Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12775 del 06/06/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12775 Anno 2014
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 25718-2008 proposto da:
FABBRINI TOMMASO, FABBRINI DELPHINA, elettivamente
domiciliati in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 102, presso lo
studio dell’avvocato FRANSONI GUGLIELMO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUSSO
PASQUALE giusta delega a margine;
– ricorrenti contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 06/06/2014

- con troricorrente

avverso la sentenza n. 21/2007 della COMM.TRIB.REG.
di FIRENZE, depositata il 18/09/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/04/2014 dal Consigliere Dott.

udito per il ricorrente l’Avvocato FRANSONI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GUIDA che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

FRANCESCO TERRUSI;


25718-08

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 18-9-2007, la commissione
tributaria regionale della Toscana, in riforma della
decisione di primo grado, ha rigettato il ricorso proposto
da Tommaso e Delphina Fabbrini avverso un avviso di

liquidazione emesso sul presupposto che l’atto di
costituzione della società semplice “Azienda Agraria
Pratolungo” aveva costituito, invece, una cessione
d’azienda attuata mediante “un negozio giuridico
complesso” in vista della cessione onerosa dell’azienda
medesima di proprietà dei ricorrenti, da assoggettare
quindi a imposta di registro “con riferimento alla causa
reale del negozio posto in essere”.
I contribuenti ricorrono per la cassazione della sentenza
con sette motivi, illustrati anche da memoria.
L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Il primo motivo, con cui si deduce la violazione
dell’art. 112 c.p.c., per non avere la commissione
tributaria esaminato l’eccezione che in appello aveva
riproposto la nullità dell’atto impositivo per difetto di
motivazione, è inammissibile per difetto di
autosufficienza.
I ricorrenti non hanno trascritto gli afferenti passi del
ricorso introduttivo e dell’atto di controdeduzioni in
appello) coi quali assumono di avere prima denunciato e,
poi, riproposto, la questione, onde consentire alla corte
di verificarne la ritualità e la tempestività.

1

Invero, affinché possa utilmente dedursi in sede di
legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario che
al giudice di merito siano state rivolte una domanda o
un’eccezione autonomamente apprezzabili, sulle quali possa
dirsi integrato il dovere di pronunciare.
E pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un

error in procedendo, per il quale la corte di cassazione è
giudice anche del “fatto processuale”, va ribadito che il
vizio non è rilevabile d’ufficio, sicché il potere-dovere
della corte di esaminare direttamente gli atti processuali
non significa che la medesima debba ricercarli
autonomamente, indipendentemente dalla apposita deduzione
formale spettante alla sola parte in ossequio alle regole
di proposizione del ricorso (v. da ultimo sez. un. 807712).
II. – Coi restanti sei motivi, i ricorrenti denunziano il
vizio di motivazione della sentenza (nei motivi secondo e
terzo) e la violazione degli artt. 20 e 21 del d.p.r. n.
131 del 1986 (nei motivi dal quarto al settimo), imputando
rispettivamente e in via gradata all’impugnata sentenza di
avere confermato l’atto impositivo:
(i) “pur avendo rilevato l’inesistenza di atti di cessione
di quote da parte dei ricorrenti in favore della Società”
oggetto della ripresa;
(ii) avendo fatto riferimento alla categoria dell’atto
complesso, pur essendosi trattato di “una pluralità di
contratti formalmente e causalmente distinti fra loro”,
tutti “egualmente soggetti, secondo le disposizioni della
tariffa (..) ad imposizione in misura fissa”;

2

i.

(iii) avendo dichiarato l’esistenza di un collegamento
negoziale finalizzato a mascherare elusivamente una
cessione “indiretta” di azienda in favore della società
conferitaria, pur in mancanza di presupposti indizianti di
un tale collegamento.
I motivi, da valutare congiuntamente, sono

infondati.
Si legge nel ricorso che l’oggetto della ripresa era
riferito all’atto di costituzione della società, ritenuto
cessione d’azienda effettuata mediante conferimento da
parte dei ricorrenti stessi dell’azienda agricola di loro
proprietà.
L’esistenza di tale cessione risulta accertata dal giudice
del merito, che, sulla scorta delle dichiarazioni rese dai
contribuenti alla guardia di finanza, ha valutato, pure,
le successive cessioni, in favore di terzi, delle quote
della società, il cui patrimonio sociale – ha affermato era costituito “in modo pressoché esclusivo dall’azienda
agraria conferita dai Fabbrini”.
A•V■ 4 1.

In tal senso la commissione tributaria ha ritenut&rstato
posto in essere un “negozio complesso” diretto a
realizzare la cessione onerosq,dell’azienda, da valutare a
fini fiscali in riferimento alla sua causa reale.
Una tale motivazione non è insufficiente, dal momento che
la valutazione delle ulteriori cessioni delle quote
sociali integra quella oggetto della ripresa. E neppure é
contraddittoria, giacché non risultano enunciazioni in
()

fatto decisive, da considerarsi in intimo contrasto tra
loro.

3

e

Il richiamo alla causa reale dell’atto (unitamente ai
riferimenti alla giurisprudenza di questa corte sul tema)
indica che la commissione tributaria ha infine
correttamente sussunto la fattispecie nell’ambito dell’art
20 del d.p.r. n. 131 del 1986.
Sicché non è decisivo l’errore terminologico relativo al

tipo di negozio posto in essere, indicato secondo la
categoria del negozio complesso, anziché secondo quella che in effetti rileva – dell’operazione discendenti da
negozi collegati.
IV. – Le censure sopra sintetizzate, che si riferiscono
alla disciplina applicabile in ipotesi di negozio
complesso, non colgono la

ratio decidendi dell’impugnata

sentenza. Mentre le ulteriori doglianze con cui è stata
denunziata l’insussistenza dei profili elusivi nel negozio
posto in essere – anche se si sorvolasse sul dato che in
verità esse mascherano la denuncia di un’erronea
ricognizione dei fatti, come chiarito dai quesiti che le
concludono – non tengono conto che l’art. 20 del d.p.r. n.
131 del 1986, secondo cui “l’imposta è applicata secondo
la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti
presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda
il titolo o la forma apparente” legittima di per sé la
conclusione ritenuta dalla commissione tributaria. Nel
senso che, ai fini dell’imposta di registro, la causa
reale dell’operazione prevale sull’assetto cartolare
impresso dalle parti.
Difatti, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa
corte, la scelta compiuta dal legislatore con l’art. 20 è

4

ESENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4/1906
N. 131 TA13. ALL. 13. – N. 5
MATERIA TRIBUTAR

appunto quella di privilegiare “la intrinseca natura e gli
effetti giuridici” al ” titolo o la forma apparente” degli
atti sottoposti a registrazione. Per cui l’autonomia
contrattuale nella scelta degli strumenti ritenuti più
idonei per il conseguimento dello scopo perseguito e la

esso preordinati restano circoscritte sul piano della
regolamentazione formale degli interessi delle parti, e
non si estendono alla loro rilevanza fiscale (cfr. tra le
tante Cass. n. 10273-07; n. 3584-12; n. 14150-13; n.
17965-13).
In questo specifico senso l’art. 20 del d.p.r. n. 131 del
1986 introduce un criterio di qualificazione autonomo
rispetto

alle

ordinarie

ipotesi

interpretative

civilistiche, che impone di tener conto, nella
qualificazione del negozio, della sua causa reale e degli
interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche
qualora siano stati stipulati, pur in tempi diversi, più

rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi a

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

atti.

21114

V. – Il ricorso è rigettato.
Il Funzi
Marcel

Spese alla soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in
solido alle spese processuali, che liquida in euro
7.290,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
sezione civile, addì 16 aprile 2014.

F

ONA

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