ordinamento giuridico interno l’affermazione contenuta nel punto 34 della
causa C-175/09 secondo cui “il factoring … in tutte le sue forme rientra nella nozione di
‘ricupero dei crediti’.
Sulla scorta di questa puntualizzazione, la Agenzia ha affermato che la individuazione
del regime fiscale applicabile in tema di factoring necessita l’esperimento di volta in
volta un’indagine che consenta di individuare la corretta natura dell’operazione
concretamente realizzata e la causa del contratto stipulato tra cedente e cessionario del
credito.
Quindi ha precisato che, se la causa del contratto consiste nell’ottenere da parte del
prestatore una gestione dei crediti rivolta essenzialmente al recupero degli stessi,
l’operazione è da qualificare come recupero crediti e come tale imponibile ai fini Iva. Di
contro, qualora il creditore, con la stipula di un contratto di factoring, vuole ottenere un
finanziamento (in pratica, una monetiz7.a7ione anticipata dei propri erediti), per il quale
paga una commissione che si atteggia, in linea di principio, alla stregua di un
pagamento di interessi (essendo solitamente quantificata in una percentuale
dell’ammontare dei crediti ceduti), allora appare evidente che il factoring costituisce una
vera e propria operazione finanziaria esente da Iva. In tale ipotesi, la presenza di
clausole diverse, pro soluto o pro solvendo, non incide sulla natura finanziaria del
contratto ma, verosimilmente, solo sulla determinazione della commissione.
In proposito è significativo che la Agenzia sottolinei come la qualificazione della
operazione come finanziaria, piuttosto che come recupero crediti, possa prescindere
dalla circostanza che il compenso del factor venga eventualmente scomposto tra
commissioni ed interessi ovvero venga previsto un unico compenso in cui la
componente “commissioni” risulti prevalente rispetto alla componente “interessi”,
determinata in base a parametri di riferimento mediamente praticati sul mercato ovvero
in base ad altri criteri.
1.3.9.4. Passando quindi, da ultimo, ad esaminare le eventuali prestazioni aggiuntive
rese dal factor (ad esempio, analisi del portafoglio crediti, gestione dei crediti diversi da
quelli ceduti, ecc.) rispetto alla cessione del credito, la Agenzia nella ricordata
Risoluzione, conclude affermando che il contratto di factoring non perde la sua natura
finanziaria, se per tali ulteriori prestazioni viene convenuto un autonomo corrispettivo e
che per tali prestazioni dovrà essere individuato caso per caso il regime IVA applicabile.

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nozione di ‘ricupero dei crediti’ non è limitato a crediti rispetto ai quali il debitore è già
inadempiente. Esso può anche avere ad oggetto crediti non ancora scaduti e che saranno
pagati alla scadenza”, perché la pronuncia verte su una fattispecie che evidenzia
chiaramente le caratteristiche tipiche del recupero crediti, piuttosto che quelle del
factoring, in quanto il credito non forma oggetto di trasferimento dal creditore originario
al prestatore del servizio, il quale si limita ad assumere “l’incarico del recupero di
crediti per conto del titolare degli stessi” ed in tal modo “libera i propri clienti da
compiti che, senza il suo intervento, questi ultimi, in qualità di creditori, dovrebbero
effettuare da soli, compiti consistenti nel richiedere il trasferimento di somme ad essi
dovute attraverso il sistema di addebito diretto” (cfr. punto 33 sentenza C-175/09).

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1.4. Ciò premesso, tornando al caso in esame, va rimarcato che il rilievo mosso
dall’Amministrazione finanziaria non ha riguardato tutte le prestazioni del contratto di
factoring, ma solo alcune, esemplificativamente indicate e qualificate come non
strumentali nel quesito. Risulta quindi di immediata evidenza la non stretta pertinenza al
caso di specie della decisione della Corte di Giustizia C-305101 , atteso che la stessa
ricorrente non contesta la natura di operazione finanziaria del contratto di factoring,
sostanzialmente adeguandosi alla ricostruzione causale del contratto italiano accolta
nelle ricordate Risoluzioni dell’Agenzia delle entrate, e tantomeno individua gli
elementi di fatto che, nella sua prospettazione, avrebbero potuto consentire di
assimilare la fattispecie a quella esaminata dal giudice comunitario.
1.5. Risulta allora evidente che il punetum dolens riguarda solo la qualificazione della
prestazioni aggiuntive, come “strumentali” — e quindi soggette al regime delle
prestazioni principali ex art.12 del DPR n.63311972, come ritenuto dalla Commissione
Regionale -, ovvero come “autonome” – e quindi soggette a normale imposizione IVA,
come prospettata dalla ricorrente Agenzia-.
1.6. Tale questione, tuttavia, non risulta attinta da adeguata censura: di qui la pronuncia
di inammissibilità del motivo.
1.7. E’ evidente che la ricorrente nel prospettare il motivo in esame non coglie la ratio
decidendi della decisione, fondata sull’accertamento in fatto della natura accessoria
delle prestazioni in esame e sulla esclusione di una loro autonomia, giacché, al
contrario, la Agenzia pone come presupposto del principio di diritto invocato proprio la
autonomia delle prestazioni stesse rispetto alla causa di finanziamento del factoring.
Va inoltre considerato che, sotto la veste della violazione di legge, la ricorrente articola
un motivo ed un quesito essenzialmente volto a pervenire ad una qualificazione delle
indicate prestazioni conforme a quella da sé medesima prospettata ed in antitesi con le
conclusioni raggiunte dalla CTR e poste a base della decisione.
Invero la ricorrente oblitera che la CTR ha compiuto un accertamento di fatto in merito
alle ed. prestazioni remunerate con commissioni e ne ha escluso la natura autonoma e
rilevante di gestione dei crediti: ciò, sia sulla scorta delle condizioni generali di
contratto — che peraltro la ricorrente omette di trascrivere, sia pure nei passaggi più
significativi — dalle quali ha desunto che i contratti stipulati avevano natura finànzaria e
della circostanza che da nessuna parte vi era riferimento alla possibiltà di riscossione dei
crediti a cui la società mutuante avrebbe potuto andare incontro e che non erano indicati
i mezzi legali di cui avrebbe dovuto servirsi per la riscossione, sia evidenziando che
l’Ufficio si era limitato ad asserzioni senza che sussistessero gli elementi di fatto e di
diritto per affermare l’esistenza di prestazioni autonome.
Emerge altresì, una palese carenza sul piano dell’autosufficienza, in quanto la ricorrente
si limita ad assertive affermazioni sulla natura delle prestazioni senza fornire, come già

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1.3.10 Così ricostruito il quadro normativo, giurisprudenziale comunitario e la prassi
amministrativa, si deve concludere che l’esame da condurre per la individuazione del
corretto regime fiscale va, dunque, orientato sulla individuazione della causa del
contratto stipulato tra il cedente ed il cessionario del credito, sia in relazioni alle
prestazioni principali che alle prestazioni aggiuntive.

9
e
1:e

1.8. A ben vedere la censura sulla contestata qualificazione delle prestazioni de quo
agitur avrebbe potuto essere formulata quale violazione degli artt.1362 e ss del codice
civile, sull’intepretazione del contratto, mediante la specifica trascrizione dei passaggi
contrattuali inerenti il contenuto delle prestazioni, i reciprochi obblighi contrattuali delle
parti ed i collegamenti contrattuali tra le prestazioni principali e quelle agguntive —
ovvero l’assenza di collegamenti -, sintomatici di una diversa causa negoziale, e
considerati rilevanti per qualificare come autonome le prestazioni agguntive rispetto alla
causa di finanziamento, di modo da consentire il vaglio di fondatezza della doglianza.
Altrimenti – stante l’accertamento in fatto compiuto in proposito dalla Commissione
Regionale —, la censura avrebbe potuto essere sollevata quale vizio motivazionale ai
sensi dell’art.360, comma l n.5, cpc, mediante una adeguata e puntuale indicazione
degli specifici elementi contrattuali sulla scorta dei quali la Agenzia aveva ritenuto di
dedurre la autonomia delle prestazioni e di sollevare i propri rilievi, con adeguata
illustrazione degli elementi significativi non correttamente valutati dalla Commissione,
ma ciò non è avvenuto.
2.1. In conclusione il ricorso va rigettato per inammissibilità del motivo.
2.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano a carico
della Agenzia delle entrate nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione,
– rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi;
– condanna la ricorrente Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del giudizio di
legittimità che liquida nel compenso di C.9.000,00, oltre spese borsuali per C. 150,00,
IVA e CASSA.
Così deciso in Roma, camera di consiglio del 13 aprile 2015.

sottolineato, gli specifici ed individuanti elementi contrattuali sulla scorta dei quali ha
ritenuto di dedurne la autonomia e di sollevare i propri rilievi, e senza illustrarne la
significatività.

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