Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12776 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12776 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 20315-2008 proposto da:
COMUNE DI MASSA in persona del Sindaco e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA LUDOVISI 35, presso lo studio
dell’avvocato RIDOLA MARIO GIUSEPPE, rappresentato e
difeso dall’avvocato MENCHINI SERGIO giusta delega a
margine;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE SPA in persona del Procuratore
Speciale, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA
SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato RUSSO

Data pubblicazione: 06/06/2014

CORVACE GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati ZOPPINI GIANCARLO, PIZZONIA
GIUSEPPE giusta delega a margine;

controricorrente

avverso la sentenza n. 41/2007 della COMM.TRIB.REG.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/04/2014 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO TERRUSI;

udito per il

ricorrente l’Avvocato RIDOLA delega

Avvocato MENCHINI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il

controricorrente l’Avvocato RUSSO

CORVACE che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di FIRENZE, depositata il 05/06/2007;

20315-08

Svolgimento del processo
Il comune di Massa, contestando l’omessa denuncia, da
parte di Poste Italiane s.p.a., della variazione della
forma giuridica da ente pubblico economico in società per
azioni, pretese il pagamento della differenza tariffaria

in materia di Tarsu in virtù del passaggio dalla categoria
AO del regolamento locale (“locali e aree adibiti a enti
pubblici, ospedali” e simili) alla categoria DO (“uffici
commerciali e studi professionali, banche” e simili).
L’adita commissione tributaria provinciale di Massa
accolse le opposizioni proposte dalla società, con
altrettante sentenze che, previa riunione degli afferenti
appelli, furono confermate dalla commissione tributaria
regionale della Toscana
La commissione tributaria regionale osservò che gli atti
tributari erano illegittimi perché, da un lato, era
mancata allegazione del regolamento locale e degli atti
deliberativi della tariffa applicata, e perché,
dall’altro, la variazione della natura giuridica del
soggetto non aveva di per sé mutato l’attività di Poste
Italiane, e quindi non aveva inciso sulla produzione di
rifiuti solidi urbani. Invero non era stata fatta, da
parte del comune, alcuna distinzione tra i locali adibiti
ad attività istituzionali e i locali adibiti ad attività
commerciale.

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La decisione di secondo grado è stata impugnata per
cassazione dal comune di Massa, previa articolazione di
sei motivi.
L’intimata si è costituita con controricorso.
Il comune ha depositato una memoria.
Motivi della decisione

I. – Con sei motivi di ricorso, il comune di Massa deduce
nell’ordine:
(i) violazione e falsa applicazione degli artt. 71, 2°
co., e 71, co. 2-bis, del d.lgs. n. 507-93, affermando che
non costituisce requisito di validità dell’avviso di
accertamento in materia di Tarsu l’allegazione all’avviso
stesso delle deliberazioni comunali e del regolamento
locale in esso richiamati;
(il) violazione o falsa applicazione dell’art. 7, l° co.,
della 1. n. 212-00, reiterando l’affermazione ut supra in
ragione della natura normativa degli atti suddetti, da
ritenersi conosciuti o conoscibili con la rituale
pubblicazione all’albo pretorio comunale;
(iii) violazione o falsa applicazione del combinato
disposto degli artt. 132 c.p.c. e 65 e 68 del d.lgs. n.
507-93,

per

essere

stata

omessa

la motivazione

dell’impugnata sentenza in ordine alla rilevata esistenza
di carenze di merito degli avvisi di accertamento, non
essendo stati esplicitati i motivi di fatto e diritto
idonei a sorreggere la conclusione;
(iv)

violazione o falsa applicazione del combinato

disposto degli artt. 132 c.p.c. e 70 del d.lgs. n. 507-93,

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sul presupposto di identico vizio circa l’affermazione che
la variazione di natura giuridica del soggetto passivo non
ne avrebbe mutato l’attività e quindi la produzione di
rifiuti;
(v) omessa, illogica e contraddittoria motivazione in
al

fatto

decisivo

modificazione dell’attività di

costituito
Poste

dalla

non

Italiane a seguito

ordine

della privatizzazione della struttura giuridica in s.p.a.
e della identità della produzione di rifiuti solidi urbani
nonostante tale mutamento di veste giuridica;
(vi) violazione o falsa applicazione degli artt. 65 e 68
del d.lgs. n. 507-93 e dell’art. 10 del regolamento
comunale Tarsu del comune di Massa, in quanto doveva
essere considerata legittima la classificazione operata
dall’ente accertatore riguardo alla società Poste Italiane
in cat. D, essendo la detta categoria riservata alle
imprese commerciali, in luogo della anteriore cat. A,
riservata a enti pubblici e istituzioni pubbliche non
esercitate in forma di imprese.
– Vanno prioritariamente disattesi i motivi terzo e
quarto, volti a denunciare la nullità della sentenza (art.
360, n. 4, c.p.c.) per un’asserita carenza assoluta della
motivazione.
I motivi sono manifestamente infondati.
Costituisce principio pacifico, in tema di contenuto della
sentenza, che la esposizione dello svolgimento del
processo e dei motivi in fatto della decisione deve essere
concisa, ai sensi dall’art. 132, 2° co., n. 4, c.p.c.

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anche nella versione anteriore alla modifica apportata
alla norma dall’art. 45, 17° co., della 1. 18 giugno 2009
n. 69.
Quella esposizione non costituisce un elemento meramente
formale, sebbene un requisito da apprezzarsi in funzione
della intelligibilità della decisione e della comprensione

delle ragioni poste a suo fondamento.
Una carenza al riguardo costituisce motivo di nullità
della sentenza solo ove non sia possibile individuare gli
elementi di fatto considerati o presupposti nella
decisione (v. Cass. n. 22845-10; n. 6683-09).
Questo nella specie è da escludere, essendo il fondamento
della decisione della commissione tributaria regionale
chiaramente evincibile dai rilievi sopra riportati,
secondo i quali gli avvisi di accertamento dovevano
considerarsi illegittimi (a) per la mancata allegazione
degli atti regolamentari e tariffari e (b) per la
sostanziale immutazione del presupposto d’imposta,
nonostante la variazione della natura giuridica soggettiva
del contribuente.
III. – Il ricorso va inoltre disatteso in relazione al
quinto e al sesto motivo, il cui esame si rivela
assorbente di ogni ulteriore questione.
Viene posto alla corte il quesito se, quanto agli uffici
postali, sia da considerare legittima, ai fini della
Tarsu, la classificazione operata dall’ente accertatore
riguardo a Poste Italiane s.p.a. nella categoria D del
regolamento locale, relativa alle imprese commerciali, al

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posto della classificazione anteriore, in categoria A,
riservata agli enti pubblici e alle istituzioni pubbliche
non esercitate in forma di impresa, in conseguenza della
variazione della forma giuridica della medesima da ente
pubblico economico a società per azioni.
Al quesito occorre dare risposta negativa.

Questa corte ha affrontato una questione per certi versi
analoga laddove si è occupata della tariffa da applicare a
immobili aventi destinazione di archivio di Stato.
In quel caso il problema riguardava l’alternativa tra
l’applicazione della tariffa della categoria relativa agli
uffici pubblici ovvero l’applicazione di quella della
categoria relativa ai magazzini di deposito senza vendita;
categoria nella quale l’immobile destinato ad archivio di
Stato era stato previamente inserito.
Ebbene la corte ha affermato il principio – da condividere
nelle sue linee generali – che in materia di Tarsu la
nozione di “ufficio pubblico”, alla quale faccia
riferimento una delle categorie d’immobili previste dal
regolamento comunale ai sensi dell’art. 68, 2° co., d.lgs.
15 novembre 1993 n. 507, non può ritenersi riferita al
soggetto che usa le superfici, ma involge necessariamente
la considerazione del tipo di uso, desunto dalla
destinazione dei locali e/o delle aree tassabili ai sensi
dell’art. 65, 1° co., del d.lgs. n. 507 cit. (v. Cass. n.
24922-08). Tant’è che si è detto in quel caso che
all’immobile avente destinazione “archivio di Stato”
(nonostante la presenza di un pubblico ufficio a ogni

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effetto di legge) doveva giustappunto applicarsi la
tariffa corrispondente alla categoria “magazzini-deposito
senza vendita”, e non quella più onerosa relativa alla
categoria “uffici pubblici”.
IV. – Ora,

la circostanza che la classificazione

tariffaria in materia di Tarsu involga necessariamente la

considerazione del tipo di uso, desunto dalla destinazione
dei locali e/o delle aree tassabili, cui il d.lgs. n. 507
del 1993, art. 65,

10 co., impone di fare riferimento,

anziché il mero fatto della veste subiettiva del soggetto
passivo, non appare esser stata considerata dal comune di
Massa.
L’avviso di accertamento, il cui contenuto è riportato
testualmente nelle pagine iniziali del ricorso per
cassazione, si era difatti limitato a porre l’accento
sulla “non denunciata variazione della forma giuridica
deliberata con assemblea straordinaria: da ente pubblico
economico a società per azioni”; e unicamente in guisa di
tale circostanza il comune risulta aver recuperato
“pertanto la differenza di tariffa da categoria AO (locali
ed aree adibiti a enti pubblici, ospedali, ecc.) a DO
(uffici commerciali e studi professionali, banche, ecc.)”.
Ne consegue che va condivisa l’affermazione insita nella
(seconda)

ratio decidendi dell’impugnata sentenza, stando

alla quale una simile variazione era del tutto irrilevante
laddove non fosse risultata modificata l’attività in
9 tOk.

concreto svolta dal soggetto accertato e non fossenata la
prova dell’incidenza di una tale modificazione sulla

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destinazione dei locali e sulla correlata capacità di
produzione di rifiuti.
V. – L’individuazione del concreto uso di un locale (come
di una area), al fine di stabilire la categoria della
Tarsu a esso applicabile, suppone, come ovvio, un tipico
accertamento

di

fatto,

la

cui

valutazione

è

istituzionalmente riservata al giudice del merito.
E il giudizio è sindacabile in cassazione solo dal punto
di vista della congruenza e completezza della motivazione.
Nel caso di specie il comune ricorrente non ha
evidenziato, nella sintesi conclusiva del quinto motivo,
redatto ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., alcuna
specifica risultanze intesa a contrastare, seppur solo in
potenza, la suddetta valutazione del giudice di merito,
come tale suscettibile di essere considerata sotto pena di
insufficienza o illogicità della motivazione della
sentenza. Sicché il motivo si rivela generico, doveroso
essendo constatare, semmai, che era onere
dell’amministrazione specificare, fin dall’avviso di
accertamento, perché la mera modifica della veste
giuridica dell’ente in s.p.a. avrebbe dovuto comportare un
mutamento anche della destinazione d’uso dei locali
adibiti a ufficio postale, in rapporto all’attività in
concreto svolta e alla conseguente idoneità a produrre
rifiuti.
In linea generale va eaf fermato il principio per cui in
materia di tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani
(Tarsu), ai fini del riferimento alle categorie di

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immobili previste dal regolamento comunale ai sensi
dell’art. 68, 2° co., del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507,
non rileva la mera considerazione della veste soggettiva
assunta dall’ente che usa le superfici – se cioè ente
pubblico economico o società per azioni – in quanto la
tariffa suppone la considerazione del tipo di uso desunto

dalla destinazione dei locali e/o delle aree tassabili, ai
sensi dell’art. 65, 1° co., del d.lgs. cit.
E una simile considerazione deve risultare dall’avviso di
accertamento.
In difetto di elementi contrari, all’immobile avente
destinazione di ufficio postale deve applicarsi la tariffa
corrispondente alla categoria degli “uffici pubblici”, e
non quella relativa alla categoria degli “uffici
commerciali e studi professionali, banche” e simili,
giacché non è dubitabile che l’ufficio postale in sé e per
sé considerato resti asservito alla funzione istituzionale
propria dell’afferente servizio cd. universale.
Invero l’attività cui gli uffici postali sono destinati si
inserisce – essa in quanto tale – all’interno della rete
del corrispondente servizio postale, che necessariamente
deve essere assicurato – al di là della veste giuridica
dell’ente a cui compete – in condizioni di accessibilità a
tutti i potenziali utenti, secondo i canoni dei servizi di
interesse generale garantiti e individuati anche a
livello della normativa europea [v. al riguardo l’art. 16
del Trattato CE e poi la direttiva 97-67/CE, attuata dal
d.lgs. n. 261 del 1997, concernente le “regole comuni per

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lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali
comunitari e il miglioramento della qualità del servizio”,
il cui art. 3, 1° co., esplicitamente stabilisce che “Gli
Stati membri garantiscono che gli utilizzatori godano del
diritto a un servizio universale corrispondente ad
un’offerta di servizi postali di qualità determinata

forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a
prezzi accessibili a tutti gli utenti” I.
VI. – Quanto esposto determina il rigetto del ricorso.
Pur essendo astrattamente fondate le doglianze di cui ai
primi due motivi, giacché le delibere di approvazione del
regolamento comunale e/o delle tariffe, diversamente da
quanto ritenuto dal giudice

a quo,

non dovevano affatto

essere allegate all’avviso di accertamento impugnato (v.
per tutte Cass. n. 24267-11), vi è che allo scrutinio
delle ridette censure il ricorrente non ha interesse.
Invero la statuizione dell’impugnata sentenza resterebbe
comunque sorretta dalla seconda e sopra considerata ratio
decidendi,

rivelatasi esatta (v. tra le moltissime Cass.

n. 7077-01).
VII. – La particolarità della questione controversa, in
relazione alla quale non si registrano specifici
precedenti di questa corte, induce alla compensazione
delle spese processuali.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese
processuali.

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e:SENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P.R. 26/4/19416
N. 131 TAB. ALL. B. – N. 5

MATERIA TRIBUTARIA

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta

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